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Il turismo lento e il suo contributo allo sviluppo turistico sostenibile

Capitolo 1: Il turismo lento come forma di turismo sostenibile

1.6 Il turismo lento e il suo contributo allo sviluppo turistico sostenibile

Il cambiamento strutturale cui si accenna nel precedente paragrafo ha fatto sentire i suoi effetti anche a livello turistico. Come già accennato, nel post-turismo i modelli di consumo cambiano, e il turismo lento nasce proprio

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in risposta ai nuovi bisogni di evasione dalla frenesia quotidiana, di immersione nel territorio ospite, di autenticità, di riappropriazione dei ritmi fisiologici, del rapporto con se stessi e con gli altri.

Sempre di più si assiste, dunque, ad un cambiamento nei gusti dei consumatori, e sempre di più (e sempre meno limitatamente a piccoli segmenti élitari) si ricerca una vacanza diversa dalla classica sole-sabbia- mare, un’offerta di qualità che permetta il contatto con l’identità del territorio ospitante. Una domanda, dunque, che ricerca modi turistici sostenibili.

Afferma Nuzzo (2008, pp. 25-27) che, negli ultimi decenni, in netta antitesi alle tendenze di un mondo globalizzato ed omologante, si è cominciato a porre l’accento sulla personalizzazione del prodotto, un’attenzione particolare alla qualità e all’autenticità. Emerge, in questo ambito, una spiccata e mutata attenzione al territorio, in un’ottica sempre più centrata sul locale, come contenitore in cui coltivare le istanze di una autenticità troppo spesso messa da parte dall’incalzante globalizzazione. Il patrimonio culturale, sociale, antropologico, ambientale e paesaggistico di un territorio diventano asset su cui impostare strategie di sviluppo e sui quali basare il proprio vantaggio competitivo.

Il post-turista, infatti, non si accontenta più di essere impacchettato e spedito a destinazione su un aereo, di vivere la sua vacanza dentro le quattro mura di un residence che nient’altro gli ricorda se non il mondo da cui vuole prendersi una pausa, di essere in un luogo senza realmente esserci, in un approccio tanto superficiale quanto estraniante di vivere la propria comodissima, sicurissima, organizzatissima vacanza.

Questo tipo di esperienza, in cui il cliente viene cullato da una serie di rassicurazioni narcotizzanti, manca di autenticità, e il rischio è quello, come puntualizza Nocifora (in Nocifora et al., pp. 29-31), di tornare a casa più stanchi di quando si è partiti. Quello che, invece, l’autore (pp. 22-24 e 31-33) definisce «turista esperto» è caratterizzato da dimestichezza col viaggio, autonomia informativa e capacità critica. Egli è attento al prezzo solo in relazione al suo rapporto con la qualità, pondera le proprie scelte perché è in

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cerca di un’esperienza vera ed autentica, predilige itinerari e periodi meno battuti. Una tipologia di turista, dunque, che molto poco si confà con il tipo di vacanza descritto poche righe sopra. «Il ruolo innovatore dei turisti esperti comincia ad emergere sul finire degli anni Novanta con la comparsa di un turismo sostenibile, responsabile, eticamente orientato che ha promosso un’attenzione specifica per l’impatto del movimento turistico sulle destinazioni. Il turista non si chiede più soltanto se può portare a casa un’esperienza autentica di comunicazione con l’altro, ma comincia a chiedersi anche se la sua visita può avvenire in una situazione che minimizza le conseguenze sociali, culturali e territoriali dell’incontro turistico»16

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Il turismo lento risponde esattamente a queste caratteristiche e, a discapito di quanto si possa credere, non ricerca necessariamente spazi inesplorati e incontaminati, quanto piuttosto territori antropizzati. Chi fa turismo lento lo fa per lavorare sul proprio benessere fisico (mobilità dolce) e mentale, nonché per visitare luoghi non mercificati con i quali istaurare un rapporto profondo, in un paesaggio naturale ed antropizzato (Nocifora, in Nocifora et al., 2011, p. 37). Un’esperienza, dunque, all’insegna della contaminazione, dell’incontro socioculturale e dell’autenticità.

Il fare responsabile del viaggiatore lento, tuttavia, non deve essere ricondotto esclusivamente alla preoccupazione nei confronti dell’impatto della sua vacanza, al contrario c’è un aspetto edonistico in virtù del quale egli prova piacere nell’esperire attività lente, secondo un bisogno di ribellione e di evasione dalla velocità (Calzati, 2015, pp. 58).

Come esempio perfettamente calzante di questa riflessione, si consideri la dimensione delle modalità di trasporto del turista lento: la motivazione per cui tipicamente (anche se non necessariamente) sceglie il viaggio a piedi, a cavallo o in bicicletta non è da ricercarsi in una sua preoccupazione di tipo ambientalista, però effettivamente egli viaggia con modalità eco-sostenibili. Questo dimostra che è proprio il tipo di esperienza che è fortemente in linea

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E. Nocifora, La costruzione sociale della qualità territoriale. Il turismo della lentezza come conquista del turista esperto, in Nocifora et al., Territori lenti e turismo di qualità, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 32

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con i principi della responsabilità ambientale, sociale ed economica. Lo stesso turista consapevole potrebbe scegliere, in un altro momento, di visitare una destinazione all’altro capo del mondo rispetto al proprio luogo di residenza. In questo caso, sicuramente la sua cultura responsabile lo porterà a fare scelte di consumo quanto meno impattanti possibile, ma necessariamente dovrà prendere un aereo per raggiungere la meta.

Tutti noi, dunque, possiamo (anzi, dovremmo) essere viaggiatori responsabili generalmente parlando, ma ciò non toglie che ci siano esperienze (possiamo chiamarli anche segmenti o forme di turismo) che per loro natura sono più compatibili di altre con i principi della sostenibilità. Una di queste è il viaggio lento.

Purtroppo o per fortuna, il segmento di turismo slow, sebbene in forte crescita, costituisce tuttavia una minoranza, seppur significativa, del flusso turistico generalmente compreso (Nocifora, in Nocifora et al., 2011, p. 39).

Sulla scia di suddetta crescita, nasce nel 2007 l’Associazione Internazionale Slow Tourism, impegnata nella diffusione della pratica turistica ispirata al piacere della natura, del paesaggio, delle ricchezze culturali (materiali ed immateriali) della destinazione, ma sono innumerevoli le iniziative, i network e i portali di turismo lento sviluppatisi negli ultimi decenni. Li accomuna una filosofia di viaggio che istaura un rapporto profondo col territorio, che niente ha che vedere con la sua mercificazione, e che presuppone un’attenzione particolare all’impatto della visita sulle risorse locali. Si riallineano i ritmi fisiologici con quelli naturali, ci si gusta ogni momento ed ogni esperienza di viaggio, dimenticandosi dell’orologio (Romita, in Nocifora, 2011, pp.117-118).

A nostro parere, inoltre, lo slow tourism è fortemente permeato da un senso di spiritualità, intesa non tanto in senso religioso, quanto come ricerca del proprio benessere e della propria serenità interiore, in armonia con i ritmi fisiologici, con la natura e con il tempo.

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Non solo: l’ottica in cui avviene il consumo turistico lento può essere definita in virtù del fatto che mentre il visitatore riceve soddisfazione e piacere nella fruizione del bene turistico, al tempo stesso dà qualcosa al territorio ospitante, grazie al suo ruolo attivo e responsabile nei confronti della risorsa (Calzati, 2015, p. 59). In questo senso, l’autrice contrappone il turismo lento a quello di massa, individuando nel primo un possibile mezzo per contrastare il secondo, in virtù della sua aderenza ai principi dello sviluppo turistico sostenibile. Le fanno eco Yurvesten e Kaya, che nella loro analisi empirica condotta in Turchia sui comportamenti e le tipologie di turista slow, non solo indicano la possibilità di utilizzare i marchi lenti anche per attrarre fasce di turismo di qualità, ma dichiarano esplicitamente che «il turismo lento può a tutti gli effetti essere considerato come un antidoto al turismo di massa (…) e alla mercificazione della cultura locale nel tentativo di soddisfare le esigenze di quest’ultimo. Ciò non significa, tuttavia, che il turismo lento debba essere relegato ad una nicchia di mercato: al contrario, si auspica l’applicazione della filosofia slow alle strategie di destination management, alle operazioni aziendali e anche ai comportamenti di consumo (…)»17

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Proprio a questo proposito, è importante sottolineare la forza con la quale la domanda di turismo lento può innescare nella destinazione che sia ricettiva processi virtuosi di sviluppo turistico sostenibile. Un territorio che accetti la logica della lentezza, infatti, intraprenderebbe un processo di sviluppo sostenibile rilevante non solo dal punto di vista economico e ambientale, ma anche in relazione alla qualità di vita dei cittadini.

Un simile modello territoriale ha inspirato la letteratura nella definizione dei cosiddetti «territori lenti», che si caratterizzano per bassa intensità demografica, contesto rurale e paesaggio di qualità, importanza del settore agricolo nell’economia locale, e rilevanza del patrimonio artistico-culturale, spesso – tuttavia – sconosciuto (Calzati, in Nocifora et al., 2011, p.60). La

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H. R. Yurtseven e O. Kaya, Slow tourists: a comparative research based on Cittaslow Principles, «American International Journal of Contemporary Research», 1, 2, settembre 2011, p. 94, traduzione propria.

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ricettività tipica è composta da strutture caratteristiche del paesaggio antropico e nella maggior parte dei casi recuperate, in un’ottica di ospitalità diffusa rispettosa dell’identità del luogo. Il tessuto sociale è coeso e non mancano i momenti di aggregazione. Come il modello urbano di Cittàslow citato precedentemente, i territori lenti rappresentano un possibile modello di sviluppo sostenibile, in particolar modo per i centri minori.

In tale modello territoriale, le strategie di sviluppo sono imperniate sulla qualità come leva del vantaggio competitivo. Il lavoro sistemico realizzato grazie alla rete di relazioni fra i vari attori (comunità, settore privato, settore pubblico, turisti) fa sì che ogni beneficio sia condiviso e si ripercuota sul sistema intero (Calzati, in Nocifora et al., 2011, p. 64). L’economia non è trainata da un’unica attività, al contrario si evidenzia una logica plurisettoriale in cui tradizione e innovazione si incontrano e si esaltano a vicenda (Calzati, 2015, p. 77).

In particolare, De Salvo afferma, a proposito del turismo, che nei territori lenti «i governi locali (…) riescono a dare risposte alle rinnovate esigenze sia dei residenti che dei turisti, sempre più attenti ad una qualità dell’accoglienza, dell’arredo urbano, della valorizzazione dei prodotti e delle tradizioni locali»18

L’offerta turistica di questi territori valorizza il patrimonio culturale tangibile e intangibile, si esaltano le eccellenze, le produzioni artigianali, le colture locali, un’impostazione urbana di qualità che coadiuva la lentezza dei ritmi di vita. In questi luoghi il turista può trovare l’autenticità, l’apertura sociale, la possibilità di contaminazione e di ricerca del benessere cui tanto aspira, e può espletare la sua pratica turista in maniera sostenibile dal punto di vista ecologico, economico e sociale grazie al sistema economico incentrato sulle produzioni locali, sulla qualità ambientale, sulla cultura dell’accoglienza e sulla valorizzazione del patrimonio sociale e culturale.

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P. De Salvo, Cittàslow: un modello alternativo di sviluppo urbano lento e sostenbile, in E. Nocifora (et al.), Territori lenti e turismo di qualità. Prospettive innovative per lo sviluppo di un turismo sostenibile (cit. nota 16), p.49

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La lentezza non è vissuta come un concetto commercialmente appetibile, quanto piuttosto come vera e propria filosofia di vita e di qualità urbana (De Salvo, in Nocifora et al., p.56). In tali territori, dunque, la qualità della visita dei turisti va a braccetto con quella di vita dei residenti.

Secondo Zago (2012, pp. 312-313, rielaborazione nostra), i benefici del turismo lento sulla destinazione sono:

- Destagionalizzazione e delocalizzazione;

- Crescita qualitativa dell’offerta grazie allo sviluppo delle competenze degli operatori;

- Valorizzazione del genius loci e conseguente creazione di opportunità per la comunità residente;

- Diffusione territoriale dei benefici, in virtù della delocalizzazione e del decongestionamento dei nodi turistici principali;

- Possibilità di rilancio di prodotti maturi grazie alla diversificazione dell’offerta;

- Crescita della competitività del sistema grazie alla visione sistemica; - Possibilità di fidelizzazione del visitatore, grazie al legame instauratosi

fra quest’ultimo ed il territorio.

Pienamente coerente con il contributo di Zago, anche Meneghello (2005, p. 55-56) riflette sulle esternalità positive del turismo lento. In particolare, l’autrice analizza il caso dei greenway, che rappresentano un perfetto esempio di turismo lento. Nella sua riflessione, ella afferma che non solo i greenway contribuiscono alla sostenibilità turistica in termini di qualità ambientale, qualità di vita e conservazione delle risorse, ma che essi costituiscono anche un fonte di reddito per le economie locali, soprattutto quelli rurali, nonché un’opportunità di riqualificazione delle destinazioni in fase di declino.

Per concludere, si è visto come la filosofia del ‘poche cose, ma fatte bene’ venga tradotta in termini turistici tramite modalità che per loro natura si confanno con le istanze dello sviluppo sostenibile. In questo senso, il turismo lento è una forma particolarmente calzante di turismo sostenibile. A tal

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proposito si può citare Romita (in Nocifora, 2011, p. 118), il quale è convinto che si debba parlare di turismo lento come di un approccio allo sviluppo. Anche perché, considerato in quest’ottica, lo slow tourism si profila come uno strumento di «crescita non solo economica ma, più in generale, per la qualità della vita delle comunità» interessate dal fenomeno. Lentezza non più, dunque, come arretratezza, ma come «fattore distintivo di sviluppo».

Come si è detto per lo sviluppo turistico sostenibile, anche in questo caso la creazione di un’offerta lenta non può prescindere da politiche di destination management ben precise, e dalla partecipazione di tutti gli stakeholder. Ovviamente, ci sono luoghi, come le mete di turismo rurale meno battute, che per loro natura si confanno maggiormente allo sviluppo di un turismo lento. Tuttavia, chi scrive ritiene che, sebbene sia improbabile (se non impossibile) che tale forma di target domini un giorno il mercato, buone politiche di destination management dovrebbero considerare di dedicare quantomeno una parte dell’offerta turistica al segmento slow, anche nelle mete più battute. Se non per altro, sarebbe almeno un’iniziativa a favore della destagionalizzazione e della delocalizzazione dei flussi.

In realtà, chi scrive ritiene che sviluppare un’offerta di turismo lento sia una forte strategia di diversificazione in senso sostenibile. Come detto pocanzi, infatti, il turista che decide di intraprendere un’esperienza lenta non necessariamente sceglierà esperienze simili in futuro, e non necessariamente lo ha fatto in passato. D’altro canto, il turista lento è un turista che crea un rapporto autentico col territorio, e questo apre le porte al tema della fidelizzazione. Considerando quanto appena detto, dunque, un ospite che visiti una destinazione durante una vacanza diversa da quella lenta potrebbe accorgersi, una volta in loco, dell’offerta dedicata a questo tipo di turismo, e decidere in futuro di considerare di fare un’esperienza lenta in quella destinazione. Il ragionamento, poi, funziona anche al contrario, per cui è possibile che il turista che abbia esperito la destinazione durante un viaggio lento voglia tornarvi in futuro, magari con altri compagni di viaggio, altri obiettivi, altre motivazioni.

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La validità del modello lento risiede, quindi, in molteplici aspetti: la capacità di attirare e fidelizzare viaggiatori responsabili (lato della domanda) va a braccetto con la creazione di un modello di gestione territoriale improntato alla sostenibilità e alla qualità della vita dei residenti (lato dell’offerta), quest’ultima fondamentale anche ai fini di una diffusione della cultura dell’ospitalità e della qualità. Inoltre, sono conseguibili risultati anche in quanto a destagionalizzazione e delocalizzazione. Si aggiunga, a questo, che investire in offerta lenta vuol dire diversificare la propria offerta nella direzione di un segmento non solo responsabile, ma anche in sostenuta crescita (anche se non predominante). Il turismo lento costituisce dunque un investimento in sostenibilità, benessere economico, ambientale e sociale, ma anche in acquisizione di vantaggio competitivo. D’altronde, progetti del genere, che permettono una riappropriazione della dimensione umana dello sviluppo, «nascono da esigenze sociali prima ancora che da obiettivi economici».19

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S. Meneghello, Progettare i greenway come strumento di destination management e destination marketing – Il caso veneto, «Le Pagine di Risposte Turismo», 1, 2005, p. 62

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Capitolo 2: La valorizzazione gli itinerari culturali e di pellegrinaggio