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Iniziamo questo quinto capitolo con la definizione di diritto internazionale che possiamo trovare nelle sue pagine. Secondo Hall il diritto internazionale consiste in un insieme di regole di condotta che gli Stati Moderni Civilizzati (Modern

Civilised States) considerano come vincolanti nelle relazioni che instaurano tra di

loro, con forza comparabile per grado e per natura a quella che obbliga la coscienza delle persone che obbediscono alle leggi del proprio paese. Inoltre, gli Stati ritengono che queste norme possano essere imposte attraverso le modalità adeguate nel caso in cui siano infrante da parte di uno o più Stati.

Questa non è chiaramente una definizione normativo-idealistica del diritto internazionale, non troviamo nelle sue pagine l’idea di un diritto che si impone sulla sovranità statale, ma piuttosto l’idea di un insieme di norme, principi e regole che governano le relazioni tra gli stati non perché vi sia una potestà superiore che impone il loro rispetto, ma piuttosto perché quelle norme, regole e principi sono ritenuti legittimi, nel senso di quel comportamento proprio di una nazione civile. In altre parole, contro l’idea che in assenza di uno stato dotato di un monopolio del ricorso legittimo alla coercizione lo stesso diritto verrebbe meno, si afferma l’idea che quel comportamento non dipende, almeno non esclusivamente, dalla paura della sanzione ma anche, e soprattutto, dal fatto di ritenere quel comportamento come giusto e quindi legittimo.

Questa idea che vi fossero delle norme, principi e regole che componevano il diritto internazionale, e che erano rispettate dagli stati civili europei, in quanto ritenute legittime (proprie della civiltà europea), non era una mera costruzione teorica, volta al solo scopo di difendere l’esistenza di questo ordinamento giuridico internazionale, ma rappresentava invece la concreta esperienza politica europea con cui questi giuristi si stavano confrontando.

Lo stesso Hall si pone il problema di comprendere l’origine di queste norme che formavano quel diritto che ormai assumeva, anche sul continente, il nome di

International Law. Hall rintraccia due possibili e differenti risposte per questo

107 Da una parte, il diritto internazionale può essere pensato come il tentativo imperfetto di dare efficacia ad un diritto assoluto che si suppone che esista e che si presume di poter scoprire. Dall’altra parte, questo diritto può anche essere pensato come il risultato di uno sviluppo morale della vita esterna di ogni nazione.

Nel primo caso, continua Hall, abbiamo la distinzione tra due diritti che regolano le relazioni tra gli stati, da una parte quelli che lui definisce come international

rights, i quali derivano da un supposto Diritto Assoluto, e, dall’altra parte, il diritto

positivo che rappresenta le regole attualmente in uso. Nel secondo caso invece le norme espresse dal diritto positivo sono le uniche fonti del diritto internazionale. E’ evidente, anche se Hall non parla direttamente di diritto di natura, che il primo caso si riferisca appunto a questo diritto. Contro la concezione giusnaturalistica, l’autore svolge due sostanziali critiche. La prima si riferisce al fatto che non esiste concretamente questo diritto internazionale comune a tutti gli uomini. La seconda argomentazione si regge invece sull’affermazione che, anche se si riconoscesse, in via puramente teorica, l’esistenza di questo diritto assoluto, i principi che discenderebbero da esso dovrebbero comunque trovare concreta manifestazione in quelle regole che emergono dall’interazione tra gli stati.

Contro il diritto di natura di Wheaton e Phillimore, Hall afferma che questo diritto non esiste. Contro la riflessione di Lorimer, Hall afferma che, anche se esistesse, comunque dovrebbe essere rintracciato nel diritto positivo, provocando così inutili confusioni. Per questa ragione, il principio del diritto assoluto:

it can only be a source of confusion and mischief when it is regarded as a test of the legal value of existing practices131

Se quindi, il diritto internazionale consiste solo di norme e principi che gli stati concordemente riconoscono come obbligatori, il compito del giurista è quello di osservare i principi che discendono non dalla natura umana ma dalle “existing practice” degli stati.

108 Quindi, il problema che si pone Hall è quello di comprendere “how such principles and rules as may purport to constitute International Law can be shown to be sanctioned by the needful international agreement”132. Il problema fondamentale che Hall deve affrontare deriva dal fatto che le norme che regolano le interazioni tra gli Stati non sono scritte, non esiste un carta, una costituzione, a cui tutti gli stati civilizzati (the body of civilised states) hanno aderito, e quindi l’esistenza di queste norme deve essere ricercata nelle stesse azioni degli stati, “in such international usage as can be looked upon as authoritative”133. Secondo Hall, quindi, la normatività del diritto internazionale deve essere rintracciata nelle stesse interazioni tra gli stati. Possono perciò essere abbandonate le dispute teorico- filosofiche sulla giustizia delle norme che compongono il diritto internazionale, mentre le concrete relazioni tra gli stati divengono il precipuo oggetto di studio della scienza giuridica internazionale.

Una volta ripudiato il diritto di natura cade anche l’idea dell’universalismo del diritto internazionale che ancora si manteneva nelle opere di Wheaton e Phillimore. Se, infatti, l’unica fonte normativa del diritto internazionale sono le relazioni tra gli stati, allora non può nemmeno esistere un diritto internazionale universale, perché le interazioni tra gli stati civili divergono da quelle degli altri stati.

Mentre lo sguardo di Phillimore e Wheaton era diviso tra l’idea di un diritto universale, quello naturale, e l’analisi dei concreti istituti giuridici internazionali, ora vediamo come, sul finire del XIX secolo, la riflessione di Hall si sia definitivamente spostata solo verso questo secondo aspetto. E Hall può vedere come ovvio e naturale l’abbandono del riferimento ad un diritto universale, solo nella misura in cui pensa al diritto internazionale come un insieme di concreti istituti giuridici.

Ma dobbiamo sottolineare che le differenze rispetto ai due autori precedenti sono più apparenti che reali. Da una parte, come abbiamo già detto, il diritto di natura

132 Hall, ibid. , p. 5 133 Hall, ibid. , p. 7

109 nei primi due autori è rimasto solo un’idea priva di qualunque concreto istituto giuridico internazionale, e quindi il diritto internazionale, nel senso delle concrete regole che disciplinano le relazioni tra gli stati si riduce al diritto internazionale positivo. Dall’altro lato, la riflessione giuridica di questi autori, come quella dei giuristi inglesi successivi è accomunata da un fondamentale concetto, quello di

società internazionale.

E’ il riconoscimento dell’esistenza di questa società comune (the body of civilised

states per Hall) che crea le condizioni per poter rinunciare al diritto naturale.

Mentre, posti di fronte agli usi degli irochesi, non si possono individuare istituti giuridici comuni, e quindi si rinuncia al riferimento al diritto di natura, la componente etico-morale precedentemente inclusa in questo diritto viene assunta dall’idea di società internazionale.

Posti di fronte all’eterogeneità degli usi e dei costumi delle popolazioni non europee o di origine europea, questi autori scindono il diritto naturale in due fondamentali aspetti. Da una parte la sua componente orizzontale, l’idea di concreti istituti giuridici comuni a tutti gli uomini, viene abbandonata in quanto non coerente con la concreta conoscenza delle culture non europee; dall’altro lato la sua componente verticale, il punto di vista morale, l’idea che esista uno o più criteri di giustizia in funzione dei quali poter giudicare l’azione degli stati, viene ora conservato nell’idea della società internazionale. In questo modo l’idea del diritto di natura diventa superflua.

Infatti Hall sostiene che dalle interazioni tra gli stati (international usages) emergono certe obbligazioni morali, che sono riconosciute come fonti delle norme giuridiche (legal rules). Il diritto internazionale è quindi pensato in diretta connessione con i principi morali vigenti tra gli stati; ma se esistono principi morali tra gli stati vuol dire che l’insieme degli stati formano qualcosa di superiore rispetto ad un sistema meccanico di interazioni.

In questo senso, la rilevanza dei trattati non risiede solo nel vincolo reciproco a cui si sottopongono gli stati contraenti, ma diventa anche l’indicatore, quando un

110 numero elevato di stati aderisce ad essi, dei cambiamenti che coinvolgono l’orientamento generale dell’insieme degli stati civili134.

Per comprendere l’idea di diritto internazionale e di società internazionale che emerge nelle pagine di Hall dobbiamo approfondire la nostra analisi. L’autore apre il primo capitolo scrivendo che il diritto internazionale governa le relazioni di quelle comunità indipendenti che chiamiamo Stati, i quali si assoggettano volontariamente alle sue norme. Sebbene, continua Hall, il diritto internazionale non possa esistere senza il riconoscimento all’assoluta indipendenza degli Stati, questa condizione non è l’unico modo attraverso il quale si possono organizzare le relazioni tra comunità politiche differenti. L’esempio ricade, ovviamente, sul medioevo, dove il sistema feudale costituiva il principio in funzione del quale erano coordinate le relazioni tra le singole comunità politiche. Solo di fronte al caos conseguente alla crisi dell’istanza papale e imperiale emergeva, secondo Hall, l’idea di un diritto internazionale che non poteva non riconoscere nell’assoluta

indipendenza il suo principio fondamentale.

Per questo, lo stato sovrano su un territorio stabile e definito deve essere considerato come il tratto saliente “of the special civilisation which has given rise to international law”135 . E questo legame tra sovereignty e territorial property dipese dal ruolo svolto dai giuristi all’epoca della fondazione del diritto internazionale. Il diritto internazionale nasce quindi come risposta alla crisi della

Respublica Christiana ed al conseguente riconoscimento della piena sovranità

territoriale degli stati europei. Nel passaggio dal medioevo all’età moderna, con il progressivo affermarsi della sovranità territoriale, gli stati diventano i soggetti del diritto internazionale.

Per Hall, però, la formazione del diritto internazionale è successiva rispetto alla formazione degli stati, a cui spetta quindi il primato ontologico. L’idea è che, di fronte alla crisi delle precedenti istituzioni politiche, si forma lo stato territoriale, il quale è sottoposto al diritto internazionale solo nel momento in cui mostra la

134 Hall, ibid. , pp. 8-10 . 135 Hall, ibid. , p. 20.

111 propria volontà di aderire e rispettare tale diritto, entrando così a far parte della “family of states”. In questo modo uno stato mantiene la propria sovranità assoluta all’interno del suo territorio mentre la sua condotta esterna non deve rispondere ai desideri delle altre comunità politiche ma solo ai principi del diritto internazionale. Secondo Hall, quindi, il diritto internazionale nasce per rispondere alla “definitive failure to estabilish a regulatory authority”136, senza la quale le international

relations tendono a cadere nel più assoluto disordine. Ancora una volta, il diritto

internazionale non è pensato in contrapposizione alla sovranità statale ma in funzione di essa, sia per favorire il mantenimento dell’ordine, sia per garantire la sua indipendenza esterna. Uno stato può attenersi ai principi del diritto internazionale piuttosto che ai desideri delle altre Potenze.

Se il diritto internazionale è composto solo dal diritto positivo nato per disciplinare le relazioni tra gli stati territoriali sorti agli albori dell’epoca moderna è evidente che i confini del diritto internazionale non possono che limitarsi alla sfera europea:

It is scarcely necessary to point out that as international law is a product of the special civilization of modern Europe, and forms a highly artificial system of which the principle cannot be supposed to be understood or recognised by country differently civilised, such states only can be presumed to be subject to it as are inheritors of that civilisation.137

E’ interessante notare come, nello stesso momento in cui Hall rinuncia all’universalismo che era ancora presente negli autori precedenti, nelle sue pagine incontriamo la questione della possibilità che uno stato non europeo possa essere incluso nell’ordinamento giuridico internazionale positivo. La rinuncia all’universalismo moderno diventa il presupposto dell’emergere dell’idea dell’espansione della società internazionale europea.

Mentre, scrive Hall, gli Stati europei e di origine europea sottostanno a questo diritto e solo attraverso un atto volontario possono rinunciare a tale diritto, gli stati

136 Hall, ibid. , p. 24 137 Hall, ibid. , p. 42.

112 che invece non appartengono alla civiltà europea devono formalmente aderire al circolo “of law-governed countries”.138

Devono compiere delle azioni in accordo con una parte o tutti gli Stati della civiltà europea, “which amounts to an acceptance of the law in its entirety beyond all possibilities of misconstruction”139. Devono dimostrare, in altre parole, l’adesione al sistema complessivo del diritto internazionale della civiltà europea, e spetta agli stati europei la decisione su chi possa aderire al diritto internazionale.

Come abbiamo già affermato, la concezione del diritto internazionale qui presentata non è più universale, nel significato assunto negli autori precedenti. E non poteva non essere così visto il rifiuto del diritto naturale. Il punto di partenza è il riconoscimento dell’origine europea del diritto internazionale, da cui discende il principio che solo gli stati europei sono naturalmente, automaticamente, soggetti del diritto internazionale, salvo l’espressa e chiara volontà di abbandonare tale ordinamento.

E’ in questo punto che però vediamo emergere una fondamentale differenza rispetto agli autori precedenti. Il loro infatti era un universalismo chiuso. Per questi autori esisteva un diritto naturale e divino comune a tutti gli uomini, limitato però a pochissimi e generici principi, ed un diritto positivo europeo, il vero oggetto dei loro studi, limitato ai soli Stati europei.

Al contrario, per Hall, e per i giuristi successivi, il diritto internazionale non può più essere universale, perché si riconosce la sua chiara origine europea (degli istituti giuridici europei), ma questo particolarismo si apre alla possibilità di includere gli stati non appartenenti a questa civiltà. Così Hall scrive che uno stato le cui origini risiedono oltre i confini della civiltà europea può aderire al diritto internazionale solo attraverso un atto formale, sotto la supervisione degli stati europei. Se quell’universalismo non era in grado di includere nel diritto positivo le nazioni non europee e di origine non europea, questo particolarismo si prepara a

138 Hall, ibid. , p. 43. 139 Hall, ibid. , p. 43

113 diventare un nuovo universalismo globale, potendo includere nel proprio sistema giuridico positivo tutti gli stati indipendentemente dalla loro origine.

Hall approfondisce ulteriormente questo aspetto legato all’espansione della società internazionale europea, affermando che la possibilità di includere gli stati non appartenenti alla civiltà europea discende dal fatto che si è progressivamente affermata la tendenza da parte degli Stati europei ad applicare le norme del diritto internazionale anche nelle relazioni con Stati non europei e, dall’altra parte, le potenze non europee si aspettano che questi stati rispettino sempre gli standard in base ai quali governano le relazioni tra di essi:

Thus China, after France had blockaded Formosa in 1884, communicated her expectation that England would prevent French ships from coaling in British ports. Tacitly, and by inference from a series of acts, states in the position of

China may in the long run be brought within the realm of law.140

Vediamo allora come l’inclusione sia pensata come la conseguenza delle maggiori interazioni tra gli stati e del maggior coinvolgimento degli stati europei negli affari che non riguardano direttamente il suolo europeo. Non è tanto la crescita dell’interdipendenza, non dobbiamo vedere questo con i nostri concetti, ma piuttosto il progressivo coinvolgimento degli stati europei in quella che gli storici tedeschi negli stessi anni definivano più correttamente come Weltpolitik.

E’ però importante sottolineare che questa inclusione degli stati non europei è ancora pensata come un’evenienza lontana, e questo perché se, da una parte, gli Stati europei sono obbligati a rispettare i principi e le norme del loro diritto internazionale anche in favore di stati semi-civilizzati, dall’altro lato, il rispetto di tali norme da parte degli stati non europei richiede un maggiore tempo:

For example, it cannot be hoped that China, for a considerable time to come, would be able, if she tried, to secure obedience by her officers and soldiers even to elementary European rules of War.141

140 Hall, ibid. , pp. 47-50. 141 Hall, ibid. , p. 52

114 Per Hall, quindi, la reciprocità nel rispetto del diritto internazionale è innanzitutto un problema culturale, declinato qui nei termini dei livelli di civiltà. Inoltre, vediamo come è cambiata la percezione della Cina. Per Wheaton essa apparteneva ancora ad un’altra civiltà, differente rispetto a quella europea. Civiltà diventa un concetto universale il cui monopolio spetta, anche se solo temporaneamente, all’Europa mentre la Cina diventa una nazione semi-civilizzata.

Quindi se per Wheaton e Phillimore esisteva un diritto universale comune a tutti gli uomini e un diritto positivo legato alle singole e diverse civiltà, ora invece la civiltà diventa una, quella europea, a cui, nel lungo periodo tutti gli altri stati aderiranno.

L’influenza dell’origine europea sulla struttura del diritto internazionale emerge quando Hall deve giustificare le giurisdizioni speciali per cittadini europei. Hall scrive che, poiché il diritto internazionale è il prodotto della civilizzazione europea, presuppone che i principi di tale civiltà siano presenti sia nell’ordinamento internazionale come in quello nazionale. In questo senso, il diritto internazionale presuppone che i cittadini stranieri siano in grado di ricevere giustizia, sia a livello penale che civile, con un grado tollerabile di equità rispetto ai cittadini dello stato, e quindi ogni stato che si riconosce di essere soggetto al diritto internazionale è obbligato a fornire tali garanzie. “If it fails to do so, either through the imperfection of its civilisation, or because the ideas, upon which its law is founded, are alien to those of the European peoples, other states are at liberty to render its admission to the benefits of international law dependent on special provision being made to safeguard the person an property of their subjects”142.

Hall approfondisce però questa questione legata alla legittimità dell’ingerenza negli affari interni di un altro Stato. Infatti, da una parte, Hall ribadisce la sua visione del diritto internazionale, nel senso di un ordinamento giuridico che, per il fatto di riferirsi solo alle relazioni tra stati, non si può in alcun modo interessare

115 della condotta di uno stato nei confronti dei propri cittadini , anche nel caso in cui tale condotta sia tirannica e crudele143.

Rispetto a questo principio generale, Hall concede però alcune eccezioni quando afferma che nessuna ingerenza è legale, a meno che, in casi comunque rari e straordinari, the whole body of civilised states non l’abbia autorizzato144. Solo di fronte all’estrema gravità dei fatti in questione, e di fronte alla purezza delle motivazioni che spingono gli stati ad intervenire, solo in questi casi l’ingerenza può essere legittimata. L’autore definisce questo intervento come “humanitarian

intervention”145.

Per non fraintendere le pagine dell’autore dobbiamo però seguire passo per passo il suo ragionamento. Come abbiamo già scritto, l’autore esordisce scrivendo che lo Stato, sovrano ed indipendente, non è l’unica modalità attraverso la quale sia possibile organizzare politicamente questa parte del mondo, ma è piuttosto la soluzione che gli europei trovarono per affrontare il caos che emerse dall’erosione delle potestà universali rappresentate dal Papa e dall’Imperatore. Il diritto internazionale fu una conseguenza di questa nuova organizzazione politica dell’Europa, e proprio in ragione di ciò il diritto non può prescindere dal riconoscimento della sovranità. Quindi, l’ordinamento giuridico internazionale si riferisce solo ed esclusivamente alle relazioni tra stati.

Da questa concezione del diritto discende la necessità di limitare il più possibile il diritto all’intervento negli affari interni di un altro Stato. Ma, nonostante ciò, nella