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Possiamo ora affrontare l’ultima questione legata al pensiero di Wheaton, la determinazione dei confini dell’ordinamento giuridico. In generale, l’estensione spaziale dei confini del diritto internazionale può essere determinata in due modi differenti. Il primo si riferisce alla dottrina del diritto naturale, posto come fondamento del diritto internazionale e pensato come un insieme discreto di norme comuni a tutti gli uomini, derivabili secondo ragione o secondo la volontà divina. Il secondo modo attraverso il quale è possibile pensare i confini dell’ordinamento giuridico è quello di misurare l’estensione concreta dei singoli istituti giuridici che compongono il diritto internazionale. Si tratta, in altre parole, di definire l’ambito spaziale di validità delle norme che sono ritenute parte dell’ordinamento giuridico internazionale. Ci sono quindi, per la tradizione giuridica occidentale, due confini differenti, quelli posti dal diritto di natura e quelli posti dal diritto internazionale vigente.

I confini posti dal diritto naturale sono confini universali, ma di un universalismo profondamente diverso rispetto al nostro universalismo che si colloca in una prospettiva globale che era estranea al pensiero moderno. L’universalismo del diritto di natura è innanzitutto un’idea.

Ma è proprio questa idea che esistano regole comuni a tutti gli uomini che abitano l’ecumene che viene posta in crisi nel momento in cui si intrecciano le relazioni e aumenta la conoscenza dei popoli appartenenti a culture completamente differenti. Il fatto è che la conoscenza di culture e civiltà differenti alimenta la consapevolezza delle differenze negli usi e costumi che intercorrono tra i diversi popoli. E’ emblematica, su questo punto, la frase di Montesquieu: “ogni nazione ha un diritto delle genti – anche gli Irochesi, che divorano i prigionieri, né hanno

33 uno. Ricevono ed inviano ambasciatori; hanno concezione dei diritti della guerra e della pace”, citata continuamente sia da Phillimore che da Wheaton. Gli Irochesi riconoscono delle norme che disciplinano le relazioni tra comunità politiche autonome, ma tra quelle regole è compreso il cannibalismo che difficilmente potrebbe rientrare nella tradizionale concezione del diritto di natura della tradizione occidentale. E’ proprio la consapevolezza delle differenze tra le diverse culture e popolazioni, mentre queste vengono sempre più coinvolte nelle dispute internazionali europee, che rende difficile individuare quelle regole comuni pensate attraverso il Diritto di Natura.

Dopo aver citato il filosofo francese, Wheaton continua citando Leibnitz, “il diritto delle nazioni non deve essere necessariamente il diritto di tutte le nazioni o di tutti i secoli, dal momento che sono decisamente differenti le idee intorno al diritto internazionale proprie degli europei e degli indiani”. Se, quindi, le differenze tra le culture-civiltà sono così rilevanti, allora l’unica conclusione possibile è che non esiste un diritto internazionale universale:

Esiste un diritto delle nazioni uniforme? Certamente non tra tutte la nazioni e tutti gli stati del mondo. Il diritto pubblico, tranne poche eccezioni, è sempre stato ed ancora è limitato ai popoli, civili e cristiani, europei o di origini europee.

Questa conclusione non ci stupisce affatto perché è perfettamente coerente con la sua idea del diritto internazionale:

Il principale fondamento del diritto delle genti europeo è la comunanza di origini, di costumi, di istituzioni e di religione, per cui le nazioni cristiane si distinguono dal mondo islamico. Per quanto riguarda le relazioni delle nazioni cristiane con le islamiche, quelle spesso si sono limitate a trattare queste con il loro diritto, ovvero, applicando loro il diritto internazionale della cristianità, modificandolo.24

34 Cosa rimane dell’universalismo del diritto internazionale se questo vige solo tra le nazioni civili?

In primo luogo, dobbiamo dire che Wheaton non esclude completamente il riferimento all’esistenza di un tale diritto. Ma nelle sue pagine la questione del diritto di natura non si pone nei termini di una questione etico morale, come sarà invece per Phillimore, nel senso di un insieme di principi di giustizia in funzione del quale poter giudicare il diritto vigente. Certo, il suo Jus Naturale afferma il principio che la violenza non necessaria non è legittima, ma è lo stato che determina ciò che è necessario. La questione etico-morale è piuttosto connessa alla dimensione della società internazionale, nei termini della moralità internazionale.

Il Diritto di Natura è invece pensato dal punto di vista dei concreti istituti giuridici, delle concrete norme, inerenti alle relazioni tra comunità politiche indipendenti, comuni a tutti gli uomini. Ed è questa visione del Diritto di Natura che è soggetta ad un continuo processo di minimizzazione, fino alla sua definitiva scomparsa, perché quell’idea dell’esistenza di norme comuni doveva fare i conti con le sempre maggiori conoscenze del diritto antico (si pensi alle pagine di Wheaton sulla schiavitù) e delle usanze delle popolazioni del nuovo mondo (si pensi all’esempio degli Irochesi) che dimostravano l’esistenza di norme che difficilmente potevano essere compatibili con le norme tradizionalmente attribuite allo Jus Naturale. E, quando, negli anni successivi Phillimore e Lorimer ribadiranno il legame tra diritto di natura e diritto internazionale considerarono solo la questione etico-morale. Per questo motivo, nelle sue pagine l’universalismo dettato dall’idea dell’esistenza di regole comuni a tutti gli uomini e a tutti i popoli viene posto ai margini, anche se sarà eliminato solo dalle edizioni successive alla sua morte. Ma, accanto alla marginalizzazione del diritto naturale, Wheaton sembra intuire una nuova forma di universalismo giuridico, non più legato ad un’idea ma piuttosto causato dall’espansione della politica internazionale europea:

The progress of civilization, founded on Christianity, has gradually conducted u sto observe a law analogous to this in our intercourse with all nations of the globe, whatever may be their religious faith, and without reciprocity in their

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part. It may be remarked, in confirmation of this view, that the more intercourse between the Christian nations in Europe and America and the Mohammedan and Pagan nations in Europe indicates a disposition, on the part of the latter, to renounce their peculiar international usages and adopt those of Christendom. The rights of legation have been recognized by, and reciprocally extended to Turkey, Persia, Egypt, and states of Barbary. The independence and integrity of the Ottoman Empire have been long reagarded as forming essential elements in the European balance of power, and, as such, have recently become the objects of conventional stipulations between the Christian States of Europe and that Empire, which may be considerd as bringing it within the pale of the public law of the former. The same remark may be applied to the recent diplomatic transactions between the Chinese Empire and the Christian nations of Europe and America, in which the former ha been compelled to abandon its inveterate anti-commercial and anti-social principles, and to acknowledge the independence and equality of other nations in the mutual intercourse of war and peace.25

Ma Wheaton non giunse ad elaborare quei concetti che avrebbero permesso, alcuni decenni dopo, all’ordinamento giuridico europeo di seguire l’espansione della società internazionale europea. Wheaton stava solo intuendo ed anticipando quelle riflessioni che invece saranno svolte dai suoi successori. Ma prima di considerare questi nuovi concetti, dobbiamo soffermarci su un altro giurista, che scrisse pochi anni dopo la morte del diplomatico americano, e che, con più forza di Wheaton, cercò di salvaguardare il riferimento al Diritto di Natura, Robert Phillimore.

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Capitolo II

Il diritto di natura e la Communitas Christiana. Robert

Phillimore (1810-1885).

Robert Phillimore (1810-1885) scrive i cinque volumi che compongono la sua opera, Commentaries upon International Law, tra il 1851 e il 1861, pochi anni dopo l’ultima edizione dell’opera di Wheaton. Il lavoro di Phillimore testimonia come il termine di “International Law” si sia diffuso all’interno della disciplina giuridica inglese, tanto da non percepire più la necessità, a differenza di Wheaton, di giustificare la scelta di sostituire il tradizionale “Law of Nations” (Jus Gentium).

Se, quindi, il nome ormai è stato scelto, Phillimore si trova ancora di fronte al problema di confutare i dubbi intorno alla stessa esistenza di un insieme di norme che possano essere definite come “International Law”. L’argomentazione dell’autore è identica rispetto a quella che abbiamo trovato nelle pagine di Wheaton, e che troveremo negli autori successivi: esiste un diritto internazionale perchè gli stati, di cui si riconosce la reciproca indipendenza, formano una società internazionale, e ove vi sia società deve esserci diritto:

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It is a matter of fact that states and nations recognized the existence of and independence of each others; and out of a recognized society of Nations, as out of society of individuals, Law must necessarily spring.26

Ubi societas ibi ius. Per rafforzare questa sua definizione del diritto internazionale

Phillimore cita il classico brano di Suarez:

Ratio autem hujos partis, et juris est, quia humanum genus quantumvis in varios populos, et regna divisum, semper habet aliquam unitatem non solùm specificam, sed etiam quasi politicam, et morale.

Potremmo dire che le parole di Suarez racchiudano la concezione del diritto internazionale di questi giuristi inglesi del XIX secolo, se non fosse per una sola fondamentale differenza. Nel corso del XIX secolo non troveremo più alcuna traccia del riferimento al genere umano, ma piuttosto il richiamo alla communitas

christiana, alla comune civiltà europea ed infine alla Civiltà moderna. Il punto

fondamentale è rappresentato dal legame tra il diritto internazionale e la società internazionale. L’idea è che esiste un diritto internazionale nella misura in cui esiste un’unità che racchiude ogni singolo Stato. Un’unità plurale, un’unione che non si contrappone alle singole unità.

L’idea di una società internazionale, nel senso di un’unità che racchiude gli stati da cui discende il diritto internazionale, nelle pagine di Phillimore si esprime nei termini di “The Great Community of the World”, “The Society of Societies” e “The

Society of Nations”:

The great community, the universal commonwealth of the world, comprehends a variety of individual members, manifesting their independent national existence through the medium of an organized government, and called by the name of states.27

26 Phillimore, Commentaries Upon International Law, [1851-1861] London, Butterworths, 1871; p. 76. 27 Phillimore, ibid. , vol. I , p. IX.

39 Nelle pagine di Phillimore questa dimensione unitaria acquisisce una tratto peculiare, l’idea che la società internazionale trovi il proprio fondamento nella volontà divina:

The necessity of mutual intercourse is laid in the nature of states, as it is of individuals, by God, who willed the State and created Individual.28

Sia la divisione in Stati che la loro unità discendono quindi dalla volontà divina, per cui non vi è alcuna contraddizione tra la logica del diritto internazionale e quella dell’organizzazione statale. Una società internazionale che non è vista come preminente rispetto alla libertà statale, poichè lo stesso diritto internazionale è pensato come ciò che scaturisce dalle relazioni che si instaurano tra le nazioni. Sono le relazioni tra gli stati che determinano l’emergere di diritti e doveri internazionali (International Rights and Duties), ed il riconoscimento di questi diritti e doveri determina l’emergere di un diritto internazionale che sia in grado di regolarli ed imporli (regulation and enforcement). Un diritto, infine, che non è imposto da nessuna potestà superiore sulla terra, ma è piuttosto pensato come ciò che scaturisce dai desideri di Dio, “and it is expressed in the consent, tacit or declared, of indipendent Nations”, un diritto internazionale, quindi, il cui rispetto è necessario per garantire la stessa libertà dei singoli stati.

2.1. Le componenti del diritto internazionale: la Legge Divina e il