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Non era previsto, in origine, alcun rimedio giurisdizionale all’inclusione nel regime dell’art. 41 bis; ne erano derivati per questo molti dubbi di costituzionalità, perché tale regime incide sulle posizioni soggettive individuali. La Corte costituzionale si è espressa più volte in merito ritendo, dapprima, che la tutela dovesse ritenersi implicita in mancanza della previsione e, successivamente, individuando la competenza nel Tribunale di sorveglianza213.

La legge 11/1998 prevede che sia il Tribunale di sorveglianza a decidere sui reclami contro i decreti ministeriali (dal 2009 la competenza è stata accentrata nel Tribunale di sorveglianza di Roma). Con la riforma del 2002 il legislatore ha ampliato i provvedimenti reclamabili, comprendendovi anche il decreto di proroga.

Secondo quanto indicato dal comma 2 sexies il Tribunale, entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo, la cui iniziativa proviene, ai sensi del comma 2 quinquies, dal detenuto o dall’internato nei cui confronti è emanato il decreto entro 20 giorni dallo stesso, decide in Camera di consiglio sulla sussistenza dei presupposti per l’emanazione del provvedimento214.

212 Cfr. M. Canepa, S. Merlo, Manuale di diritto penitenziario. Le norme, gli

organi, le modalità dell'esecuzione delle sanzioni penali, Milano, 2010, p. 592

213 Cfr. Corte Cost., sentenze 349/93 e 410/93, contra Guazzaloca secondo il

quale sarebbe stato opportuno attribuire la competenza sul reclamo agli Organi della giustizia amministrativa, essendo il decreto emanato dal Ministro che non è un’autorità giurisdizionale. Cfr. G. Giostra, G. Insolera, Lotta alla criminalità organizzata: gli strumenti normativi: atti della giornata di studio Macerata 13 maggio 1993, Milano, 1995, p.151

214 Il termine di venti giorni per presentare reclamo è stato giustamente

allungato per concedere al detenuto un tempo più ampio per predisporre l’atto, confrontarsi con il difensore e anche in ragione dello spostamento di competenza territoriale al Tribunale di sorveglianza di Roma. Cfr. F.

Il detenuto, in primo luogo, può reclamare l’insussistenza di un titolo di reato ai sensi dell’art. 4 bis comma 1; il Tribunale, a sua volta, annulla il decreto soltanto quando ne accerti tale mancanza al momento in cui il decreto è applicato e non se la mancanza sia sopravvenuta, vigendo il divieto di separazione del cumulo.

Con il reclamo il recluso può poi far valere l’insussistenza di attuali collegamenti con un’associazione criminale o, in caso di proroga, quando contesti la sussistenza della sua attuale capacità di collegamento con la stessa. Il Tribunale valuta, in proposito, il ruolo e la posizione del soggetto nell’organizzazione criminale perché da questo dipende la possibile continuità di rapporti con l’esterno se detenuto in regime ordinario, nonché la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario e il tenore di vita dei familiari del sottoposto.

In terzo luogo, il detenuto può proporre reclamo quando non siano rispettati i pareri e le informazioni di cui al comma 2 bis.

Contro l’ordinanza del Tribunale, il detenuto, l’internato o i loro difensori nonché il p.m. (da individuarsi nel Procuratore generale presso la Corte d’appello) possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge, nei casi di mancata osservanza delle disposizioni di legge sostanziale e processuale e nel caso di assenza di motivazione del provvedimento. Sono stati aggiunti il Procuratore nazionale antimafia e il Procuratore della Repubblica, quindi il giudice che procede alle indagini preliminari ovvero il p.m presso il giudice che procede. La presentazione del ricorso non sospende l’esecutività del decreto ministeriale.

Decorso il termine per impugnare l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza o esauriti i mezzi di impugnazione, si forma il giudicato, che è tale allo stato degli atti, correlato alla situazione esaminata dal giudice; il Ministro della giustizia, che voglia adottare nuovamente il Fiorentin, Carcere duro: mano pesante sui colloqui, in Guida dir., n. 33, 2009, p. 76

regime speciale, potrà farlo indicando elementi diversi o nuovi rispetto a quelli presi in esame dal Tribunale di sorveglianza215.

La modifica più importante apportata dalla riforma del 2009 riguarda l’attribuzione della competenza al Tribunale di sorveglianza di Roma, sottratta quindi al Tribunale di sorveglianza che esercitasse la giurisdizione sull’Istituto cui era assegnato il recluso, per conservarla anche in caso di trasferimento. Era questo il criterio del locus custodiae, secondo cui la competenza era determinata in base al luogo nel quale il detenuto si trovava all’inizio del procedimento, principio che con la riforma è stato derogato216. Tale modifica deriva dalla

volontà di creare un’univoca giurisprudenza sui reclami ai Decreti ministeriali che tuttavia, per essere idonei, devono essere ragionevoli217. La ragionevolezza dipende non solo da una buona

scelta teorica, ma anche dalla fattibilità concreta e su questo punto nascono dubbi in quanto l’accentramento della competenza causa un eccessivo carico lavorativo per il Tribunale di sorveglianza capitolino, con conseguente aumento dei tempi di decisione. Tale attribuzione ha probabilmente causato per la presentazione del reclamo l’allungamento da dieci a venti giorni, che decorrono dalla comunicazione del provvedimento. La presentazione del reclamo non sospende l’applicazione del regime di massimo rigore218.

Il comma 2 sexies, agli artt. 666 e 678 c.p.p. rinvia alle forme di svolgimento del procedimento di sorveglianza per quegli aspetti che

215 Cfr. L. Cesaris, op. cit., pp. 478-479

216 Cfr. G. Giostra, Il procedimento di sorveglianza nel sistema processuale

penale, Milano,1983, p. 201

217 Il criterio pone dubbi di legittimità costituzionale in quanto sembrerebbe

opporsi all’art. 25 Cost. secondo il quale nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Una simile disposizione era già prevista in ambito di procedimenti di sorveglianza riguardanti icollaboratori di giustizia sottoposti a programmi di protezione. La Corte costituzionale aveva affermato che la previsione di una competenza territoriale speciale non ha mai portato alla violazione del divieto di istituzione di giudici speciali o straordinari. Cfr.F. Della Casa, G. Giostra, op. cit., p. 474

non siano disciplinati.

All’udienza partecipano il difensore e il p.m, le cui funzioni possono essere esercitate, a seguito della legge 94/2009, dal Procuratore generale presso la Corte d’appello o da un magistrato della Procura nazionale antimafia o da quella presso la quale si svolgono le indagini; tale formulazione permette a coloro che conoscono le fonti investigative poste a fondamento del provvedimenti ministeriali di esprimersi in merito219. Il detenuto può inoltre partecipare sempre

tramite video-collegamento, indipendentemente dal luogo in cui si trova ai sensi dell’art 146 bis delle disposizioni attuative del c.p.p. cui il comma 2 septies rinvia.

Dal 2009 è stato abrogato il riferimento al sindacato giurisdizionale sulla congruità del contenuto, essendo stata introdotta una predeterminazione delle restrizioni al comma 2 quater dell’art. 41 bis; conseguentemente non è più necessario valutarne il contenuto. Al comma 2 quater sono presenti, in realtà, due previsioni, che riservano all’Amministrazione penitenziaria il compito di introdurre ulteriori limitazioni, in quanto la lettera a) prevede “misure di elevata sicurezza interna ed esterna” e la lettera f) “misure necessarie a garantire che sia assicurata l’assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, di scambiare oggetti o di cuocere cibo”. Queste permettono ampia discrezionalità all’Amministrazione; la riforma ha così creato una lacuna nel controllo giudiziario, sulla quale si è espressa la Corte costituzionale ritenendo che, nonostante l’eliminazione del riferimento alla tutela giurisdizionale sul contenuto, la violazione di un diritto soggettivo sia reclamabile di fronte al Tribunale di sorveglianza ex art. 14 ter. Non si tratta di una valutazione della “congruità”, piuttosto di un accertamento della violazione di un diritto fondamentale. Il sindacato

219 Cfr. A. Pulvirenti, Le modifiche al regime sospensivo ex art. 41-bis o.p.,

in E. Randazzo, Il Penalista. Pacchetto sicurezza, 2009, p. 72-73 https://www.academia.edu/3115497/Il_Penalista._Pacchetto_sicurezza

giurisdizionale è prezioso per porre un freno alle limitazioni applicate dall’Amministrazione, che spesso comprimono inutilmente o eccessivamente i diritti della persona.

Queste annotazioni fanno rilevare “quanto sia prezioso il potere del giudice di sindacare il contenuto delle restrizioni, alleggerendo il regime detentivo speciale da prescrizioni inutili o che comunque realizzano un sacrificio sproporzionato dei diritti della persona”220 e

quanto sia necessario reintrodurlo.

Un ulteriore rimedio, non più vigente perché abrogato dalla legge 94/2009, era l’istituto della revoca del decreto a opera del Ministro della Giustizia, nel caso in cui fossero cessate le condizioni che ne avevano determinato l’emanazione o la proroga. L’abrogazione sembra sottolineare che il compimento della condanna per i reati di cui al 4 bis non faceva venir meno la legittimità dell’applicazione del 41 bis. Tuttavia è evidente che l’abrogazione della revoca non può comportare l’obbligo di applicare il regime detentivo differenziato sino alla scadenza del termine, qualora sia venuto meno il presupposto che ne giustifica l’applicazione. Deve ritenersi perciò sussistente in capo al Ministro il potere di revocare il decreto nel momento in cui siano venuti meno i presupposti che lo legittimano; un potere che deriva dal generale potere di auto-annullamento di cui dispone l’Amministrazione qualora i propri atti si rivelino illegittimi221.