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Non siamo un paese per giovani In povertà 1,2 milioni di minori Welfare e scuola non aiutano più

GABRIELE DE STEFANI Gabriele De Stefani Anno 1969: un bambino guarda il nonno e immagina una

vita migliore della sua perché ha il 70% di probabilità di diventare più ricco:

basta l' inerzia a far crescere il benessere. Anno 2019: la prospettiva è drammaticamente ribaltata, il bambino del 1969 è diventato nonno e oggi il rischio di finire in povertà è cinque volte più alto per il suo nipotino che per lui.

È la diseguaglianza più profonda che attraversa l' Italia: un milione 260 mila minorenni vivono in stato di povertà assoluta e 500 mila non hanno i soldi sufficienti a mettere regolarmente proteine nel piatto. E nello stesso decennio (2008-2018) in cui il numero di under 18 indigenti è triplicato, non è aumentata per contro la quota di over 65 poveri: più si è giovani più è alto il dazio che si paga alla crisi. Così oggi in Italia un povero su due ha meno di 34 anni. La povertà non è solo nel portafogli, ma è anche educativa e culturale.

Con la spesa per l' istruzione al suo minimo storico (3,5% del Pil) e la preparazione degli studenti sotto la media europea, oggi la scuola non è più uno strumento capace di sconfiggere le diseguaglianze. Il circolo, insomma, è vizioso. L' identikit e i servizi Non esiste un identikit nitido del minore a

rischio indigenza, perché il fenomeno, benché più acuto al Sud e tra i figli di stranieri, attraversa tutto il Paese. Vivono in povertà assoluta un under 18 su sei al Sud, uno su nove al Nord e uno su dieci al Centro. Ma i dati dell' Istat e dell' Atlante dell' infanzia a rischio di Save The Children dicono che il problema è strutturale e in buona misura passa sopra le differenze socio-economiche che separano le regioni più ricche dal Mezzogiorno. «Purtroppo il rischio di povertà ed esclusione sociale dei minori in Italia è arrivato al 30% ed è tra i più alti d' Europa, peggio fanno solo Bulgaria, Grecia e Romania - spiega Antonella Inverno, responsabile delle politiche per l' infanzia di Save The Children -. Paghiamo le difficoltà del sistema di istruzione e un welfare in cui le famiglie con figli sono le meno tutelate. Fare un bambino impoverisce». Del resto la spesa pubblica italiana per la prima infanzia è tornata ai livelli del 2008 e il

età di tre anni e mezzo le diseguaglianze si cristallizzano - analizza ancora Inverno - per cui il gap economico si scarica subito su una dimensione ben più ampia, che attiene alla persona. Per questo vanno bene i bonus per bebè e asilo, ma servono soprattutto politiche di welfare egualizzanti per tutto ciò che riguarda la prima infanzia. A partire dalle strutture: per esempio sarebbe strategico un piano di ampliamento dell' offerta dei posti nei nidi, oltre ad aiutare le famiglie a pagarlo». L' effetto San Matteo La gestione dei servizi per la prima infanzia finisce spesso per accentuare anziché ridurre le diseguaglianze. Basti pensare ai criteri con cui si formano le graduatorie per l' ammissione agli asili, nelle quali viene data una corsia preferenziale alle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano.

Ad un primo sguardo sembra semplice buonsenso: se la mamma o il papà sono a casa, possono occuparsi del figlio lasciando spazio a scuola ai bimbi con entram bi i genitori impegnati. Nella pratica, però, si ottiene un effetto distorto: probabilmente la giovane mamma non è a casa per scelta ma perché disoccupata o sottopagata e il bambino, che parte già da una posizione di svantaggio rispetto a chi cresce in famiglie più ricche, ha ancor più bisogno di andare a scuola presto. Così il sistema di welfare finisce per alimentare anziché ri durre la diseguaglianza.

È quello che in sociologia viene definito l' effetto San Matteo. Se gli aiuti sono ridotti e i criteri di distribuzione infelici, si finisce per favorire chi già parte più avanti: «A chiunque ha, sarà dato e sarà nell' abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Vangelo secondo Matteo, ca pitolo 25, versetto 29). A monte del processo educativo, naturalmente, lo scarso sostegno e le difficoltà economiche allargano la ferita della denatalità: in dieci anni le nascite sono crollate del 23,7%, passando da 576 mila a 432 mila. La discesa è attenuata dal robusto contributo (il 15% del totale) dei neonati da genitori stranieri. I quali, per altro, italiani di domani, sono i più esposti al rischio povertà e devono fronteggiare anche barriere linguistico-culturali e sul fronte dei diritti civili, essend o privi di cittadinanza. L' antidoto che non funziona La spesa pubblica per l' istruzione è al minimo storico: 3,5% del Pil. Il confronto con le pensioni (20%) dice che per ogni euro investito nella scuola ce ne sono quasi sei destinati alla previdenza. È uno dei dati che fotografano meglio la grande peculiarità italiana sul fronte delle diseguaglianze:

«Siamo il Paese in cui si è allargata di più la forbice tra il benessere dei giovani e quello degli adulti o anziani -analizza Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli -. In Italia le diseguaglianze tra le varie fasce di reddito si sono accentuate meno che altrove, il cuore del problema è nel gap intergenerazionale». Nel dopoguerra la scuola fu uno straordinario veicolo di crescita ed eguaglianza. Oggi è disarmata davanti alle sfide formative e alla necessità di cambiare pelle imposte da globalizzazione e nuove tecnologie: «Numerosi indicatori dicono che abbiamo alte percentuali di studenti che magari arrivano al diploma, ma hanno competenze inferiori ai livelli considerati minimi dagli standard internazionali. Attenzione: quando dico "minimi" non mi riferisco a parametri strettamente scolastici o economici,

ma a livelli necessari per essere buoni cit tadini» avverte Gavosto. Le cause sono molteplici, ma pesa soprattutto il progressivo calo degli investimenti nell' istruzione: «Da 25 anni la produttività è ferma, l' economia non cresce e c osì mancano le risorse». Su un binario parallelo, si riaffaccia anche il problema dell' abbandono scolastico: dopo anni di calo, tra il 2016 e il 2018 sono tornati ad aumentare i ragazzi che hanno lasciato gli studi prima del dovut o (dal 13, 8 al 14, 5%). La partita da giocare Incrociando dati e analisi, il rischio è chiaro: il circolo è vizioso perché diseguaglianze economiche ed educative si rafforzano a vicenda. E lo fanno con un' intensità moltiplicata dalla rivoluzione tecnologica che dal digitale porta all' intelligenza artificiale, al machine learning e alla lotta al cambiamento climatico: «Certo, nel dopoguerra per il riscatto potevano bastare spirito imprenditoriale, creatività e un generico "saper fare". Qualcosa di simile è accaduto al miliardo di persone uscite dalla povertà negli ultimi 40 anni in India e Cina, trascinate di fatto dalla crescita economica. Ma oggi la competitività non può prescindere dalla formazione - spiega ancora Gavosto - e dunque abbiamo la necessità che i ragazzi acquisiscano a scuola comp etenze ben più elevate». Come se ne esce? «Serve tornare a investire nell' educazione, e parecchio. Tra livelli di istruzione e crescita economica c' è un fortissimo legame: senza formazione non c' è sviluppo e viceversa. Non bisogna pensare a cosa fare nel breve, per ripartire ci vogliono grandi piani che guardino da qu i a dieci o venti anni».

- c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Per 500 mila bambini un' alimentazione sana e completa è troppo costosa Il rischio esclusione sociale è al 30%: fanno peggio solo Grecia Romania e Bulgaria La spesa pubblica per l' istruzione è scesa al minimo storico: appena il 3,5% del Pil.

dei crediti, anche a causa della mole enorme di affari. Sono la conseguenza del tessuto imprenditoriale deteriorato. Si litiga anche per importi molto ...

Una massa di cause spesso futili preme sui giudici, i Tribunali arrancano, spesso il cittadino (e in particolare il cittadino imprenditore) vede frustrate le proprie aspettative di giustizia. Quello disegnato da Dario Raffone, presidente facente funzioni del Tribunale di Napoli, è uno scenario con luci (poche) e ombre (tante): numerose le diseconomie della giustizia, difficili gli interventi per correggerle. Presidente, l' assetto giuridico e giudiziario riesce a fornire risposte adeguate alle domande che nascono dal tessuto economico? «Molte volte sì, altre no, per motivi interni ed esterni alla giurisdizione. Ad esempio, gli affari di una certa rilevanza che riguardano società di capitali trovano una risposta abbastanza adeguata nella sezione specializzata, il Tribunale delle imprese che ha competenza regionale. Si tratta in genere di controversie societarie in tema di scissioni, aumenti di capitale, azioni di responsabilità per fatti di cattiva gestione. La risposta è positiva anche per un altro settore cruciale, quello che riguarda marchi e brevetti». Poi però ci sono le criticità. «Ci sono, per esempio, nel recupero dei crediti, anche a causa della mole enorme di affari. Sono la conseguenza del tessuto

economico deteriorato. Si litiga anche per importi molto bassi, in casi nei quali a volte l' impresa non vale la spesa.

Capita addirittura che si pongano in esecuzione forzata i titoli acquisiti con le sentenze e non si trovi niente di aggredibile. Il problema, sul quale non si riflette abbastanza, è la fruttuosità delle cause. Vi è, come ho detto, qui al Sud, una fragilità complessiva del sistema economico che vede operare imprenditori con scarsi mezzi propri, società quasi sempre sottocapitalizzate, costantemente dipendenti dal credito bancario. Una fragilità causata anche da comportamenti degli operatori spesso ai limiti della correttezza». Lei ha parlato anche di motivi esterni alla giurisdizione che imbrigliano l' attività dei tribunali. «La giustizia soffre di problema di esternalità. È un aspetto della società e come tale ne subisce i relativi impatti sistemici. Nell' economia della modernità è tutto più veloce: ci sono imprese che sorgono per un solo affare, poi si sciolgono. Si tenta di contrarre al massimo i tempi ma inevitabilmente la giustizia appare troppo lenta. Una controversia giudiziaria non potrà mai essere "in tempo reale" . Forse un aiuto potrà venire dall' intelligenza artificiale e dagli algoritmi. Ma questi sono scenari che riguarderanno le generazioni future. Venendo all' oggi, certamente, non sono tollerabili ritardi senza specifiche ragioni ma, nel complesso, e nonostante tutto, la situazione

dell' arretrato civile è in netto miglioramento da diversi anni a questa parte grazie ad uno sforzo congiunto delle istituzioni politiche e della magistratura». Negli ultimi anni la politica ha varato diverse riforme per velocizzare i processi, ma la svolta non è arrivata. Intanto si continua ad avanzare proposte: c' è qualcosa che non va, non le pare? «Come ho già detto i miglioramenti non sono mancati ma non bisogna far credere ai cittadini che con le sole riforme si possa velocizzare il corso della giustizia. Al di là di esse sono necessarie risorse aggiuntive, personali e reali. Ma quali cittadini oggi sarebbero disposti a pagare un tributo in più per finanziare la giustizia? Mi lasci dire anche che oggi si litiga troppo e ogni litigio, anche condominiale, anche banalissimo, diventa un fascicolo processuale. La società della modernità implica accelerazioni nei contratti sociali. Ma anche un' esasperata concezione dei diritti con scarsa attenzione ai doveri, a quelli di solidarietà in primis». Come si può ovviare a questo problema? «Facendo uscire dal circuito giudiziario le cause minori e affidandole ad organismi di risoluzione alternativa delle dispute. In realtà già ci sono strumenti di tal tipo, si pensi alla mediazione obbligatoria prima dell' introduzione delle caus e, agli arbitrati presso le camere di commercio per i consumatori. Insomma, si tratta di rafforzare questi istituti che oggi hanno vita grama anche con ulteriori incentivi premiali in tema di costi ed agevolazioni fiscali. Ma più che altro si tratta di cercare di cambiare una mentalità diffusa che vede nel giudice l' unica porta a cui bussare. Il giudice non può essere sepolto da fascicoli, pena la negazione della giustizia. A Napoli ci sono due sezioni, dodici magistrati e due presidenti, che si occupano sostanzialmente di liti tra vicini. La Corte di Cassazione ormai è diventato un giudice di pace nazionale: i suoi componenti scrivono quattro o cinq ue sentenze a settimana, migliaia all' anno. Il che è un assurdo». Troppe cause significa anche troppi avvocati, è così? «In Italia gli avvocati sono oltre 200.000. Solo a Napoli sono circa 30mila , un numero, questo, pari a quello di tutti gli avvocati francesi. Gli avvocati cassazionisti in Italia sono circa 35mila, in Francia solo un centinaio. È evidente che siamo davanti a situazioni non risolvibili con meri interventi tecnici. Bisogna attuare scelte politiche forti ma mi sembra che i tempi siano poco propizi atteso che è molto difficile legiferar e con prospettive di lungo periodo e con bisturi troppo affilati». Difficilmente la politica affront erà il problema, immagino, dal momento che la politica è consenso. «Ci vorrebbero, oltre a quanto già riferito, altre risposte che oggi la politica non può dare, come l' abolizione, ad esempio dell' appello o quanto meno una riduzione molto ampia della possibilità di appellare. Ma questo significa che dobbiamo avere

un giudice di primo grado molto forte , non solo tecnicamente, ma nel riconoscimento sociale. Questo porterebbe ad accettare il suo "dictum" in maniera più diffusa con ovvie conseguenze. Mi sembra però che oggi il consenso verso la figura del giudice, in sé, non sia molto elevato. E ciò non solo per responsabilità di questa categoria ma anche perché in questa modernità, come ho già detto, la carica individualistica è troppo forte per riuscire a pensare in termini più generali, per capire che non tutte le proprie aspettative possono realizzarsi». Nell' ambito della gius tizia, le grandi imprese sono avvantaggiate rispetto alle piccole? «Nel mercato, le grandi imprese si impongono e anche nel settore della giustizia hanno indubbiamente dei vantaggi. Se sei un creditore forte, se hai un marchio affermato, puoi permetterti di non consegnare la merce ordinata se non è stata pagata in anticipo. Ma questo possono farlo solo in pochi. Nella maggior parte dei casi si dà la merce e si spera nel pagamento. I piccoli fornitori sono costretti a rischiare, soprattutto se l' acquirente è l' unico cliente. Accade per esempio nel settore calzaturiero, in quello dell' abbigliamento e della meccanica. Se il cliente salta, salta tutta la catena. Veniamo alla giustizia. Per le cause anti monopolistiche, che vedono coinvolti colossi dell' imprenditoria, so no competenti solo tre Tribunali:

quelli di Napoli, Roma e Milano. Questo principio dovrebbe servire a scoraggiare le cause facili, ma di fatto penalizza chi colosso non è e giova solo alle oligarchie economiche: un piccolo imprenditore di Siracusa che dovrebbe venire a Napoli per un processo di questa natura , evidentemente, ci pensa due volte e spesso rinuncia a far valere il proprio diritto. E lo stesso vale, ad esempio, per uno di Cagliari che dovrebbe andare a Roma. Sulle grandi questioni che contano allontaniamo il giudice dai cittadini, sulle piccole cause di poco conto, invece, diamo loro il contentino e consentiamo che i fascicoli giudiziari si moltiplichino. In conclusione, la giustizia si iscrive nei valori ella Costituzione. I valori non sono neutrali e non delineano un gioco a somma zero. Ne discende la necessità di scelte certe e di lungo periodo anche in questo campo. Una classe politica degna d i questo nome sa che questo è l' arduo sentiero della democrazia . Sentiero che tutti dobbiamo convintamente percorrer e perché al di fuori di esso vi sono solo pericolose scorciatoie».

Giusto un mese prima, un po' di fuoco amico, tanto per gradire, by Marco Travaglio, ma ora la Casaleggio e associati è pronta a lasciarsi alle spalle le amarezze provocate da chi le rimprovera vicinanze con le lobby anti M5S -gioco, navi e tabacco, ossia Lottomatica, Moby Lines e Philip Morris - . Per giovedì 14 novembre è attesa la presentazione della ricerca realizzata da Casaleggio Associati dedicata alle «Smart Company. L' evoluzione dell' azienda nella IV rivoluzione industriale» che, spiega lo studio di consulenza direzionale di via Morone, ha coinvolto 350 aziende in tutto il mondo. L' obiettivo dell' evento, in programma a Milano alle Officine Macchi, è illustrare nuovi modelli di business in relazione all' utilizzo delle nuove tecnologie del mondo AI: blockchain, internet of things, big data, robot. Sul palco i tre soci della Casaleggio Associati, Davide Casaleggio, Luca Eleuteri e Maurizio Benzi,

«affiancati da illustri ospiti nazionali e internazionali». Da segnare in agenda.

Le «Oeconomicae et pecuniariae quaestiones» di Antonio Fazio sono le riflessioni etico-economiche sull' ultimo documento del «vecchio» Sant' Uffizio e del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale creato da

Jorge Bergoglio tre anni fa con l' assorbimento delle competenze di altri pontifici consigli e pastorali su migranti, sanità e accoglienza. Domani all' Angelicum l' ex governatore parlerà di etica e finanza, responsabilità sociale d' impresa e sostenibilità. Al tavolo con Fazio il presidente dell' Abi, Antonio Patuelli, il vice di Banca Mediolanum, Giovanni Pirovano, il segretario aggiunto della commissione Teologica Internazionale, Riccardo Bollati e l' Economo della Cei, Mauro Salvatore. La tavola rotonda sarà moderata da Andrea Perrone, ordinario di diritto Commerciale alla Cattolica. Introducono l' ex rettore dell' Angelicum, il domenicano Francesco Compagnoni e la preside di Scienze bancarie della Cattolica, Elena Beccalli. Dall' etica ai «buoni investimenti» il passo è breve. Sempre domani, in Senato, Censis e TenderCapital, la sgr indipendente fondata a Londra da Moreno Zani presenta un rapporto sulla

«silver economy». Tavolo variegato, con il fondatore del Censis, Giuseppe De Rita e il leghista Alberto Bagnai, presidente della commissione Finanze di palazzo Madama. Investitori e società civile rappresentati da Alberto Oliveti, presidente Adepp ed Adriano Giannola dello Svimez. Da quando ha lasciato via XX Settembre se ne sono perse le tracce. In occasioni pubbliche Giovanni Tria non si è più visto. Ma la «vacatio» sta per terminare. L' ex ministro dell' Economia sarà a Milano, ospite della «The green cfo roundtable» organizzata da Intesa Sanpaolo. La

si presta certamente a qualche riflessione. Che Tria condividerà con il numero uno di Banca Imi, Mauro Micillo e con Pasquale Scandizzo, senior economist della World Bank. A proposito di ministri «di ritorno» mercoledì a Roma sarà la volta di Beatrice Lorenzin. Nella veste di coordinatrice del Health&Scienze Forum, l' ex ministro della Salute è stata invitata dal presidente Gianni De Gennaro al Centro Studi Americani, per dialogare di modelli di public health con il successore, Roberto Speranza, il viceministro Pierpaolo Sileri e la presidente della European Public Health Association, Natasha Azzopardi Muscat . Il convegno organizzato dalla direttrice del Centro Studi, Carlotta Ventura, rientra nel progetto Health&Science Bridge promosso con Galileo Alliance. Investimenti su impresa 4.0 tanti, capitale umano (scarso). Distanze ampie tra grandi e piccole imprese (siamo all' 87% contro il 16%). Il test sulle 215 imprese bresciane (oltre 15 mila addetti per ricavi aggregati di oltre 5,4 miliardi) è aggiornatissimo e prende in considerazione interventi censiti fino allo scorso settembre. Aggiorna un quadro che, nelle analisi, era fermo da almeno cinque anni.

Mercoledì il rapporto che l' associazione degli industriali e Intesa Sanpaolo hanno appena terminato sarà presentato nella sede Aib. Al tavolo il padrone di casa, Giuseppe Pasini, presidente dell' Associazione e di Feralpi e il capo della Banca dei territori, Stefano Barrese. È la più grande conferenza europea per gli investimenti in aziende digitali. Una specie di «riserva» dove gli investitori vanno a caccia di unicorni. Ce ne saranno oltre 400 martedì e mercoledì prossimo al Noah di Londra. Tra loro ci anche Alberto Genovese, fondatore di Prima Assicurazioni, la tech company made in Italy che opera come agenzia assicurativa, oggetto l' anno scorso del più grande investimento mai realizzato in Italia: 100 milioni di euro arrivati da un gruppo di fondi tra cui Blackstone e Goldman Sachs.

IL CASO 5G. Una sigla che è la promessa di una seconda rivoluzione digitale, con impatti dirompenti e imprevedibili nell' economia globale e nel tessuto socio-culturale dei continenti. E che sul piano politico sta scatenando una nuova guerra fredda per il controllo tecnologico. Stati Uniti e Cina, i due estremi di un mondo bipolare, che misurano la loro forza hi-tech sui derivati del 5G: l' intelligenza artificiale, l' Internet of Things, l' automazione intelligente, lo sviluppo di supercomputer con tecnologia quantistica. Una vera Guerra digitale, come recita il titolo del libro di Luca Balestrieri, dirigente Rai e docente di economia e gestione dei media all' Università Luiss, scritto insieme alla figlia Francesca Balestrieri, ricercatrice nel campo della matematica pura. «La

IL CASO 5G. Una sigla che è la promessa di una seconda rivoluzione digitale, con impatti dirompenti e imprevedibili nell' economia globale e nel tessuto socio-culturale dei continenti. E che sul piano politico sta scatenando una nuova guerra fredda per il controllo tecnologico. Stati Uniti e Cina, i due estremi di un mondo bipolare, che misurano la loro forza hi-tech sui derivati del 5G: l' intelligenza artificiale, l' Internet of Things, l' automazione intelligente, lo sviluppo di supercomputer con tecnologia quantistica. Una vera Guerra digitale, come recita il titolo del libro di Luca Balestrieri, dirigente Rai e docente di economia e gestione dei media all' Università Luiss, scritto insieme alla figlia Francesca Balestrieri, ricercatrice nel campo della matematica pura. «La