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Origine ed evoluzione normativa del regime speciale

I detenuti nel 41 bis 4.6 I circuiti penitenziari 4.7 Analogie e differenze con i regimi di massimo rigore spagnoli 4.8 Ancora un problema di effettiva finalità rieducativa

4.1 Origine ed evoluzione normativa del regime speciale

L'Ordinamento penitenziario italiano è disciplinato dalla legge 26 luglio 1975 n. 354.

Questa, nella sua impostazione originaria, prevedeva il medesimo regime di detenzione per tutti i soggetti reclusi, senza distinzioni in funzione delle caratteristiche soggettive o del titolo di reato, in quanto si credeva nella parità di trattamento fra i detenuti.

L’unico Istituto previsto per il mantenimento dell’ordine interno agli Stabilimenti penitenziari era indicato all'art. 90, che attribuiva al Ministro della giustizia la facoltà di sospendere le regole del trattamento penitenziario nel caso in cui vi fossero straordinarie esigenze di sicurezza interna e sociale da salvaguardare192.

La norma trovava fondamento nel clima di allarme sociale derivante dal terrorismo nato alla fine degli anni Sessanta, e nella situazione delle carceri italiane, scosse da episodi di rivolta che fecero emergere il problema della gestione dei detenuti pericolosi.

Nella seconda metà degli anni Settanta fu necessario un adeguamento

192 Cfr. V. Grevi, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna,

della legislazione alla situazione di emergenza terroristica; nel 1977 vennero così emanati Decreti interministeriali e fu creato il “circuito delle carceri di massima sicurezza”193, all’interno del quale, in virtù di

un uso eccessivo dell’art. 90, furono sospese le ordinarie regole di trattamento, senza accertamento della pericolosità dei detenuti. Queste si caratterizzarono per un appesantimento delle condizioni di vita dei reclusi derivanti dal totale isolamento per l’esclusione delle comunicazioni, la riduzione delle ore d'aria, l’impossibilità di ricevere pacchi e di acquistare generi alimentari, le limitazioni ai rapporti con la famiglia. I circuiti erano quindi fondati sulla segregazione e sulla neutralizzazione del reo senza che questo avesse possibilità di attivare alcun rimedio giurisdizionale194.

La legge Gozzini, n. 663 del 1986, cercò di rimediare alla situazione creatasi, tramite l’introduzione di due Istituti volti a garantire la sicurezza intracarceraria: il regime di sorveglianza speciale dell’art. 14 bis e il potere del Ministro della Giustizia di sospendere le ordinarie regole di trattamento dell’art. 41 bis, il quale sostituì l’art. 90.

La pericolosità dei detenuti comportava rischi per la sicurezza e l’ordine interno; dalla riforma rimaneva esclusa la pericolosità sociale. Il potere del Guardasigilli, nel secondo caso poteva infatti essere esercitato solamente in situazioni eccezionali di rivolta (essendo lo strumento ordinario il 14 bis) o di altre gravi situazioni di emergenza e aveva carattere temporaneo195.

La strategia di contrasto al crimine organizzato è proseguita con l’introduzione di una disciplina di estremo rigore per i soggetti che si rifiutino di collaborare con la giustizia.

Un primo strumento è quello dell’art. 4 bis introdotto con d.l 152/1991,

193 A. Della Bella, Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei

diritti fondamentali, presente e futuro del regime detentivo speciale ex art. 41bis o.p., Milano, 2016

194 Cfr. A. Morrone, Il penitenziario di massima sicurezza nella lotta alla

criminalità organizzata, in Diritto Penale e Processo, n. 6, 2004, p.749

convertito in legge 203/1991, il quale preclude l’accesso ai benefici di quanti abbiano commesso delitti per i quali non si possano escludere collegamenti con la criminalità organizzata o in ipotesi di commissione di altri gravi reati.

Il secondo strumento è il ripristino del regime di massima sicurezza, con attenzione alla pericolosità sociale, nell'estate del 1992 con d.l 306, convertito in legge 356/1992, che ha introdotto il comma 2 dell'art. 41 bis, espressamente destinato ad arginare la criminalità organizzata, responsabile di terribili atti che scossero lo Stato, quali le stragi di Capaci e di via D'Amelio, nelle quali persero la vita, tra gli altri, i giudici Falcone e Borsellino196.

Nel corso degli anni la norma ha subito varie modifiche.

L'entrata in vigore della legge 23 dicembre 2002 n. 279 ha introdotto in via definitiva nell'Ordinamento penitenziario il regime carcerario speciale previsto dall'art. 41 bis o.p., visto come, prima di tale data, la norma avesse soltanto efficacia temporanea ed era stata oggetto di tre proroghe, con leggi 36/95, 446/99 e 4/2001.

La legge è intervenuta, in primo luogo, sulla struttura della norma, sostituendo ai commi 2 e 2 bis ben sei commi: il comma 2 sui presupposti applicativi, il 2 bis sulla procedura e durata del provvedimento, il 2 ter sulla revoca della misura, il 2 quater sul contenuto, il 2 quinquies e sexies sulla tutela giurisdizionale contro la misura ministeriale.

La Corte costituzionale ha evidenziato, più volte, che i provvedimenti adottati dal Ministro in questo ambito sono sindacabili da parte del giudice ordinario, in particolare come i detenuti siano “titolari di posizioni giuridiche che, per la loro stretta inerenza alla persona umana, sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti” 197 e, in funzione di ciò, sia necessaria la tutela

196 Cfr. R. Catanzaro, La mafia, in M. Barbagagli, U. Gatti, La criminalità in

Italia, Bologna, 2002, pp. 30-31

giurisdizionale.

La riforma ha esteso l'applicabilità del regime speciale anche ai soggetti appartenenti alle organizzazioni terroristiche o eversive dell'ordinamento democratico. Qualora vengano meno le condizioni che hanno determinato la sospensione delle regole del trattamento, il Ministro della giustizia può adottare il provvedimento di revoca del regime differenziato, previsione abrogata dalla riforma successiva 198.

La riforma più recente è stata approvata con legge 15 luglio 2009, n. 94.

Il comma 1 è stato sottoposto a un aggiustamento dalla novella del 2009, con sostituzione delle parole "Ministro di grazia e giustizia" con "Ministro della giustizia".

Lo scopo della riforma è quello di un inasprimento della disciplina e il legislatore del 2009 ha scelto di ampliare quanti possono essere sottoposti al regime de quo attraverso una duplice modalità.

Si è operato, in primo luogo, sul testo dell' art. 41 bis, comma 2, l. n. 354 del 1975, includendovi, oltre ai detenuti per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'art. 4 bis, anche quanti lo siano "per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso".

Si è ampliato, in secondo luogo, il novero dei delitti contenuti nel primo periodo del comma 1 dell' art. 4 bis legge n. 354 del 1975, cui l'istituto in questione rinvia.

Fino al 2009 era previsto che il provvedimento avesse una durata non inferiore a un anno e non superiore a due, prorogabile, per periodi successivi, di anno in anno, purché non risultasse essere venuta meno la capacità del detenuto di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive. L'attuale dizione prevede, invece,

198 Cfr. M. Montagna, Il regime carcerario differenziato verso nuovi equilibri,

un’efficacia temporale di quattro anni, prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno di due anni199.

La riforma ha inciso sensibilmente anche sul comma 2 quater, di cui è oggetto il contenuto dell’art. 41 bis con previsioni tipizzate, nonostante la volontà di definire le rigorose misure cui sono sottoposti i detenuti inclusi nel regime speciale, sia contraddetta dalla lettera a) del suddetto comma (si veda par 4.5).

4.2 Destinatari

I destinatari del regime speciale dell’art. 41 bis sono individuati, in primo luogo, sulla base di un requisito oggettivo: aver commesso uno dei delitti di cui al “primo periodo del comma 1 dell’art.4 bis”, da intendersi come tutto il comma 1 dello stesso articolo, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 38/2009 (legge di conversione del d.l 11/2009).

Emerge, da tale rinvio, la volontà di applicazione del regime del “carcere duro” al di là del fenomeno strettamente mafioso200.

Il 41 bis risulta oggi applicabile a coloro che abbiano commesso delitti di partecipazione ad associazioni di stampo mafioso; delitti commessi avvalendosi delle condizioni di quelle associazioni al fine di agevolarne le attività; delitti con finalità terroristica, anche internazionale, o di eversione dell’ordinamento democratico commessi con l’uso di violenza; delitti di riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi; delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione; delitto di associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi o al traffico di stupefacenti; delitto di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e pornografia

199 Cfr. M. F. Cortesi, Le misure di contrasto alla criminalità organizzata nel

“pacchetto sicurezza”, in Diritto penale e Processo, n. 9, 2009, pp. 1069 ss.

200 Cfr. L. Cesaris, Commento all’art. 41 bis, in F. Della Casa, G. Giostra,

minorile; delitto di violenza sessuale di gruppo; delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

L’espressione “o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso”201, di cui al comma 2, art. 41 bis, ha permesso di

superare il contrasto interpretativo sull’applicabilità del regime speciale anche nell’ipotesi in cui non fosse stata contestata l’aggravante dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152. La Cassazione, a differenza di alcuni Tribunali di sorveglianza, optava per la seconda possibilità, fondando la propria decisione sul dato letterale, in quanto il legislatore, qualora voglia attribuire rilievo a una circostanza aggravante, lo fa espressamente. Il legislatore ha recepito l’orientamento dei giudici di legittimità e il trattamento speciale è applicabile anche inerentemente a titoli di reato che non menzionino espressamente l’aggravante “mafia”202.

Accanto al presupposto oggettivo del titolo di reato è richiesto un presupposto funzionale consistente nei gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica. Questi ultimi concetti sono però imprecisi, che hanno trovato una specificazione nell’introduzione nel 2002 degli “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva”. La mancata collaborazione del detenuto con la giustizia può dimostrare la continuità di tali rapporti, ma ci si chiede se possa essere sufficiente o se sia necessaria una prova oggettiva dell’attualità del collegamento. La giurisprudenza ha ritenuto sufficiente che vi siano elementi per ritenerla ragionevolmente probabile203.

Il comma 2 dell’art. 41 bis specifica che il regime si applica ai detenuti

201 Così art. 41 bis comma 2 della l. 94/2009

202 Cfr. L. Bisori, E. Profiti, Contrasto alla criminalità organizzata e nuova

disciplina delle misure di prevenzione, in F. Giunta, E. Marzaduri, La nuova normativa sulla sicurezza pubblica, Milano, 2010, p. 281

203 Cfr. P. Corvi, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, Milano

e agli internati. I primi comprendono quei soggetti contro i quali vi sia stata la pronuncia di sentenza di condanna passata in giudicato, che siano quindi condannati definitivi, ma anche quanti siano in attesa di giudizio, gli imputati. L’inclusione di questi ultimi è stata molto discussa; la dottrina in passato riteneva che il regime speciale dovesse applicarsi soltanto ai detenuti in via definitiva, mentre la giurisprudenza il contrario. Concordare con la cassazione, che riteneva idonea l’applicabilità dell’art. 41 bis agli imputati, dipende non solo dal dato testuale di detto articolo, ma soprattutto dalla ratio della norma che vuole spezzare i legami del detenuto con l’esterno ed è proprio nell’attesa del giudizio in carcere che possono essere date le direttive agli affiliati. Cesaris, nel commentare l’art. 41 bis, sottolinea però come questa inclusione scalfisca la presunzione di innocenza dell’art. 27 Cost; permangono così molti dubbi sulla costituzionalità di tale orientamento204.

I condannati possono essere sottoposti al 41 bis anche per titoli di reato diversi da quelli del 4 bis, nel caso di cumulo di pene qualora abbiano già espiato la parte di pena relativa al reato-presupposto, secondo quanto stabilito dal legislatore con Riforma del 2009205.

Gli internati sono coloro ai quali è applicata una misura di sicurezza detentiva. Il regime può essere attribuito secondo la giurisprudenza, ai detenuti assegnati a colonie e case di lavoro, in quanto pienamente imputabili essendoci i presupposti per comunicazioni con l’esterno che dovranno quindi essere severamente limitate. Sono invece esclusi quanti assegnati a case di cura, custodia od ospedale psichiatrico, perché non pericolosi206.

204 Cfr. L. Cesaris, op. cit., p. 455

205 Cfr. C. Fiorio, La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”, in O. Mazza, F.

Viganò, Il “pacchetto sicurezza” 2009, Torino,2009,p. 407

4.3 Finalità e competenza

Il regime non va applicato soltanto in base al titolo di reato, ma anche in funzione della pericolosità del detenuto, in particolare del rischio che questi mantenga collegamenti con l’associazione.

In tal senso si è espressa la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità mafiosa o similare, evidenziando che il detenuto, che vi appartiene, continua a esercitare il suo ruolo dal Centro penitenziario, invitando così il legislatore a dare stabilità al regime speciale207.

Si parla, in merito, della cosiddetta “pericolosità sociale”, nel senso di possibilità che il detenuto, vista la sua posizione all’interno dell’associazione di appartenenza, se incluso nel regime ordinario, possa continuare a svolgere il suo ruolo dall’interno dello Stabilimento, costituendo così un rischio per l’ordine e la sicurezza pubblica208. L’obiettivo del 41 bis è quindi quello di “ rafforzare la

funzione custodialistica, garantendo che la detenzione possa svolgere la sua primaria funzione di prevenzione speciale”209.

La competenza è del Ministro della Giustizia che la esercita tramite un decreto di inclusione del detenuto nel regime speciale. È stato così fin dall’approvazione della norma; la competenza ha resistito alle varie riforme dell’articolo. Il decreto richiede la motivazione, così da

207 Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità

organizzata mafiosa o similare, resoconto stenografico della 25a seduta giovedì 18 luglio 2002, “lo stato di carcerazione ordinaria non impedisce tuttora ai capi e ai gregari delle associazioni criminali di continuare a svolgere -talvolta anche con rafforzata ferocia e capacità intimidatoria -le funzioni di comando e direzione in relazione ad attività criminali eseguite all’esterno del carcere, ad opera di altri criminali in libertà[…]L’agire mafioso dei singoli e il vincolo associativo che li avvince nella organizzazione sono invero fondati su di un modo di intendere e di vivere il patto associativo che non prevede il carattere della temporaneità del rapporto criminale”.

208 Cfr. P. Troncone, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2006, pp. 236-

237 e L.Filippi, G. Spangher, Manuale di diritto penitenziario annotato con la giurisprudenza, Milano, 2007, pp. 161 ss.

consentire un adeguato controllo sullo stesso in sede giurisdizionale. La riforma del 2002 ha introdotto però un sistema di consultazioni al comma 2 bis. Il Ministro della giustizia può infatti adottare il provvedimento anche “su richiesta del Ministro dell’Interno, sentito l’ufficio del p.m. che procede alle indagini ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi centrali di polizia e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze”210.

Il Ministro è estraneo al sistema penitenziario ed, essendo il regime funzionale alla reintegrazione dell’ordine e della sicurezza pubblica, gli sono affiancati i pareri del p.m. e le informazioni della Direzione Nazionale Antimafia, della Direzione Investigativa Antimafia e degli organi di polizia. I pareri e le informazioni sono la premessa del decreto sospensivo delle ordinarie regole di trattamento perché forniscono al Ministro elementi di cui egli non sia a conoscenza. Le informazioni dovrebbero assumere carattere vincolante per il Ministro al fine di ancorare il decreto a dati oggettivi211.

Il provvedimento ha durata quadriennale ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga dovrà essere motivata e fondarsi sulla capacità del detenuto di mantenere collegamenti con le organizzazioni di appartenenza, capacità che deve essere provata dall’Amministrazione penitenziaria e su cui il mero decorso del tempo non costituisce elemento sufficiente per escluderla.

Il Ministro è competente anche nell’ipotesi in cui il Tribunale romano di sorveglianza accolga il reclamo proposto e sulla base della sua decisione ritenga di dover disporre di un nuovo decreto; questo si verificherà nei casi in cui possa evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo. Si realizza così una sorta di ne bis in idem

210 Così Art 41 bis comma 2 bis 211 Cfr. L. Cesaris, op. cit., pp.468- 469

volto a tutelare il soggetto da pronunce fondate sugli stessi elementi212.