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Capitolo 1: Il turismo lento come forma di turismo sostenibile

1.5 Le origini del fenomeno slow: un nuovo modello culturale

La società odierna, accecata dal paradigma della produttività, dell’efficienza e del guadagno economico, e tutta concentrata sui ritmi frenetici, sul tutto e subito e sulla smania della velocità, ha finto per autocondannarsi ad un perenne senso di inadeguatezza e di insoddisfazione, ad uno stile di vita in cui non si ha tempo né per se stessi né per i propri affetti, e in cui spesso si sacrifica il proprio benessere psico-fisico in virtù della corsa sfrenata alla crescita e alla produttività. Problematiche come lo

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stress, la depressione, l’insonnia sono tipici del nostro tempo, e rappresentano spesso causa o concausa di molte delle patologie maggiormente diffuse. La smisurata flessibilità richiesta oggigiorno agli individui ha ben oltrepassato i limiti umani di capacità di adattamento. È come se si fosse silenziosamente accettato un compromesso al ribasso in virtù di un qualche presunto guadagno, oppure solamente perché è la società a chiederlo. La lentezza è poco benvista, percepita come controproducente, non all’altezza (Romita, in Nocifora, 2011, p.112).

Riconoscere questa contraddizione del nostro tempo, questa paradossale «confusione fra efficienza e frenesia»14 ha portato, negli ultimi decenni, al rifiuto stesso della velocità, alla ricerca di un rinnovato equilibrio fra una modernità tecnologica che ci permette di essere sempre più veloci e i ritmi umani naturali, lenti, fisiologici. È così che comincia a delinearsi una nuova filosofia, un nuovo modello sociale e culturale, incentrato sulla lentezza, sulla riscoperta dell’equilibrio con se stessi e con gli altri, con il tempo, con i luoghi e i valori sociali che oggigiorno vengono tanto facilmente messi da parte.

Da anni, ormai, il PIL è considerato inadeguato e unidirezionale nella misurazione del benessere di una comunità, in quanto considera aspetti prettamente economici, mentre sorvola completamente su elementi come la qualità di vita, la felicità, la mortalità, l’aspettativa di vita, i parametri della qualità ambientale, della tutela del patrimonio e delle risorse culturali di un sistema sociale.

È in quest’ottica che nascono, agli albori degli Anni Ottanta, i primi movimenti lenti, proprio in antitesi a quella malata fast way of life che sta annichilendo la società occidentale. Il primo di questi movimenti è il ben noto Slow Food, «grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali. Ogni giorno Slow Food lavora in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione

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S. Caramaschi, Slow Italy: turismo lento motore di rilancio, in Concorso IRSE EuropaEGiovani 2014, Tesine Premiate, Edizioni Concordia Sette – Quaderni 75, p. 127

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buona, pulita e giusta per tutti»15. Fondata nel 1986 da Carlo Pertini, Slow Food ha iniziato il suo percorso come associazione prettamente italiana, per poi internazionalizzarsi nel 1989. Oggi, il numero di associati è di circa 100.000 in 150 nazioni al mondo, ma i supporter di Slow Food raggiungono addirittura il milione (www.slowfood.com). Calzati (2015, pp. 75-76) enfatizza il rapporto fra la filosofia di Slow Food e i principi dello sviluppo sostenibile: l’operato dell’associazione è ispirato ad un approccio olistico, in cui vengono considerati gli aspetti non solo ambientali, ma anche sociali e culturali della produzione di cibo. I pilastri su cui si fonda l’operato di Slow Food sono, infatti, la tutela delle tradizioni gastronomiche e della biodiversità, la promozione di una rete di piccoli produttori e del dialogo fra produttori e consumatori, nonché la formazione di questi ultimi sui temi legati al cibo, al gusto, alla nutrizione e all’ambiente (Nilsson et al, 2010, p. 2). Lo slogan del movimento, «buono, pulito, giusto», rispecchia perfettamente la filosofia che sta dietro a tali linee d’azione, una filosofia che vede nella pietanza che arriva in tavola tutto un sistema di valori, tradizioni agricole, conoscenze, storie, rispetto e cura nei confronti della natura donatrice di materie prime: il cibo che, dunque, costituisce un legame diretto con il proprio territorio di origine.

In virtù di questo legame, la funzione del cibo è rilevante anche a livello turistico, soprattutto nell’epoca post-turistica, in cui si ricercano esperienze sensoriali e culturali autentiche. Il cibo offre un contatto con le tradizioni del luogo che si sta visitando, offre piacere per i sensi, benessere e genuinità, mostra un pezzetto della cultura locale, ed è sempre un piacere scambiare due parole con i gestori di un piccolo ristorante tradizionale. L’elemento enogastronomico può, dunque, essere integrato nel mix di elementi paesaggistici, sociali e culturali autentici che esprimono la territorialità dei luoghi e che ad oggi costituiscono la miglior leva per il vantaggio competitivo delle destinazioni.

Il successo di Slow Food e la coerenza dei suoi principi con le problematiche del nostro tempo hanno fatto sì che il movimento ispirasse un

15 Che cos’è Slow Food, in Slow Food – Buono, pulito e giusto, Chi Siamo, consultazione:

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potenziale modello di riorganizzazione sociale, in antitesi a quello della fast life (Nilsson et al, 2010, p. 3).

La lentezza diviene, dunque, un vero e proprio modello culturale, caratterizzato dalla ricerca di benessere considerato in senso olistico, il che presuppone un forte impegno e una forte responsabilità (de Salvo, in Nocifora et al., 2011, p. 47). Un modello che può dunque essere applicato a tutti gli ambiti della vita: se Slow Food interpreta e promuove le istanze della lentezza in campo enogastronomico, infatti, altre iniziative e movimenti applicano il paradigma slow ad altri ambiti della vita umana. Fra gli esempi più rilevanti, si tiene a citare Cittàslow, movimento nato nel 1999 da un’idea dell’allora Sindaco di Greve in Chianti (Firenze, Toscana), Paolo Saturnini, e presto sottoscritta dalle municipalità di Bra (Cuneo, Piemonte), Orvieto (Terni, Umbria) e Positano (Salerno, Campania). Cittàslow è impegnato nell’applicazione dei principi della qualità della vita e del benessere sociale allo sviluppo urbano, e nell’espansione della filosofia di Slow Food all’amministrazione e al governo delle città. Le città che ne fanno parte hanno o si impegnano a introdurre un sistema sociale in cui la società stessa è protagonista dello sviluppo lento, un modello che promuova il benessere della comunità locale, la valorizzazione delle tradizioni e delle eccellenze, del paesaggio antropico, delle produzioni genuine ed autentiche grazie ad uno stile di vita lento e sereno (www.cittaslow.org). La qualità della vita diviene, dunque, vera e propria strategia di sviluppo (De Salvo, in Nocifora et al., 2011, p. 49).

Al momento, del network fanno parte 225 città in 30 paesi, la maggior parte delle quali sono italiane (www.cittaslow.org). Possono accedere a Cittàslow i centri urbani con meno di 50.000 abitanti, e che siano in grado di provare il proprio impegno concreto nella valorizzazione del genius loci come base per lo sviluppo locale e nell’applicazione dei principi della sostenibilità, della qualità della vita e dell’accoglienza alla programmazione di tale sviluppo. Queste città, oltre ad avere a disposizione un modello guida alla lentezza e alla sostenibilità, beneficiano del marchio Cittàslow, in un processo di «messa in valore dell’identità» che attraversa tutto il percorso di

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crescita, e che non interessa esclusivamente la sfera commerciale e comunicativa (Caramaschi, 2014, pp. 128-129).

Come nel caso di Slow Food, anche per Cittàslow vale il ragionamento sul potenziale turistico di questi movimenti, sebbene essi siano nati al di fuori del settore dei viaggi. Il modello sostenibile alla base dello sviluppo delle città lente, infatti, permette la creazione di destinazioni visitor-friendly (De Salvo, in Nocifora et al., p. 55). L’identità dei territori, la cultura della qualità e dell’accoglienza, la filosofia slow che scandisce i ritmi cittadini introducono un modello di sviluppo completamente diverso rispetto a quello dannosamente intensivo che ha caratterizzato la maggior parte delle mete turistiche nell’ultimo secolo. Il risultato è duplice, e si esprime sia in termini di qualità urbana e di vita dei cittadini, che di piena soddisfazione delle esigenze dei visitatori.

Gli esempi presentati sono frutto di una tendenza sociale in atto ormai da alcuni decenni e dimostrano che quello slow non è da considerarsi come un movimento culturale di passaggio, o una moda del momento: esso, infatti, si sta diffondendo in tutti gli ambiti dell’agire umano, con un potenziale enorme in merito alle risposte che l’umanità può dare alle problematiche più stringenti del nostro secolo. Il fulcro fondamentale di questo potenziale sta nell’accettazione e nella diffusione di una nuova filosofia della lentezza: non più come sinonimo di inefficienza, ritardo o arretratezza, ma in virtù di nuovo paradigma di vita fondato sul benessere olistico e sulla qualità di vita, con ripercussioni positive anche sulla sfera della produttività, grazie ad un miglioramento delle variabili di concentrazione, serenità, efficienza, precisione, aspetti relazionali. Un modello che rispetti la sfera sociale, economica ed ambientale dello sviluppo umano, in piena coerenza con quelli che sono i principi della sostenibilità.