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modo

di pensare o di sentire: le scienze, bandite già quasi assolutamente dalle scuole, le invasero

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d'un tratto e scossero dalle sue basi lafede antica;

le alleanzestabilite fra nazioni già

nemiche

a poco a poco estinsero gli odii secolari e l'Italiagettò l'occhio

avidamente

curioso nei

monumenti

lette-rariie scientifici delle contrade vicine: i pensieri filosofici si avvicinarono, la coscienza si modificò

lentamente

e cominciò

un

lavorio sordo e lento contro il passato,lavorioche

anche

oggi

dura

e

iprimi frutti;

dolorosi

sempre

finché l'opera di distruzione

non

cederàil luogo alla riedificazione.

Tale è l'oggi, veduto,

come

usa dirsi, a volo di uccello:il ieri invece,quel ieriche

fremeva

di

com-mozione

dolcissimaai versi dell'Edmenegarda, era

un tempo calmo ancora

e saldo nella fede antica, fattasi

anche

peril

momento

più forte,

dopo

gli urti

tremendi

dellarivoluzionefrancese:

un tempo non

turbato ancora dalle teorie desolanti,

ma

illu-minate spesso

da un

sinistro raggio di verità, che

ai nostri giorni sconvolgono la società e la co-scienza: era

un tempo

di oggettivismo, in cuii

pensieri e gli affetti

erano

assorbiti

da

scopi este-riori, tra cui

primeggiava

lalibertà dellapatria,

un tempo

in cui si

aveva

bisognosoprattutto di fede,

un tempo

in cui da ogni

mente

di poeta si

atten-deva

l'inno della redenzione,

un tempo

infine, in cuile alpi

non

circoscrivevano soltanto la terra,

ma anche

il pensiero italiano.

E

di fatto,

appena

questi limiti si allargano per

il pensiero e i capolavori del genio straniero,

si-—

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iriili

neirandamento

airEdnienegarda, siconoscono

e si traducono, e le

menti

italiane s'inebrianoalla lettura del Giaurro, dellaPeri, degli adoratori del fuoco, del

Conte

di

Lara

, cessa

come

per incanto l'entusiasmo suscitato dal

poema

del Prati, che a poco a poco

perdendo

di sua

fama

finiscequasi con essere dimenticato. k'^^»^^n

Troppo

evidente era la esiguità del

dramma

pratiano posto in confronto con quello concitatis-simo e maestoso del

Byron,

del Gòthe, del

Moore.

Dunque

ilPrati poeta

non

è

da

ricercarsitroppo nella

Edmenegarda,

la(jual puresollevò<li -<" fnntc speranze e tanta fama.

Tuttavia,

seguendo

i nostri principii di critica letteraria, si farebbe indispensaliile

un

po' j)iù fli

psicologia sociale del

tempo

in cui

maggiormente

fiorì Giov. Prati, per poter intendere

davvero

il

carattere della sua poesia.

Ma

oltre che io

ho

già toccato alla sfuggita dell'indole di quei giorni sin-golari, essi ci si spiegheranno più chiari dinanzi a

misura

che noi ci

addentreremo

nel pensiero del poeta, la cui anima,

appunto

perchè

ancor

oggi li riflette ajipieno, si sente quasi fra noi spostata e fuor del suo

mezzo

naturale.

M'è

già accaduto di dire che la vita in tutte le

sue manifestazioni è la

grande

sorgente a cui il

poeta attinge le proprie ispirazioni, senza ch'egli

si

proponga veramente

piùquestoche(juello scopo.

Inconsciamente sente, inconsciamente esprime.

E

o5

questa verità che solo i ciechi per proposito deli-berato

non vedono

, è il

fondamento

di quella

sempre

proclamata e

sempre

fraintesa forraola :

Arte per

arte, la quale così considerata, cioè considerata nel suo vero senso,

ha

per principale

campione —

udite laeresia!

Giovanni

Prati.

Pochipoeti al pari di lui si manifestano figli le-gittimi del

tempo

a cui appartengono, incouscii interpreti di esso, sbalzatiquasi

qua

elà a seconda delle voglie e delle tendenze dell'istante, tradut-tore fedele di tuttii

momenti

per cui possa la co-scienza sociale, ad ora ad ora poeta civile, poeta morale, poeta di lusso, poeta sognatore, poeta di quisquilie.

Con

lui

un

popolopiange, ride, freme,

si perde in fantasticherie ; egli è

l'uomo

chepiù

ha

attinto dallavita d'allora, nella cui

anima

più s'è riflessal'animadiquelle generazioni: e, lo

pro-clamo

altamente senza timore di smentita, egli

non deve

aver

mai

imposto a forza alla propria fantasia

un

soggetto o

uno

scopo,

ma

eglifu

ve-ramente

un che quando Amore spira, scrive, ed a quel modo

Ch'ei detta dentro, va significando.

E Dante chiamò

a ragioneil fonte della poesia, con divina parola:

amore.

Attingendo alla vita lesue ispirazioni, il poeta

non

faspeculazioni,

non

sofìsticasugli efifetti delsuo canto,

non

si

propone

di svelareil bello e il vero; ilpoetasente, ilpoeta

ama. Se

il bollo e il vero scaturiscono dalle sue armonie, scaturiscono dall'amore che egli incon-sciamente

ha

sentito.

Ecco

perchè l'arte

non ha

per fine che sé stessa: il bello nasce

da

lei,

non

perchè ella lo persegue,

ma

perchè essa stessa

non può

essere che bellezza.

Ed

ecco perchè il Prati nei suoi versi , infiniti

come

le arenedel mare, presentatali

anomalie

che quasi

non

diresti del

medesimo

autore tutti (juei canti.

E

delle innumerevoli ballate in cui

s'estasia-vano

alcuni anni or sono i padri nostri, di quelle ballateove

regnavano

sovrane la mezzanotte, il

lume

di luna, il galoppodei cavalli neri.

Galoppa, galoppa, galo]>pa Uui'l,

e i cavalieri chiusi nelferro,ele

monache

e i frati;

di (|iielle ballate chi frai più arrabbiati avversarii t\('\Varte

per

arte saprebbe dirmi lo scopo?

Adesso

ridono quasi i figli,

non

intendendo più le ragioni dell'entusiasmo dei padri, e spesso il

riso

degenera anche

in beffacrudele ed ingiusta.

E perchè?

Ridete

dunque anche

di

un

jiopolo, il