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Vegio parla del ritrovamento compiuto sotto Sergio I (687-701) di una reliquia della Croce custodita in una cassetta argentea del tutto

Premessa al testo

36. Vegio parla del ritrovamento compiuto sotto Sergio I (687-701) di una reliquia della Croce custodita in una cassetta argentea del tutto

dimenticata nel «sacrarium», cioè nella sacrestia antica della basilica [n; J]77. Il pontefice, per celebrare degnamente l’inventio, istituì la festività

dell’«Esaltazione della Santa Croce» (14 settembre)78.

La fonte primaria del racconto, taciuto da Pietro Mallio, è certamente il Liber pontificalis:

presbitero, ed. R. VALENTINI-G.ZUCCHETTI,Codice topografico della città di Roma III, Roma, Regio Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 1946 (Fonti per la storia d’Italia, 90), pp. 375-81: a quest’ultima si rimanda da ora in avanti per i riferimenti testuali. Sulla diffusione manoscritta dell’opera ed un primo censimento dei testimoni rimando a DELLA SCHIAVA, Per la storia, pp. 265-69.

77 Per la sacrestia antica della basilica si rimanda supra IV 1306-15.

78 Un accenno alla questione anche in V. von FALKENHAUSEN, Sergio I, in Encicl. dei papi

COMMENTO

Hic beatissimus vir in sacrario beati Petri apostoli capsam argenteam, in angulo obscurissimo jacentem, et ex nigredine transactae annositatis, nec si esset argentea, apparentem, Deo ei revelante, reperit. Oratione itaque facta sigillum expressum abstulit, locellum aperuit, in quo interius plumaceum ex holoserico superpositum, quod stauracis dicitur, invenit. Eoque ablato inferius crucem diversis ac pretiosis lapidibus perornatam inspexit, de qua tractis quatuor petalis, in quibus gemmae clausae erant mirae magnitudinis, et ineffabilem portionem salutaris ligni Dominicae crucis invenit. Quae etiam ex die illo pro salute humani generis ab omni populo Christiano die Exaltationis sanctae crucis in basilica Salvatoris, quae appellatur Constantiniana, osculatur ac adoratur. (LP LXXXVI 10)

La notizia ebbe però larga diffusione nel basso Medioevo a partire dal fortunatissimo Chronicon di Martin Polono (Chron. 42436-39) su cui si basa

una delle enciclopedie storiche più diffuse del basso Medioevo, l’Historia ecclesiastica nova di Tolomeo da Lucca:

Hic, ut Martinus tradit, Deo sibi revelante in sacrario sancti Petri invenit capsam argenteam in loco obscurissimo multe annositatis ita, ut argentea non appareret, in qua sigillum erat expressum. Quo ablato invenit crucem preciosis lapidibus perornatam et ineffabilem portionem crucis dominice interius repositamque in die sancte crucis adoratur (Thol. Luc Hist. Eccl. XIII 15, 27923-25-801-3)

L’individuazione della fonte è possibile con il confronto tra questo passo e III 952-8 dove il Vegio, illustrando un altro episodio legato al pontificato di papa Sergio taciuto dal Liber pontificalis, dimostra di attingere proprio dall’enciclopedia del lucense che sarà quindi fonte privilegiata per le vicende biografiche di quel pontefice79.

Filolosofo e storico domenicano, allievo di Tommaso d’Aquino, Bartolomeo Fiadoni (Tolomeo da Lucca, 1240 ca. – 1327) è autore di una delle più note enciclopedie storiche del Medioevo80. L’utilizzo da

79 Altri luoghi del De rebus antiquis memorabilibus confermano la conoscenza del lodigiano

di questa compilazione. È particolarmente significativo 1008-16dove riferendosi al re

sassone Aethelwulf il Vegio lo dice rex Gallie anziché rex Anglie. L’errore non è comune alla tradizione cronachistica medievale ma compare solo in Tolomeo da Lucca (si rimanda per una illustrazione più distesa al commento del passo). Inoltre, ho già discusso le fonti «pratiche» del De rebus antiquis memorabilibus in occasione del seminario internazionale Problemi, esperienze e modelli di commento a testi umanistico-rinascimentali (Prato, 9-11 novembre 2009) organizzato dal Centro di Studi sul Classicismo di Prato. La mia relazione dal titolo Il commento di un testo antiquario dell’Umanesimo: l’esempio del De rebus antiquis memorabilibus di Maffeo Vegio sarà pubblicata a breve negli atti del seminario medesimo.

80 Su Tolomeo da Lucca (1240 ca. – 1327) si veda L. SCHMUGGE, Fiadoni, Bartolomeo, in

LIBRO I

parte del lodigiano di uno strumento obsoleto e frutto di una stagione culturale ormai trascorsa non deve stupire. Giuseppe Billanovich illustrò, infatti, le tormentate vicende che portarono, in pieno secolo XII, alla scomparsa del Liber pontificalis dall’Italia e alla sua riapparizione ad inizio Quattrocento alla guisa di un classico perduto. E sempre Billanovich mostrò come «i nuovi lettori preferirono studiare la storia della Chiesa e dei pontefici…nelle nuove enciclopedie», veri «supermercati della cultura» che gli umanisti, data la mancanza di nuovi efficaci strumenti di consultazione, ancora erano obbligati a frequentare «pur maledicendoli»81. All’altezza della composizione del De rebus antiquis

memorabilibus, comunque, il Liber pontificalis era già stato ampiamente rivalorizzato da Biondo Flavio che non solo lo studiò approfonditamente (la sua copia d’uso è l’attuale Vaticano lat. 3762) ma lo utilizzò massivamente nella scrittura della sua Roma Instaurata82. Diverso è invece

l’atteggiamento del Vegio che fa convivere il vecchio – ma utile, comodo e familiare – strumento di consultazione con la grande silloge biografica mostrando di preferire Tolomeo quando le medesime notizie sono

critica: THOLOMEUS LUCENSIS, Historia Ecclesiasstica Nova, nebst fortsetzungen bis 1329, hrsg. von O. CLAVUOT, nach vorarbeiten von L. SCHMUGGE, Hannover, Hahnsche buchhanlung, 2009 (MGH scriptores, XXXIX) ma è povera la descrizione dei codici recensiti. Un censimento più significativo in T. KÄPPELI, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, IV, a cura di E. PANELLA, Romae ad S. Sabinae, Typis polyglottis Vaticanis,

1993, pp. 323-4, n°3727: esso evidenzia la presenza di 23 testimoni dell’opera, due dei quali del sec. XV e conservati alla Biblioteca Apostolica Vaticana sotto le segnature

Chig. F VII 170 e Vat. lat. 3766. Si veda infine L. SCHMUGGE, Notizen zu einer bisher verschollenen Handschrift der Historia Ecclesiastica Nova des Tholomeus von Lucca, «Quellen und Forshungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 56 (1976), pp. 347-53.

81 G. BILLANOVICH, Gli umanisti e le cronache medioevali. Il Liber pontificalis, le Decadi di

Tito Livio e il primo umanesimo a Roma, «Italia medioevale e umanistica» 1 (1958), pp. 103- 37 e in particolare p. 112; ID., Le tre strade: trovatori, classici, enciclopedie in ID. – M.

PRANDI – C. SCARPATI, Lo Speculum di Vincenzo di Beauvais e la letteratura italiana dell’Età Gotica, «Italia medioevale e umanistica» 19 (1976), p. 97. Tornerò di nuovo sulla questione a commento di III 81-84.

82 Biondo leggeva il Liber pontificalis nella redazione di Pietro Guglielmo, bibliotecario di

Saint-Gilles. Il codice da lui allestito, il Vaticano lat. 3762, passò nelle mani di Landolfo Colonna – grazie al quale prese la strada dell’Italia – e di Giovanni Cavallini per poi finire nella biblioteca di Niccolò V dove il Biondo ebbe l’agio di consultarlo e

postillarlo: BILLANOVICH, Gli umanisti e le cronache cit., pp. 116-22; ID., La tradizione del testo di Livio e le origini dell’umanesimo, I/1, Padova, Antenore, 1981, pp. 151-60; CLAVUOT, Biondos, pp. 255-59, 348-49; M. PETOLETTI, «Nota pro consilio polistorie mee orationem predictam»: Giovanni Cavallini lettore di Livio, «Italia medioevale e umanistica» 39 (1996), p. 49. A quest’ultimo contributo si rimanda per ulteriore bibliografia. La conoscenza da parte sua della redazione di Pandolfo d’Alatri, scomparsa dall’Italia agli inizi del sec. XII, è un dato inedito e va approfondito. Rimando per la questione infra al commento di III

COMMENTO

tramandate da entrambe le fonti. Ma dunque dovremmo credere che il Vegio sia vittima, rispetto al più avvertito Biondo, di un atteggiamento culturale di retroguardia? La risposta non è semplice né si può formulare con sicurezza. Il De rebus antiquis memorabilibus, infatti, è un’opera non finita né limata dall’autore, e nulla toglie che ad una prima informazione di carattere enciclopedico egli avesse potuto far seguire una precisazione degli argomenti dal Liber pontificalis che, d’altronde, mostra di conoscere in più punti83.

Certo è che l’Historia ecclesiastica nova si richiamava, tanto nel titolo quanto negli intenti espressi da Tolomeo nel prologo d’apertura, all’omonimo precedente di Eusebio di Cesarea, il che avrà giocato un ruolo determinante nella scelta del lodigiano a fronte di altri strumenti altrettanto agibili ma ideologicamente meno congeniali a scrivere res sacras84.

37. Il celebre episodio di Lucio Quinto Cincinnato (sec. V a.C.), che