Premessa al testo
35. L’oratorio della S Croce fu eretto nel transetto settentrionale della
basilica da papa Simmaco alla fine del sec. VI, venne ristrutturato dalle fondamenta da Leone III e fu demolito sotto il pontificato di Niccolò V73. Il Vegio fa riferimento proprio alla demolizione niccolina allorquando, desumendo l’informazione della presenza di una così preziosa reliquia da un idoneum quendam auctorem, riuscì ad evitare che essa si perdesse, recuperandola ed assegnandola alle cure dei Canonici: essa, dalla forma di una croce a quattro braccia, sarà così presente tra i tesori della basilica in due inventari del 1456 e del 145974. Il dato è interessante
fondazione della basilica di S. Croce in Gerusalemme, d’altronde, è legata al culto della reliquia in questione. Per la vicenda si rimanda a H. LECLERCQ, Hélène, impératrice, in DACL, 6 (1925), coll. 2126-46: 2127-35.
70 R. CORNACCHINI, La leggenda della Vera Croce, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello
Stato, 2004 (Itinerari, 68), p. 9.
71 Leg. Aurea LXIV «De inventione Sancte Crucis».
72 Il Vegio non cita esplicitamente Rufino ma è assai probabile che fosse consapevole
della paternità della Continuatio. Tra i suoi contemporanei lo è certamente il Valla (De don. X 34)che lo definisce «non in postremis doctus».
73 ALFARANO, p. 51 n. 5; DE BLAAUW II,pp.567-68.
74 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Archivio del Capitolo di S. Pietro,
Arm. 19-20, Inventari, 4, ff. 1r, 14v. Oltre a fare esplicita menzione di tali inventari trascrivendone i passi di nostro interesse, Giacomo Grimaldi offre pure una
COMMENTO
poiché emerge per la prima volta un impegno attivo e non sporadico del Vegio nella salvaguardia delle antichità archeologiche della basilica (cfr. anche l’episodio del ritrovamento del monostico «Salvo papa Leone» infra IV 111).
Seguendo la testimonianza del Liber pontificalis, essa era custodita in una confessio ornata di decorazioni argentee ed evidentemente inclusa in una croce-reliquiario del peso di dieci libbre75:
Item ad fontem in basilica sancti Petri Apostoli [fecit] oratorium sanctae Crucis ex argento confessionem et crucem ex auro cum gemmis, ubi inclaudit lignum dominicum; ipsa crux aurea pens. lib. X. (LP LIII 7)
Ma il Vegio attribuisce l’informazione relativa al peso non al reliquiario ma alla reliquia stessa, e poiché il passo del Liber pontificalis non si presta a cattive interpretazioni egli recuperava la notizia dalla Descriptio Basilicae Vaticanae di Pietro Mallio con il quale, oltre all’errore congiuntivo menzionato, condivide più di un’affinità76:
riproduzione della reliquia e del reliquiario che la ospitava ai suoi tempi e che ancora oggi si conserva nel tesoro di S. Pietro (G. GRIMALDI, Descrizione, ff. 458r-458v, 456v, 456r; ORLANDI, Il tesoro, tav. 73).
75 Il termine confessio nel latino medievale poteva essere utilizzato anche a significare
l’absidiola di un oratorio contenente una reliquia. Inoltre l’espressione facere confessionem nel senso di decorare una confessione è ampiamente attestata: DU CANGE, s.v. «2.
Confessio». Il reliquiario a forma di croce rinvenuto dal Vegio è oggi perduto: ORLANDI, Il tesoro, tav. 73.
76 Della inconguenza tra la testimonianza del Vegio e quella del Liber pontificalis si
accorse pure il GRIMALDI, Descrizione, f. 458r. Pietro Mallio, vissuto durante il pontificato di Alessandro III (1159-1181), scrisse intorno al 1160 una Descriptio basilicae vaticanae giunta a noi in una duplice redazione: la versione originale infatti fu rivista, emendata e ampliata in alcune sue parti da un secondo canonico di nome Romano intorno al 1192. Il libello si iscrive nella contesa per il primato tra la basilica lateranense e la vaticana sotto Alessandro III e fu redatto a mo’ di risposta alla Descriptio lateranensis ecclesiae coeva e anch’essa indirizzata a papa Alessandro da un diacono Giovanni. La prima redazione dell’opera fu stampata da Coenraad Janninck (1650-1723) per gli Acta Sanctorum avvalendosi di un manoscritto posseduto dal Collegio Gesuitico di Clermont oggi non rintracciabile. Tuttavia l’editore si premurò di collazionarlo con la redazione del canonico Romano edita nel 1646 da Paolo de Angelis e di offrirne le lezioni interpolate tra parentesi quadre nel corpo del testo: MANLIUS PETRUS, Basilicae veteris Vaticanae descriptio auctore Romano eiusdem basilicae canonico, cum notis abbatis PAULI DE
ANGELIS quibus accedit descriptio breuis noui Templi Vaticani necnon utriusque ichnographia, Romae, typis Bernardini Tani, 1646; PETRI MALLII Historia Basilicae antiquae S. Petri Apostoli in Vaticano, Acta Sanctorum Iunii […], illustrata a CONRADO
JANNINGO, Tomus VII seu Pars II, Antverpiae, apud Iannem Paulum Robyns, 1717, pp. 37-56. La seconda redazione si può leggere per estratti in ICUR II, pp. 199-221 e
LIBRO I
Ab alia parte est ecclesia sanctae Crucis, quam construi fecit beatae recordationis Symachus papa, cuius absidam columnis porfireticis et optimo mosibo decoravit, et X libras ligni sanctae Crucis in ea recondidit. (Mall. Descr. 35)
La stessa informazione è inoltre ripetuta dal canonico medievale nel lungo catalogo di pontefici sepolti nella basilica che il Vegio recupera a IV 136.Anche in questo caso il passo si può prestare alla cattiva lettura giacché il participio pensantem può essere letto in funzione di crucem ma anche di lignum:
Simachus papa, qui fecit basilicam Sancti Andreae apostoli ad Sanctum Petrum, in qua et altaria statuit ubi plura sanctorum corpora, sicut carmina indicant, posuit; et iuxta fontem oratorium Sanctae Crucis construxit, et recondidit in eius confessione crucem ex auro et gemmis, ubi inclusit lignum crucis domini, pensantem X libras (Mall. Descr.
19, 39820-25).
A livello metodologico è interessante come il Vegio senta quasi la necessità di tacere il nome della sua fonte, aspetto sul quale bisognerà pur interrogarsi per capire quanto agisca il disagio nei confronti di uno strumento operativo obsoleto e troppo legato al retaggio della vecchia cultura medievale – come è l’operetta del Mallio – e quanto invece tale atteggiamento sia da attribuirsi alla precettistica storica di stampo latino. È infatti Quintiliano (Inst. Or. I 8, 18) a mettere in guardia l’«enarrator historiarum» dalla menzione degli «contempti homines» a fronte dei soli «clari auctores».
36. Vegio parla del ritrovamento compiuto sotto Sergio I (687-701)