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Ripartiamo dalla definizione del diritto internazionale di Woolsey per definire le ultime due questioni, quelle che negli anni successivi assumeranno un peso sempre più preponderante, la questione del governo internazionale ed il problema della definizione dei confini dell’ordinamento giuridico internazionale:

International law is a system of rules adopted by the free choice of certain nations for the purpose of governing their intercourse with each other, and not inconsistent with the principle of natural justice.69

66 Woolsey, ibid. , p. 174. 67 Woolsey, ibid. , p. 176. 68 Woolsey, ibid. , p. 177. 69 Woolsey, ibid. , p. 385.

66 A questa generale definizione Woolsey aggiunge subito dopo queste parole:

It has grown up by degrees […] It is the most voluntary of all codes.70

Si noti, in primo luogo, l’assenza di qualunque riferimento al concetto di società internazionale, sostituito dall’idea della libera scelta a disposizione di ogni nazione nei confronti della possibilità di aderire volontariamente ad un insieme di norme sottoposte a continuo mutamento in base al principio del comune consenso. Ma proprio dall’importanza attribuita al consenso, implicito o esplicito, discendono quelli che lo stesso autore definisce come i difetti dell’ordinamento giuridico. Infatti, da questo suo carattere esclusivamente volontario, proprio di un diritto che regola la condotta di stati perfettamente sovrani, né discende un ordinamento giuridico rigido, i cui mutamenti sono necessariamente lenti dovendo ottenere il consenso generale, quando invece le nazioni sono spesso caratterizzate da visioni e concezioni diverse del diritto internazionale, dove le nazioni più anziane sono portatrici di un più alto senso di giustizia.

Un problema che è accentuato dall’assenza “of an authoritative exponent of its principles”, per cui, mentre a livello nazionale se due individui divergono sull’interpretazione del diritto un tribunale può dirimere tale disputa, invece a livello internazionale nessuna nazione può imporre la sua interpretazione del diritto ad un’altra, se non attraverso la guerra. Per affrontare questa questione, od almeno stabilire i caratteri certi del diritto internazionale, Woolsey propone si l’istituzione di un congresso di uomini colti in grado di stipulare un codice a cui tutte le nazioni cristiane avrebbero potuto adeguarsi, in modo tale da attribuire certezza alle norme del diritto internazionale71. Ma questo non era altro che l’obiettivo che tutta la riflessione giuridica del XIX secolo si era posta intraprendendo il tentativo di sistematizzare e codificare il diritto internazionale. Dal carattere volontario del diritto internazionale discende, in secondo luogo, una limitazione dei confini dell’ordinamento giuridico internazionale agli Stati

70 Woolsey, ibid. , p. 385. 71 Woolsey, ibid. , p. 387.

67 civilizzati. Di nuovo non abbiamo l’idea di una società di stati da cui nasce un particolare ordinamento giuridico, ma l’idea di un diritto internazionale

universale, potenzialmente estendibile a tutte le nazioni della terra, adottato, e implementato, dagli stati civili. In questo modo, i confini dell’ordinamento

giuridico internazionale non dipendono più dalla diffusione delle civiltà (Cristianità – Europa – Civiltà) ma dalla volontaria adesione all’ordinamento internazionale, anche se questa adesione può avvenire solo da parte di uno stato che maturi un sentimento di giustizia, necessariamente legato al livello di civilizzazione, tale per cui possa essere in grado di riconoscere il valore vincolante del diritto internazionale.

Nel primo caso, abbiamo l’idea di un ordinamento giuridico internazionale stabile i cui confini coincidono con quelli della civiltà europea – occidentale, nel secondo caso abbiamo l’idea di un ordinamento caratterizzato da una potenziale espansione oltre i confini che uniscono gli stati civilizzati. La differenza risiede nel fatto che, da un parte, il soggetto a cui si riferisce l’ordinamento giuridico è la dimensione unitaria che racchiude gli stati; nel secondo caso, invece, il soggetto diventa lo stato che aderisce, in base al grado di civilizzazione raggiunto, all’ordinamento giuridico72.

In questo modo Woolsey anticipa quella riflessione giuridica, intorno alla questione del consenso-civilizzazione, che coinvolgerà la scienza giuridica europea posta di fronte alla questione dell’inclusione di stati appartenenti a civiltà diverse nell’ordinamento giuridico internazionale occidentale. Ma per Woolsey si tratta ancora solo di una potenziale universalizzazione del diritto internazionale, e la sua preoccupazione non è tanto quella dell’inclusione degli Stati non occidentali, ma piuttosto quella della necessità di individuare dei principi di giustizia che regolino le relazioni tra stati civilizzati e stati non civilizzati:

As it is a voluntary code, to which neither half-civilized nor the barbarian parts of the world have given their assent, the Christian States who make it a law between themselves, are in danger of acting as if no rules of justice bound them beyond their

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own circle, and as if nations which refuse to abide by their rules of intercourse in any respect were to be treated as enemies.73

Il problema diventa quindi quello di criticare il modo in cui si comportano gli stati civilizzati, ed in particolare quelli europei, nei confronti degli altri Stati:

“Now great nations do not scruple to seize an island or coasts with no sufficient pretext, or go to war because a nation of the East, in the exercise of its sovereignty, decline to trade with them.74

La critica è perciò rivolta contro le ingerenze delle potenze europee che non rispettano nemmeno le più generali norme dettate dal senso di umanità:

No cure can be effectual for this evil, until a deeper and moral sense and feeling of brotherhood shall dictate rules, human and just, by which the vessels of civilized nations shall govern their intercourse with the wear and the barbarous parts of the world.75

L’ordinamento giuridico internazionale, quindi, non si estende alle popolazioni non civilizzate perché non sono guidate dal senso di giustizia che è invece riconosciuto dagli stati cristiani. Ma ciò non significa che uno stato cristiano non debba rispettare questi principi di giustizia anche nelle relazioni con i popoli selvaggi:

The Christian State is bound by its own character and practice, in warring with savage, to exercise good faith and humanity.76

Possiamo ora chiederci se l’ordinamento giuridico internazionale pensato da Woolsey sia o meno universale. Innanzitutto, possiamo affermare che non è universale-globale, a causa dell’esclusione delle nazioni definite come non

73 Woolsey, ibid. , p. 389. 74 Woolsey, ibid. , p. 389. 75 Woolsey, ibid. , p. 389. 76 Woolsey, ibid. , p. 233.

69 civilizzate, ma è potenzialmente universale perché i principi (cristiano-europei) su cui si fonda sono pensati come comuni a tutti gli uomini. L’idea è che questi principi, che sono stati per primi riconosciuti dagli stati cristiani-europei (o di origine europea), possono però essere riconosciuti da quelle nazioni che abbiano raggiunto un sufficiente livello di civiltà.

In altre parole, Woolsey afferma l’idea dell’esistenza di un principio di giustizia universale su cui si fonda il diritto internazionale che gli stati, attraverso il progresso della civiltà, possono giungere a riconoscere. Se consideriamo che questo principio di giustizia corrisponde al riconoscimento della reciproca sovranità vediamo come questo principio non sia più pensato come sinonimo di

Europa ma come un attributo universale del genere umano. Un principio

universale, che, però, ha raggiunto la sua massima espressione nell’Europa Cristiana. E, infatti, Woolsey aggiunge che il buon esempio da parte degli Stati civilizzati può aiutare le altre comunità politiche a comprendere e rispettare le norme del diritto internazionale. Per tale ragione, nei confronti di queste comunità politiche non è solo necessario agire “justly and kindly”, ma è necessario spingerle verso l’adesione all’oridinamento giuridico internazionale:

Why should they not, if it is based on the true principles of human nature, presupposes a universal morality and is this fitted to be the law of mankind? In all probability a short time will be needed to bring Persia, Siam, Japan and China, fully under this law.77

Woolsey quindi afferma l’esistenza di un legame tra diritto internazionale e cristianità, perché i principi di giustizia su cui si fonda l’ordinamento giuridico internazionale sono i principi della religione cristiana. Abbiamo già incontrato questo legame tra diritto internazionale e Cristianesimo nelle pagine di Phillimore, ma ora emerge una sostanziale differenza.

In Phillimore troviamo la distinzione tra un diritto universale, il cui fondamento risiede nell’universalismo cristiano, e un diritto particolare che unisce la

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Communitas Christiana, il quale discende dalla concreta influenza della religione

cristiana, distinguendolo quindi dalle altre civiltà. In Woolsey scompare il riferimento all’idea del diritto universale, mentre questa componente universalistica trasla nella seconda concezione del diritto, laddove l’ordinamento giuridico particolare viene pensato come fondato su principi universali che, seppure ora rappresentati dalla religione cristiana, possono o potrebbero essere accolti dalle altre nazioni.

Dalla distinzione tra un diritto universale ed un diritto particolare giungiamo all’idea di un diritto particolare, quello europeo, che è però in grado, seppure ancora solo a livello potenziale, di espandersi oltre i suoi confini originari.

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Capitolo IV

La filosofia e il diritto internazionale. James Lorimer (1818-

1890)

Rispetto ai giuristi che considereremo in queste pagine, James Lorimer merita un discorso autonomo. Non fu solo uno dei più eminenti giuristi del XIX secolo, membro-fondatore dell’Istituto di Diritto

Internazionale, le cui opere furono tradotte in spagnolo, italiano e, naturalmente,

francese. Ma si occupò a lungo, dopo aver studiato in Germania, di filosofia del diritto, elaborando una complessa dottrina filosofica del Diritto di Natura.

Lorimer fondò la sua riflessione giuridica internazionale sui principi che aveva dedotto dalla sua definizione del diritto di natura, differenziandosi così dalla contemporanea riflessione giuridica inglese. Fu spesso criticato per questa sua scelta di mantenere la subordinazione del diritto positivo rispetto al diritto di natura, mentre, negli stessi anni, Edward Hall giunge a ripudiare qualunque riferimento ad una tale dottrina.

Il fatto è che Lorimer non fu un giurista intento a ricercare e definire i principi e le norme che gli Stati rispettavano nelle reciproche relazioni, ma fu piuttosto un filosofo intento a definire i principi e le norme che dovevano comporre un ordinamento giuridico internazionale in funzione dei principi di giustizia su cui si doveva fondare. Come vedremo nella conclusione di questo capitolo, proprio questa sua ricerca di una fondazione filosofico-morale dell’ordinamento giuridico gli permise di anticipare quei problemi che emersero solo con lo scoppio della

72 prima guerra mondiale. Un’anticipazione che si mostrò negli stessi termini che Lorimer scelse di utilizzare per descrivere i problemi politici che, dal suo punto di vista, affliggevano la società internazionale del XIX secolo: International Anarchy e International Government.