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Il paragrafo successivo, che secondo Vincenzo Recchia costituisce l’inizio dell’accessus, introduce immediatamente il tema dell’allegoria,

II. Metodi e strumenti per lo studio delle font

2. Il paragrafo successivo, che secondo Vincenzo Recchia costituisce l’inizio dell’accessus, introduce immediatamente il tema dell’allegoria,

paragonata a una macchina capace di innalzare fino a Dio le anime che oramai dimorano in esilio lontano da lui19.

Sebbene l’identità allegoria = macchina sembri essere del tutto originale, l’idea non appare completamente inedita per il lettore delle opere del pontefice. Nei Moralia in Iob, in diverse occasioni, la macchina elevatrice diviene metafora della contemplazione, o dell’amore e della compunzione che a questa conducono20:

Sed humanus animus

quadam suae

contemplationis machina subleuatus,

quo super se altiora conspicit, eo in semetipso terribilius contremiscit (Greg Mor 5, 31).

Vnde necesse est ut

quisquis ad

contemplationis studia properat, semetipsum prius subtiliter interroget, quantum amat. Machina quippe

mentis est uis amoris

quae hanc dum a mundo extrahit in alta sustollit (Greg Mor 6, 37).

Cum enim mens per quamdam compun-

ctionis machinam ad

alta sustollitur, omne quod ei de se ipsa, sub se ipsa est, diiudicando certius contemplatur (Greg Mor 1, 34).

Allegoria enim ani- mae longe a deo po- sitae quasi quandam

machinam facit, ut

per illam leuetur ad deum. Interpositis quippe enigmatibus, dum quiddam in uer- bis cognoscit, quod suum est, in sensu uerborum intellegit, quod non est suum, et per terrena uerba se- paratur a terra. Per hoc enim, quod non abhorret cognitum, intellegit quiddam in- cognitum. Rebus enim nobis notis, per quas allegoriae conficiun- tur, sententiae diuinae uestiuntur et, dum recognoscimus exteri- ora uerba, peruenimus ad interiorem intelle- gentiam (Greg CtExp 2).

                                                                                                               

19 Cfr. Ivi, p. 13 e ss.

20 Il Bélanger aveva già segnalato la frequenza con la quale l’immagine ricorre nell’opera del

grande pontefice, indicando solo i due passi Greg Mor 1, 34 e 5, 31 (cfr. Grégoire le Grand, Commentaire sur le Cantique des cantiques cit., p. 69 nota 5). Da quanto ho potuto appurare l’idea della macchina elevatrice ricorre anche in Greg Mor 6, 37.

Il Bélanger segnala in proposito che la macchina, nel suo equivalente greco di mhcanhv, ricorre nell’Epistola ad Ephesios di Ignazio di Antiochia21. Mi sembra tuttavia improbabile trovare in questo scritto del II secolo un rapporto di intertestualità con l’Expositio gregoriana: l’altezza cronologica della prima versione latina conosciuta dell’epistola, eseguita da Roberto Grossatesta nel XIII secolo, è tale da far pensare che il papa non ne abbia potuto fruire. Se anche ammettessimo che Gregorio abbia letto il testo, direttamente o per via mediata (magari durante il suo soggiorno costantinopolitano), si potrebbe obiettare che il macchinario evocato dal vescovo antiocheno non rappresenta l’allegoria, bensì la croce di Cristo impiegata come argano per issare le pietre necessarie alla costruzione dell’edificio spirituale della Chiesa: «Cognovi autem transeuntes quosdam inde, habentes malam doctrinam; quos non dimisistis seminare in vos, obstruentes aures ad non recipere seminata ab ipsis, ut existentes lapides templi Patris, parati in aedificatione Dei Patris, relati in excelsa per machinam Iesu Christi, quae est crux, fune utentes Spiritu Sancto» (Ign Ep IX, 1).

Per quanto riguarda il solo concetto di machinis levare, si potrebbe anche pensare che Gregorio avesse presente Agostino, il quale nel Sermo 53/A lo utilizza in relazione al dovere dell’elemosina e alla opportunità di innalzare fino al cielo i propri tesori per conservarli al sicuro dalla corruzione mondana secondo il precetto evangelico (Mt 6,20; Mc 10,21; Lc 12,33)22. In questo caso le macchine capaci di innalzare sono i poveri destinatari della munificenza di coloro che possiedono beni materiali: «Quomodo ascendo? Quibus illuc quod habeo machinis leuo? Attende esurientes, attende nudos, attende inopes, attende peregrinos, attende captiuos: laturarii tui erunt migrantis ad caelum» (Aug Sermo 53/A, 6).

Non mi sembra tuttavia che ci siano prove certe nemmeno di una dipendenza agostiniana, mentre appare chiaramente il reimpiego da parte del papa della metafora della machina, opportunamente modificata, già presente nel commento al libro di Giobbe. D’altro canto, che si tratti dell’amore come nei                                                                                                                

21 Cfr. Grégoire le Grand, Commentaire sur le Cantique des cantiques cit., p. 69 nota 5.

22 Nella ricerca delle fonti non si sono tenute presenti le numerose occorrenze del termine machina

Moralia o dell’allegoria come nel nostro testo, la finalità dello strumento elevatore è sempre quella di permettere all’uomo di elevarsi rispetto alla condizione presente e di contemplare il mistero racchiuso negli aenigmata della Sacra Scrittura.

Dio infatti parla all’uomo interpositis enigmatibus. In questo passaggio vi è certo un doppio riferimento scritturale (Nm 12,8 e 1Cor 13,12), ma anche un richiamo a concetti già espressi altrove. Nelle Omelie su Ezechiele, il papa aveva già spiegato che non è facile per tutti penetrare il senso della Parola di Dio, ciò a causa della consuetudine dell’autore sacro a esprimersi per aenigmata (Greg EzHom 1, 9, 29). Il lessico utilizzato da Gregorio per introdurre la funzione dell’allegoria nella Bibbia rinvia al campo semantico del vestiario: i pensieri divini (sententiae diuinae) si rivestono (uestiuntur) di concetti che ci sono noti (rebus notis), così da agevolare la comprensione delle cose trascendenti da parte dell’uomo. Il traslato potrebbe essere una reminiscenza della formazione scolastica profana del papa, o comunque un modo di dire diffuso anche grazie ad Agostino23. L’immagine del vestire le sentenze ricorre in un passo del Brutus di Cicerone, a proposito delle capacità retoriche di Marco Calidio: «qui non fuit orator unus e multis, potius inter multos prope singularis fuit: ita reconditas exquisitasque sententias mollis et pellucens vestiebat oratio» (Cic Brut 274)24.

In chiusura del paragrafo si ribadisce come ciascuno, riconoscendo le parole nella loro esteriorità, giunga a un’intelligenza interiore delle cose divine (peruenimus ad interiorem intellegentiam). Si ha qui una ripresa, quasi ad litteram, del Contra aduersarium legis et prophetarum di Agostino: «hoc est ergo intrare, non esse contentum superficie litterae, sed ad interiora intellegentiae                                                                                                                

23 La reminiscenza ciceroniana non sarebbe l’unico riferimento alla cultura classica presente

nell’Expositio, si veda infra a proposito della classificazione dei libri salomonici secondo la tripartizione della filosofia in etica, fisica e contemplativa (Greg CtExp 9), e in merito all’eco del precetto socratico del gnw'qi seautovn (Greg CtExp 44). Sulla formazione scolastica di Gregorio si veda quanto la sezione Problemi di metodo per un censimento delle fonti letterarie potenziali.

24 Si rileva l’uso di vestio riferito a sententia anche in Marco Cornelio Frontone («Unum tibi

periculum fuit, Antonine, idem quod omnibus qui sublimi ingenio extiterunt, ne in verborum copia et pulchritudine clauderes; quanto enim ampliores sententiae creantur, tanto difficilius verbis

vestiuntur, nec mediocriter laborandum est ne procerae illae sententiae male sint amictae neve

indecorius cinctae neve sint seminudae»: Front Ep 1, 2, 4) e in Agostino («Igitur auiditas mea, qua illum tanto tempore expectaueram hominem, delectabatur quidem motu affectuque disputantis et uerbis congruentibus atque ad uestiendas sententias facile occurrentibus»: Aug Conf 5, 5).

peruenire» (Aug CALP II, 596). Il passo fa riferimento all’incapacità di scribi e farisei di penetrare in profondità ciò che leggevano nel testo sacro e, conseguentemente, di riconoscere nel Cristo il Messia inviato da Dio al suo popolo eletto.

L’acquisizione dell’intelligenza interiore è un tema che si ritrova anche in altre opere gregoriane: nelle Homiliae in Hiezechihelem i predicatori sono le porte che ci conducono «ad interiorem intellectum aeternae sapientiae»25.

Il concetto di intellegentia interioris è presente anche in altri autori, tanto da far pensare all’adesione da parte del pontefice a una topica diffusa: Ilario di Poitiers († 367) invita a una lettura profonda dei Vangeli «quia in his, quae gesta narrantur, subesse interioris intelligentiae ratio reperiatur»26; anche Rufino, traducendo le Omelie origeniane sui libri dei Numeri e dei Giudici, riferisce di una

interioris intelligentia dei misteri contenuti nella Scrittura27; Eucherio di Lione (†

450 ca.) spiega il significato spirituale della pratica della circoncisione secundum

interiorem intellegentiae sensum28; Apringio di Beja († 550 ca.), in apertura del

proprio Commento all’Apocalisse, invoca lo Spirito Santo perché gli apra la porta dell’intelligenza spirituale29; Verecondo di Iunca († 552) paragona la comprensione della Bibbia a una casa che non può essere abitata in tutta

                                                                                                               

25 «Sin uero portarum nomine solos intellegimus sanctos apostolos designari, qui uidelicet primi

nobis sunt sanctae ecclesiae praedicatores, et fidem nos, spem, atque caritatem summopere tenere docuerunt, ipsi itaque nobis in his uirtutibus portae sunt, qui nos per easdem uirtutes ad

interiorem intellectum aeternae sapientiae perducunt»: Greg EzHom 2, 8, 3.

26 «Frequenter monuimus omnem diligentiam Euangeliorum lectioni adhiberi oportere: quia in his,

quae gesta narrantur, subesse interioris intelligentiae ratio reperiatur»: Hil Mt 997. Il concetto di intellectus spiritalis è presente anche in Hil Ps 124, 2.

27 «Sunt quidem in his et mystica quaedam atque interioris intelligentiae secreta; sed nos primo

ipse historiae textus aedificet et discamus ex hoc quoniam adversum nos militat fornicatio, adversum nos iaculantur tela luxuriae»: Orig NmHom 20, 1, 23. «Videamus ergo, ne forte per haec dignum aliquid, sicut et ex scripturis ceteris, de sacramentis secretioribus doceamur. […] Sed videamus, quid etiam interioris intelligentiae respiret arcanum»: Orig IdcHom 5, 2, 28.

28 «Ceterum secundum interiorem intellegentiae sensum per hanc circumcisionem secretioris

partis corporis illud praefiguratum est, quod secretior circumcisio, id est cordis, oporteret adhiberi»: Euch Instr 1, 205.

29 «Vnde Apocalypsin sancti Iohannis expositurus habitatorem eius inuoco Spiritum Sanctum, ut

qui illi secretorum suorum arcana reuelare uoluit, nobis interioris intellectus ianuam pandat, ut possimus quae scripta sunt inculpabiliter disserere et ueraciter deo magistrante depromere»: Apr Ap 1, 4.

l’ampiezza dell’intelligenza interiore, se non per mezzo dello svelamento dei suoi sensi30.

3. Le parole di un amore quasi corporeus impiegate nel Cantico dei cantici

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