Premessa al testo
42. Il Sacellum Pudicitia patricia è ricordato da Livio ( X 22, 3) in occasione di una contesa sorta nel 296 a.C a causa dell’esclusione dal
culto di una matrona romana87. Esso doveva essere collocato immediatamente a nord dell’attuale S. Maria in Cosmedin, in prossimità di un tempio circolare distrutto da Sisto IV e noto come Aedes Aemiliana
Herculis88. Secondo il Coarelli, la rotunda Herculis a cui Livio fa riferimento sarebbe da riconoscersi in quest’ultimo edificio, sito per l’appunto nel Foro Boario. Il Vegio invece associava la rotunda Herculis liviana al tempio di Ercole Vincitore (detto tradizionalmente di Vesta), tutt’ora visibile in
86 Non mi pare che tale tenuta sia menzionata dal TOMASSETTI, La campagna romana;
sono pertanto debitore della notizia al dott. Mirko Stocchi, aiuto-archivista del Capitolo di S. Pietro.
87 F. COARELLI, Pudicitia patricia, sacellum, in LTUR IV, p. 168. 88 F. COARELLI, Hercules, Aedes Aemiliana, in LTUR III, pp. 11-12.
COMMENTO
piazza Bocca della Verità a Roma e già citato in una bolla di Innocenzo II del 27 ottobre 1140 come ecclesia S. Stephani Rotundi89. È da tenere presente che l’ipotesi del Vegio era assolutamente legittima, dato che la fonte letteraria era troppo vaga per poter distinguere due luoghi di culto del medesimo impianto architettonico (erano entrambi circolari e peripteri secondo un tipo peraltro assai poco diffuso a Roma90), assai vicini tra loro e dedicati alla medesima divinità.
Per quanto riguarda la collocazione topografica del Foro Boario ubi nunc est templum Sancti Georgi ad Velum Aureum il Vegio non è affatto pioniere. Ad indicare la chiesa di S. Giorgio in Velabro come limite occidentale della zona dell’antico foro fu già Biondo Flavio che, sulla scorta di Varrone (De ling. lat. V 44 e 156), rifiutò la toponomastica medievale ad Velum Aureum ancora accettata dal Vegio, proponendo quella classica di Velabrum: «Non enim in Velo Aureo, sed in Velabro dici debet»91. Anche l’epigrafe testimone della notizia topografica (tum ex epigrammate quod adhuc exstat) era già ben nota: trascritta parzialmente sia dal Biondo sia dal Tortelli (con identica lezione che lascia sospettare la dipendenza del secondo dal primo), essa è tuttora leggibile sull’Arco degli Argentari, porta architravata accanto al portico di S. Giorgio in Velabro che doveva costituire uno degli accessi momumentali al foro stesso92.
L’ipotesi della presenza di un tempio dedicato a Vesta nell’area del foro Boario doveva essere questione dibattuta tra gli antiquari di metà Quattrocento. Come è noto l’Aedes Vestae (Atrium con annesso tempio rotondo) era anticamente situato nel Foro romano, ma di esso in età medievale dovevano già essersi perse le tracce93. Il ricordo della struttura circolare del tempio di Vesta e la coincidenza architettonica con il tempio di Ercole vincitore favorì la confusione tra i due luoghi di culto che, nella vulgata, permase fino a tempi non troppo lontani. Poggio Bracciolini, infatti, accetta tale ipotesi senza sentire l’esigenza di avanzare alcuna prova documentaria:
89 HUELSEN,Le chiese, p. 484. 90 LUGLI, Itinerario, p. 308.
91 Blond. Roma Inst. II 55; si vedano anche Cod. Top. IV, p. 298 e il recupero, quasi
letterale, di Tort. Rhoma, p. 40; sulla chiesa di S. Giorgio in Velabro HUELSEN,Le chiese, p. 255.
92 Blond. Roma Inst. II 55; Tort. Rhoma p. 42 e n. 144. L’epigrafe corrisponde a: CIL VI
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93 Una monografia recente ed esaustiva sul complesso cultuario dedicato a Vesta è
quella di F. CAPRIOLI, Vesta Aeterna, l’Aedes Vestae e la sua decorazione architettonica,
LIBRO I
Extat et Vestae templum iuxta Tiberis ripam ad initium montis Aventini, rotundum ac patens undique nullo muro, frequentibus tantum suffultus columnis, id posteri martyri Stephano dedicarunt. (Pod. De variet. Fort. p. 234, 20)
Biondo Flavio argomenta in un lungo paragrafo della Roma Instaurata a favore della collocazione del tempio di Vesta iuxta Tiberim che avrebbe da sé condotto ad una sua identificazione con il tempio oggi di Ercole vincitore. Inoltre lo storico forlivese adduce, accanto all’interpretazione di passi letterari, la testimonianza a suo avviso decisiva di alcune monete:
Quod autem Tyberi et monumentis Nummae propinquum fuerit templum Vestae ostendit […] Quando itaque in nummis aeneis argenteisque Mammeae genitricis Alexandri imperatoris et Liviae genitricis Aurelii Antonini aedem Vestae sculptam videmus rotundam, columnis in circuitu altare munientibus, non dubitamus eam fuisse quae nunc ad Tiberim contra Iani templum propemodum integra extat. (Blond. Roma
Inst. II 56)
Rispetto ai suoi illustri colleghi, il Vegio accoglie l’ipotesi topografica per cui il tempio di Vesta dovesse trovarsi nell’area del Foro Boario (quindi iuxta Tiberim) ma non ne condivide l’identificazione con il tempio di Ercole vincitore nel quale, come si è visto poco sopra, egli aveva riconosciuto la rotunda Herculis del menzionato passo liviano (X 22, 3). La scelta cadeva dunque obbligatoriamente sul tempio pseudoperiptero tetrastilo ancora visibile in piazza Bocca della Verità e tradizionalmente detto della Fortuna Virile94. Esso dalla metà del sec. XV fino al 1916 fu effettivamente consacrato al culto di S. Maria Egiziaca e, solo nel secolo scorso, una felice intuizione di Giuseppe Marchetti-Longhi ha permesso di restituirne l’originaria dedicazione a Portunio, dio protettore dei porti e, dunque, del vicino Portus Tiberinus95. Forse consapevole della debolezza della sua ipotesi, il Vegio si peritò di avanzare un riscontro documentario citando un rilievo scultoreo rappresentante un sacrificio celebrato dalle Vestali che egli avrebbe visto nel frontispicium di un edificio collocato dirimpetto alla basilica di S. Pietro: nel rilievo il Vegio riconosceva un tempio la cui facciata (frons) sarebbe stata molto simile a quella dell’Aedes Portuni. Ammesso che l’interpretazione iconografica avanzata dal lodigiano sia corretta, tale reperto non compare tra quelli inventariati
94 C. BUZZETTI, Portunus, Aedes, in LTUR, IV (1999), pp. 153-54.
95 G. MARCHETTI-LONGHI, Il tempio ionico di Ponte Rotto. Tempio di Fortuna o di Portunio?,
«Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung», 40 (1925), pp. 319-50.
COMMENTO
dagli archeologi e di conseguenza non è possibile valutare se e in che misura il Vegio ne abbia frainteso il senso96.
La testimonianza di Francesco Albertini, databile intorno al 1510, consente di fotografare un articolato status quaestionis della topografia del foro Boario in pieno Rinascimento. Il sacellum Pudicitiae patriciae (che il Vegio lasciava intendere come non più visibile) veniva identificato nell’Aedes Portuni, mentre veniva riconosciuta nel tempio a noi noto come «di Ercole vincitore» un’Aedes Fortunae: vengono tuttavia registrate dall’Albertini le ipotesi di Biondo Flavio, che lo voleva dedicato a Vesta, e quella di Pomponio Leto, che lo riferiva alla venerazione della Mater Matuta97. L’ipotesi del Vegio, che col tempo si sarebbe mostrata la più plausibile, non viene nemmeno segnalata, a riprova della circolazione nulla del De rebus antiquis memorabilibus tra Quattro e Cinquecento.
Il passo commentato costituisce forse, con quelli a seguire, il contributo più esteso del Vegio alla riflessione umanisica sulle antichità classiche e, probabilmente, consente di risentire l’eco di alcuni dibattiti tra i primi topografi di Roma antica. Inoltre emerge da queste poche righe lo spessore del Vegio antiquario, ormai allineato al metodo avvertito del Biondo, basato sì sul vaglio delle fonti letterarie, ma anche – e soprattutto – sui riscontri documentari e sull’osservazione archeologica, anche se non sempre con risultati significativi e corretti.