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Reverse charge, l' Iva applicata per errore non è dovuta all' Erario

PAGINE A CURA DI FRANCO RICCA L' Iva indicata in una fattura è comunque dovuta, vi corrisponda o meno un'

operazione imponibile. L' Iva «vera» e quella «falsa», tuttavia, pari non sono:

la prima è dovuta in ragione dell' effettuazione di una cessione di beni o di una prestazione di servizi imponibile, secondo i fondamenti del tributo; la seconda, invece, è dichiarata dovuta dalla legge solo per mettere l' erario al riparo dal rischio di perdite di gettito derivanti dall' eventuale detrazione esercitata (indebitamente) dal destinatario della fattura. Nella dinamica di concreta applicazione dell' imposta, inoltre, può persino accadere che l' imposta non corrispondente ad un' operazione reale (generalmente non detraibile, a prescindere addirittura dalla buona fede del destinatario) non debba essere recuperata dall' erario, mentre l' imposta «vera», se detratta in mancanza del requisito dell' inerenza, sia invece recuperata. Questo solo apparente paradosso, che la norma di comportamento n. 205, recentemente approvata dall' Associazione italiana dottori commercialisti definisce

«irrazionale», ma che invece, a ben vedere, si rivela coerente con il sistema, si può verificare nel caso in cui l' imposta sia assolta dallo stesso

cessionario/committente con il meccanismo dell' inversione contabile. In tal caso, infatti, la verifica del requisito dell' inerenza può portare al responso di indetraibilità della spesa realmente sostenuta, mentre se l' operazione è inesistente scatta la neutralizzazione totale ai sensi del comma 9-bis.3 dell' articolo 6, dlgs n. 471/97. Il principio di

«cartolarità» dell' Iva. L' articolo 203 della direttiva Iva (e, in precedenza, l' art. 21, n. 1, lett. c, della sesta direttiva del 1977), stabilisce che l' Iva è dovuta, oltre che dal soggetto passivo che effettua un' operazione imponibile, da chiunque indichi tale imposta in una fattura. La disposizione, costituendo debitore dell' imposta «chiunque» la evidenzi in una fattura, a prescindere dai (e dunque indipendentemente dalla sussistenza dei) presupposti impositivi, enuncia il c.d. principio di cartolarità, posto a tutela degli interessi erariali che potrebbero essere pregiudicati dall' esercizio della detrazione da parte del destinatario del documento. Nell' ordinamento interno, questo principio è recepito nel comma 7 dell' art. 21 del dpr n. 633/72, il quale stabilisce che «se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l' imposta è dovuta per l' intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura». In più occasioni la Corte di giustizia Ue ha precisato che, nel prevedere che l' Iva indicata in una

fattura è dovuta indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un' operazione soggetta ad Iva, la disposizione mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione (es.

sentenza 18 giugno 2009, C-566/07). Ciò perché, sebbene tale diritto sia limitato soltanto alle imposte corrispondenti a un' operazione soggetta all' imposta, il rischio di perdita di gettito fiscale sussiste fintantoché il destinatario di una fattura riportante un' Iva non dovuta possa utilizzarla ai fini della detrazione. Non si può infatti escludere che, in ragioni di particolari circostanze, l' amministrazione finanziaria non sia in grado di accertare, in tempo utile, l' inesistenza di tale diritto presso il destinatario della fattura. L' obbligo di pagamento dell' Iva indebitamente fatturata, quindi, non ha scopi sanzionatori (materia che peraltro esula dalla normativa armonizzata ed è devoluta ai singoli stati membri), ma ha lo scopo di prevenire danno all' erario. Quanto all' esclusione del diritto alla detrazione dell' imposta non corrispondente ad un' operazione imponibile, va detto subito che la giurisprudenza della Corte non opera distinzioni in merito alle ragioni dell' indebita applicazione, ma accomuna le ipotesi di errore (es.

assoggettamento al tributo di un' operazione esente o applicazione di un' aliquota superiore a quella dovuta) e quelle di frode (fatturazione di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti). Il primo intervento sul tema è rappresentato dalla sentenza 13 dicembre 1989, C-342/87, nella quale la Corte ha osservato che nella stesura dell' art. 17 della sesta direttiva del 1977 (ora art. 168 della direttiva Iva), che accorda al soggetto passivo il diritto alla detrazione dell' Iva «dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo», il Consiglio europeo si è discostato sia dalla precedente norma della seconda direttiva del 1967, sia dalla proposta della Commissione, secondo le quali il diritto di detrazione comprendeva ogni imposta fatturata per le merci fornite e per i servizi prestati al soggetto passivo. Se ne deduce che «l' esercizio del diritto alla detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un' operazione soggetta all' Iva o versate in quanto erano dovute.» Questa interpretazione è supportata da altre disposizioni della sesta direttiva. Ai sensi dell' art. 18, n. 1, lett. a), per esercitare il diritto di detrazione il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell' art. 22, n. 3, lett. b), il quale prescrive che la fattura indichi distintamente il prezzo al netto dell' imposta corrispondente per ogni aliquota diversa nonché, se del caso, l' esenzione. In base a queste disposizioni, l' indicazione dell' imposta corrispondente alla cessione di beni e alle prestazioni di servizi è un elemento della fattura da cui dipende l' esercizio della detrazione.

Ne consegue che questo diritto viene meno nel caso di ogni imposta che non corrisponda ad un' operazione determinata,

perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l' operazione di cui trattasi non è soggetta all' Iva. E ancora, ai sensi dell' art. 20, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, la rettifica della detrazione iniziale è effettuata secondo le modalità fissate dagli stati membri, in particolare quando la detrazione è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto. Da questa disposizione emerge che la detrazione iniziale, quando non corrisponde all' importo dell' imposta dovuta per legge, deve essere rettificata, anche se corrisponde all' importo dell' imposta indicata nella fattura o nel documento che ne fa le veci. Questa interpretazione, spiega la corte, è quella che meglio consente di prevenire le frodi fiscali, che sarebbero di contro agevolate qualora ogni imposta fatturata potesse essere detratta. Quanto all' argomento secondo cui il fatto di limitare l' esercizio del diritto di detrazione soltanto alle imposte corrispondenti alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi compromette il principio della neutralità dell' Iva, spetta agli stati membri garantire l' applicazione di questo principio prevedendo nei rispettivi ordinamenti giuridici interni la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede. Successivamente, però, con la sentenza 19 settembre 2000, C-454/98, la Corte ha precisato che il requisito della buona fede non è necessario quando colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di danno all' erario, ad esempio perché ha recuperato e distrutto la fattura prima del suo uso da parte del destinatario, oppure perché, essendo la fattura stata usata dal destinatario, ha versato l' importo dell' imposta ivi indicata. In una tale situazione, il principio di neutralità richiede che l' Iva indebitamente fatturata possa essere regolarizzata indipendentemente dal requisito della buona fede, con l' osservanza delle condizioni stabilite dagli stati membri. Se dunque il rischio di danno erariale è stato completamente eliminato, la regolarizzazione non può dipendere dal potere discrezionale dell' amministrazione finanziaria, giacché in tale situazione il principio di neutralità richiede che l' imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata. Nella sentenza 11 aprile 2013, C-138/12, la Corte ha inoltre dichiarato che il principio di neutralità osta a una normativa nazionale che non consente al fornitore di rettificare l' imposta fatturata indebitamente, nel caso in cui l' erario l' abbia già recuperata in capo al destinatario negandogli definitivamente il diritto alla detrazione. © Riproduzione riservata.

Nella recentissima ordinanza n. 26983 del 22 ottobre 2019, la Corte di cassazione, in relazione a un accertamento d' imposta su fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ribadisce l' orientamento secondo cui l' Iva dovuta in forza del principio di cartolarità di cui al comma 7 dell' art.

21, dpr n. 633/72, deve essere considerata «fuori conto». Di conseguenza, tale imposta deve essere isolata da quella risultante dalla massa di operazioni attive e passive, per essere versata dal debitore senza possibilità della compensazione propria del meccanismo dell' Iva, «anche perché l' emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto». L' ordinanza, inoltre, esclude che l' emittente di fatture fittizie possa rettificarle attraverso l' emissione di note di credito, secondo la procedura di variazione dell' art. 26 del dpr n. 633/72, la quale presuppone che l' operazione da rettificare «sia vera e reale e non già del tutto inesistente». Pertanto «il cedente o falso prestatore deve sempre versare l' imposta esposta in fattura, mentre l' acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l' Iva per assenza del suo

presupposto, ossia l' acquisto di beni o servizi acquistati nell' esercizio d' impresa, arte o professione». Questo orientamento suscita perplessità. In primo luogo, la teoria dell' imposta «fuori conto» non trova riscontro nella direttiva, giacché la formulazione letterale e la collocazione sistematica dell' articolo 203 non suggerisce in alcun modo che l' imposta dovuta in base al principio di cartolarità debba essere regolata distintamente. Non si comprende, poi, perché un simile effetto dovrebbe discendere dal carattere delittuoso dell' illecito fiscale, essendo tale circostanza di esclusiva competenza degli stati membri e priva di attinenza con il sistema armonizzato dell' imposta. Né appare condivisibile la tesi che l' imposta indicata sulle false fatture non possa essere rettificata, avendo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiamata sopra non solo dichiarato il contrario, ma addirittura ritenuto rimborsabile l' Iva fatturata indebitamente, allorquando siano stati eliminati i rischi per l' erario, il quale, altrimenti si arricchirebbe indebitamente. Ferme restando, ovviamente, le sanzioni di legge. © Riproduzione riservata.

Realizzata un' operazione imponibile Iva, al fine di operare una corretta variazione ex art. 26 comma 2 del dpr 633/72, occorrerà che il contribuente, scongiurando ogni finalità elusiva, abbia regolarmente registrato sia la variazione in sé che la sua causa, provando il collegamento tra l' operazione originaria fatturata e quella circostanza sopravvenuta comportante la variazione stessa. Sono le specifiche fornite in materia di detraibilità Iva dalla sentenza n. 1303/2019 della Corte di cassazione. Nel caso esaminato è stata l' Agenzia delle entrate a adire i supremi giudici per la riforma della sentenza resa dalla Ctr Toscana che aveva in parte accolto le doglianze di parte ricorrente, una società a cui l' ufficio non aveva riconosciuto determinati importi in detrazione Iva. I giudici di secondo grado, infatti, avevano secondo l' ufficio errato nel non rilevare che non poteva riconoscersi alcuna detraibilità laddove avessero correttamente verificato che la variazione posta in essere non dava conto della precedente fattura di vendita oggetto di modifica, a cui in nessun modo si poteva rapportare, in assenza perciò dei presupposti che legittimano una variazione con nota di

credito. Dai documenti del giudizio emergeva in effetti che le note di variazione depositate riportavano la generica dicitura «storno» di precedenti fatture senza però elementi che alle stesse permettessero di ricondurle. Era tale dato infatti a portare gli ermellini ad accogliere il motivo di ricorso dell' Ufficio. La Corte si è perciò pronunciata esplicitando come in tema di Iva, i requisiti della corretta variazione di imponibile ex art. 26, c. 2 del dpr n. 633 del 1972, sono: la realizzazione di un' operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, il sopravvenire di una causa di scioglimento del contratto, la sussistenza di un titolo idoneo a realizzare gli effetti solutori del precedente contratto, l' identità delle parti dell' accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale e il regolare adempimento degli obblighi di registrazione. Ciò che però sottolinea altresì la pronuncia è la rilevanza non tanto della tipologia di causa di variazione in sé ma del fatto che essa, insieme alla variazione effettuata, siano state regolarmente registrate dal contribuente tenuto a dimostrare la corrispondenza tra l' operazione iniziale e quella sopravvenuta con ogni dato utile a collegarle, quale in primis l' identità di oggetto. Benito Fuoco () Con il quinto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell' art. 26 del dpr n. 633/1972 e assume, relativamente al rilievo che riguarda una nota di credito asseritamente emessa in carenza dei presupposti di legge, che la Commissione regionale ha violato la disposizione normativa richiamata, perché la nota di variazione non faceva alcun riferimento alla fattura di vendita modificata. () Il motivo è fondato. L' art. 26 del dpr n.

633 del 1972 consente al cedente di portare in detrazione l' Iva in ogni caso in cui «un' operazione per la quale sia stata emessa fattura... viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l' ammontare imponibile». L' applicabilità di tale disposizione presuppone: a) la realizzazione di un' operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che sia vera e reale (Cass. n. 5979 del 14/3/2014 e n. 24231 del 18/11/2011); b) il sopravvenire di una causa di scioglimento del contratto (Cass. n. 15059 del 2/7/2014), non occorrendo uno specifico accertamento negoziale o giudiziale dell' intervenuta risoluzione; c) la sussistenza di un titolo idoneo a realizzare gli effetti solutori del precedente contratto, con il rispetto delle eventuali forme prescritte ad substantiam o ad probationem; d) l' identità delle parti dell' accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale; e) il regolare adempimento degli obblighi di registrazione previsti dal dpr n. 633 del 1972; () Dal tenore della norma si evince chiaramente che ciò che rileva non è la modalità con cui si manifesta la causa di variazione dell' imponibile Iva, ma piuttosto il fatto che sia della variazione che della sua causa sia stata effettuata la dovuta registrazione, conformemente a quanto previsto dagli artt. 23, 24 e 25 del dpr n. 633 del 1972. Poiché lo scopo perseguito dalla legge è quello di evitare forme di elusione degli obblighi del contribuente, () ne discende che il contribuente è tenuto a fornire la prova della corrispondenza tra le due operazioni (originaria e sopravvenuta) mediante la specifica indicazione di quei dati che risultino idonee a collegarle, ossia dimostrando l' identità tra l' oggetto della fattura e della registrazione originarie e l' oggetto della registrazione della variazione, in modo da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (Cass. n. 9188 del 6/7/2001). () Nel caso in esame, il giudice d' appello si è discostato dai principi sopra indicati, () ha annullato l' accertamento senza verificare se la società contribuente avesse fornito una «documentata giustificazione» della emissione della nota di accredito in questione. ()

ereditato un ...

[2312][393227] Nessuno sconto al coniugese la casa è indisponibileMia moglie ha ereditato un immobile al mare, di cui è proprietaria esclusiva.

Attualmente la casa è utilizzata, in parte, come abitazione principale da mia figlia e viene usata, per l' altra parte, dalla famiglia come alloggio per le ferie.

Mia moglie non percepisce alcun reddito, mentre io sono pensionato e siamo in regime di separazione dei beni. Dovendo riqualificare l' immobile (lavori edili,infissi, impianto fotovoltaico) con una spesa stimata intorno agli 85mila euro, vorrei sapere se posso detrarre io tali costi, ovviamente provvedendo io ai bonifici. A.C.LATISANA La risposta è negativa in quanto la casa risulta essere destinata ad abitazione principale della figlia che non convive con i genitori. La detrazione del 50% competerebbe al marito non proprietario solo a condizione che lo stesso conviva con la moglie da prima dell' inizio dei lavori e l' abitazione oggetto di intervento sia a disposizione del nucleo familiare (non locata al momento dell' intervento o concessa in uso gratuito). La detrazione del 50% per interventi di ristrutturazione (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 1, comma 67 della legge 145/2018, di

Bilancio per il 2019), compete anche ai familiari conviventi, intendendo per tali il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini sino al secondo grado. A quest' ultimo riguardo, l' agenzia delle Entrate, nell' ambito della risoluzione 184/E del 12 giugno 2002, ha precisato che il familiare convivente del possessore o detentore dell' immobile può essere ammesso a fruire della detrazione Irpef, a condizione che: sussista la situazione di convivenza sin dal momento di inizio dei lavori di ristrutturazione, le spese risultino effettivamente a carico del familiare convivente (fatture intestate al familiare e bonifici emessi dal suo conto corrente o da conto anche cointestato con il proprietario, e fatture intestate a chi sostiene le spese). Ricorrendo tali condizioni l' importo complessivamente detraibile può essere ripartito o addirittura imputato al 100% al coniuge del proprietario se questi sostiene interamente le spese. L' abitazione può essere anche diversa dalla prima casa, l' importante è che sia a disposizione del nucleo familiare e, quindi, non locata o concessa in comodato. La locazione o il comodato a terzi (anche se trattasi di figlia non convivente) non consente la detrazione in capo al marito della proprietaria in quanto il comodato alla figlia comporta l' indisponibilità per il nucleo familiare dell' abitazione (anche se la casa molto grande, ma con accatastamento unico, consente la disponibilità parziale) e l' inapplicabilità dei benefici in qualità di coniuge convivente con il proprietario.

tettoia ...

[2313][393222] Agevolata la tettoia se nonc' è aumento di volumetriaVorrei costruire una tettoia addossata a una casa di mia proprietà. Tale tettoia, costruire una tettoia addossata a una casa di mia proprietà. Tale tettoia, assoggettata a concessione edilizia, fungerebbe da sostegno a un impianto fotovoltaico e da riparo per auto. All' impianto ad uso famigliare v e r r e b b e a l l a c c i a t a u n a p o m p a d i c a l o r e p e r i l r i s c a l d a m e n t o d o m e s t i c o e l a p r o d u z i o n e d i a c q u a c a l d a s a n i t a r i a . O l t r e a l l a d e t r a z i o n e f i s c a l e d e l 6 5 % p e r l a s p e s a d e l l ' i m p i a n t o fotovoltaico/pompa di calore, posso fruire anche della detrazione per l a s p e s a r e l a t i v a a l l a c o s t r u z i o n e d e l l a t e t t o i a ? S e s ì , i n q u a l e percentuale? P.M.PADOVA La realizzazione di una tettoia, senza aumento di volumetria, in immobile abitativo è intervento di manutenzione straordinaria e, come tale, fruisce della detrazione del 50% (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 1, comma 67 della legge 145/2018, di Bilancio per il 2019). Viceversa, se sussiste un aumento di volumetria, in base alle leggi regionali sul piano casa la detrazione non si rende applicabile.

Questi i chiarimenti forniti dall' agenzia delle Entrate con la risoluzione 4/E

del 4 gennaio 2011, che si è espressa a proposito dell' applicabilità delle detrazioni del 36%-50% in presenza di lavori di ristrutturazione e ampliamento, con o senza demolizione dell' edificio originario. Per completezza si precisa che anche le spese inerenti l' installazione dell' impianto fotovoltaico su abitazioni o il potenziamento degli stessi impianti in quanto interventi di manutenzione straordinaria, sono ammesse alla detrazione del 50% e non a quella del 65%. L' agenzia delle Entrate, con una specifica risoluzione (22 aprile 2013, n.2/E), ha ammesso le spese per gli impianti fotovoltaici tra quelle cui si applica la detrazione del 50% quali impianti basati sull' impiego di fonti rinnovabili di energia.

del ...

[2314][393206] Sgravi in condominio senzacomunicazione preventivaL' amministratore del condominio, godendo di una maggioranza di condòmini, ha dato corso, nel secondo semestre dello scorso anno, al varo di ben tre appalti. Sono preoccupato, perché, nonostante due miei solleciti formali di accensione della pratica per il bonus fiscale, di cui il secondo è stato inviato per conoscenza all' ufficio locale dell' agenzia delle Entrate, e nonostante nel 2018 abbiamo pagato due rate dell' appalto per il rifacimento delle coperture, non mi sia ancora pervenuta copia del modulo di avvenuta denuncia.

Essendo l' opera terminata all' inizio dell' anno in corso, c' è ancora tempo per la relativa denuncia? Qual è la procedura corretta per non perdere i benefici di legge? Da ultimo: gli altri due appalti (revisione delle tabelle millesimali e manutenzione straordinaria dell' ascensore) godono degli stessi benefici? G.D.FROSINONE L' amministratore non è tenuto a fare nessuna comunicazione preventiva all' agenzia delle Entrate ai fini del 50%, ma solo a pagare le spese con bonifico bancario o postale. Nell' ipotesi di interventi di ristrutturazione edilizia su parti comuni condominiali di edifici

residenziali, i singoli condòmini (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 1, comma 67 della legge 145/2018, di Bilancio per il 2019), possono fruire delle detrazioni fiscali dall' Irpef del 50 per cento. Il beneficio compete con riferimento all' anno di effettuazione del bonifico da parte dell' amministrazione del condominio, a prescindere dalla data di fatturazione dei lavori o da quella di esecuzione. L' agevolazione fiscale spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputata da parte dell' amministratore in base alla tabella millesimale. Ai fini dell' elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata da parte dell' agenzia delle Entrate, sussiste, invece, ogni anno l' obbligo a carico dell' amministratore di trasmettere in via telematica, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una comunicazione

residenziali, i singoli condòmini (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 1, comma 67 della legge 145/2018, di Bilancio per il 2019), possono fruire delle detrazioni fiscali dall' Irpef del 50 per cento. Il beneficio compete con riferimento all' anno di effettuazione del bonifico da parte dell' amministrazione del condominio, a prescindere dalla data di fatturazione dei lavori o da quella di esecuzione. L' agevolazione fiscale spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputata da parte dell' amministratore in base alla tabella millesimale. Ai fini dell' elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata da parte dell' agenzia delle Entrate, sussiste, invece, ogni anno l' obbligo a carico dell' amministratore di trasmettere in via telematica, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una comunicazione