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Due sono secondo Phillimore le funzioni principali che devono essere svolte dall’ordinamento giuridico internazionale.

Da una parte, poiché il fondamento del diritto internazionale discende dal riconoscimento dell’esistenza di una communitas costituita da stati sovrani, il primo compito dell’ordinamento è quello di riconoscere, proteggere e tutelare (enforced) quei diritti che discendono, sia dal punto di vista logico che da quello morale, dal riconoscimento dell’Individualità e dall’Interdipendendenza (ma la parola inglese rende meglio questo significato Intercommunion) degli Stati, senza la quale non esisterebbe una società di stati e quindi non ci sarebbe nemmeno un Diritto Internazionale. Di nuovo allora vediamo come per questi giuristi non vi sia alcuna contraddizione tra l’affermazione dell’individualità (sovranità) degli stati,

49 la percezione dell’appartenenza ad una comunità internazionale e il diritto internazionale. Al contrario, questi sono i tre punti cardine intorno ai quali si sviluppa la loro riflessione politico giuridica.

Accanto a questa funzione fondamentale, perché senza di essa non esisterebbe lo stesso ordinamento internazionale, il diritto internazionale, nel corso del suo cammino, grazie all’influenza del cristianesimo, ha svolto ed ancora svolge la funzione di mitigare la violenza nelle relazioni tra stati:

The constant intercourse and increasing civilization of nations has given rise to a usage and practice which greatly mitigates the severity with which these rights might be exercised.38

Esiste però, sottolinea Phillimore, una differenza fondamentale tra il riconoscimento di un diritto in senso stretto, e quelle pratiche che mitigano la politica internazionale. Nel primo caso, la risposta ad una violazione può avvenire attraverso il ricorso alla guerra, (which in the community of nations answers to the act of the Judical and Executive power in the community of individuals). Nel secondo caso, invece, la violazione delle norme può essere punita solo con una analoga condotta da parte di chi ha subito tale torto.

Questi diritti tutelati dall’ordinamento giuridico discendono innanzitutto dal principio dell’indipendenza e dell’uguaglianza degli stati (i quali, secondo Phillimore, costituiscono la base del diritto internazionale). Dal primo principio Phillimore deriva il diritto alla libera scelta dell’ordinamento costituzionale interno senza l’interferenza di alcuno stato straniero, il diritto all’inviolabilità del proprio territorio, il diritto all’autodifesa, il diritto esclusivo a disciplinare secondo il proprio ordinamento giuridico interno tutte le persone e tutte le cose che si trovano all’interno del proprio territorio e, in certi casi eccezionali, anche oltre i confini statali, come nel caso dei cristiani in terre sottoposte al controllo di musulmani ed infedeli. Qui, è evidente come lo sguardo di Phillimore sia sostanzialmente rivolto alle vicende politiche che coinvolgevano il continente europeo.

50 Nel capitolo III (Right to a Free Choice of Government), dopo aver nuovamente affermato il diritto totale ed esclusivo, spettante ad ogni stato, di poter scegliere liberamente la propria forma di governo, riconosce l’esistenza di un limite a questa libertà, limite che discende dal riconoscimento dell’esistenza di una società degli Stati. Infatti, scrive che questa libertà può essere limitata dai diritti degli altri stati che appartengono allo stesso sistema, i quali possono controllare e limitare la libertà di ogni singolo stato, come all’interno di una società il diritto alla libertà di ogni singolo individuo è limitato dall’eguale diritto dei suoi vicini. Il ricordo delle guerre napoleoniche era ancora vivo nelle pagine di Phillimore.

La modalità attraverso la quale si può concretamente esprimere questa limitazione della libertà statale è rappresentata dalla Balance of Power, definita come il diritto da parte di una terza potenza di vigilare sul mantenimento dell’Equilibrio tra gli stati esistenti, non solo prevenendo un’aggressione di uno stato contro un altro, ma anche curandosi del fatto che i cambiamenti interni prodotti da una rivoluzione non permettano ad uno stato di acquisire nuove forze tali da “minacciare la libertà del resto del mondo”39. E’ qui evidente la preponderante prospettiva inglese.

Quindi uno stato può intervenire legittimamente nella sfera interna di un altro stato se i mutamenti interni a quest’ultimo mettono in discussione il pluralismo statale da cui dipende la stessa libertà europea.

Una Balance of Power, quindi, pensata non solo come sostegno dell’ordinamento internazionale (il principio per cui è necessario conservare l’indipendenza degli stati, attraverso l’equilibrio, per salvaguardare l’ordinamento internazionale), ma anche come garanzia della libertà del mondo (europeo):

It is the right of self defence, which is lawfully exercised in preventing and repelling attack […]. This principle(the balance of power) of international law has been rooted in the usage and practice of the whole civilesed world. The preservation of the balance of power has been the professed object of all, ad the real and most of what may be called the cardinal treaties. […]. The doctrine of Balance of Power has of late years been attacked and ridiculed. It

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certainly is liable to great abuse, but, fairly explained, means no more than the right to timely prevention of a probable danger.40

Infatti, Phillimore afferma l’idea che l’energia, la forza e la vitalità che hanno animato e arricchito la cristianità sono il frutto della libera competizione ed emulazione “arising from the existence of states of no considerable territorial

grandeur, but member of a commonwealth which proclaimed that Russia and

Geneva had equal rights”. Da ciò deriva l’obbligo di soccorrere ogni stato oppresso appartenente al “commonwealth of civilised states”, e il biasimo che Phillimore esprime nei confronti dell’idea che uno stato debba ricercare un ingrandimento territoriale come condizione del suo benessere e della sua sicurezza. Da ciò deriva la critica nei confronti della guerra dell’Austria e della Prussia contro la Danimarca, e dalla Prussia contro i suoi deboli vicini. Guerre che hanno radicalmente violato quel principio, la Balance of Power, così recentemente e così solennemente riconosciuto dai trattati internazionali. Un Equilibrio di Potenza, quindi, pensato come il principio attraverso il quale poter difendere gli stati più deboli dalle angherie delle grandi potenze.

E’ ancora qui evidente come la prospettiva di Phillimore sia profondamente legata alle vicende politiche dell’Europa continentale, come invece non lo era stato Wheaton e come non lo saranno i giuristi inglesi successivi, attenti piuttosto al disciplinamento dell’espansione oltre oceano dell’ordinamento internazionale europeo.

2.3. La questione della Sanzione: la rilevanza del concetto di società