II. Metodi e strumenti per lo studio delle font
5. La quinta sezione del Commentario si apre con un paragone non del tutto sconosciuto al lettore gregoriano: quello fra la Sacra Scrittura e un monte
(Scriptura enim sacra mons quidam est). Già nei Moralia le sentenze elevate contenute nei libri sacri vengono paragonate ai monti:
Possunt adhuc montes pascuae accipi altae sententiae scripturae sacrae, de quibus per psalmistam dicitur: montes excelsi ceruis, quia hi qui iam dare contemplationis saltus nouerunt, altos sententiarum diuinarum uertices quasi cacumina montium ascendunt; ad quae profecto cacumina quia infirmi peruenire non ualent, recte illic subditur: petra refugium erinaciis, quia uidelicet inualidos non sublimiter intellegentia exercet, sed sola in Christo fides humiliter continet (Greg Mor 30, 19).
Ancora più plausibile appare il contatto con un segmento di poco successivo del Commento morale a Giobbe:
In scriptura sacra cum numero singulari mons ponitur, aliquando incarnatus dominus, aliquando sancta ecclesia, aliquando testamentum Dei, aliquando apostata angelus,
aliquando quilibet haereticus designatur […] Rursum per montem testamentum dei
Scriptura enim sacra mons quidam est, de quo
in nostris cordibus ad intellegendum dominus uenit. De quo monte per prophetam dicitur: deus a libano ueniet et sanctus de monte umbroso et condenso (Ab 3,3) (Greg CtExp 5).
54 Per un commento della prassi esegetica seguita nel passo in questione cfr. infra, nota 116 e
exprimitur, sicut habacuc ait: deus a libano ueniet, et sanctus de monte umbroso et condenso (Ab 3,3) (Greg Mor33, 1).
Come si può vedere, non solo vi è la ripresa concettuale dell’identità mons = Sacra Scriptura (in questo caso testamentum Dei), ma vi è anche una perfetta rispondenza della citazione scritturale prodotta come supporto al commento (Ab 3,3).
Una parentela gregoriana molto forte va segnalata anche per il passo successivo. In esso viene presentato il precetto mosaico secondo il quale nessuno doveva accostarsi al monte Sinai durante gli incontri fra Dio a Mosè (Es 19,12- 13). La proibizione si estendeva persino agli animali, tanto che, si bestia tetigerit montem, lapidabitur (Eb 12,20). A partire da tale divieto, ripreso seguendo la formulazione della lettera agli Ebrei, Gregorio prosegue il proprio discorso sul monte della Sacra Scrittura. La figura della bestia che perde la vita dopo aver toccato il monte viene quindi interpretata come l’immagine di coloro i quali si avvicinano ai testi divini privi della veste nuziale, vale a dire mentre sono ancora dediti ai moti irrazionali della carne. Questa costruzione esegetica non è nuova, ma era già stata elaborata nei Moralia55:
Vbi et recte dicitur: si bestia tetigerit montem, lapidabitur (Eb 12,20). Bestia etenim montem
tangit, cum mens irrationabilibus desideriis subdita ad contemplationis alta se erigit. Sed
lapidibus percutitur, quia summa non sustinens, ipsis superni ponderis ictibus necatur (Greg Mor 6, 37).
Scriptum quippe est quia, si bestia tetigerit montem, lapidabitur (Eb 12,20). Bestia enim
tangit montem, quando irrationabilibus motibus dediti scripturae sacrae celsitudini propinquant, et non eam secundum quod
debent intellegunt, sed irrationabiliter ad suae uoluptatis intellegentiam flectunt (Greg CtExp 5).
Fra gli attributi riferiti da Gregorio al monte della Sacra Scrittura vi è quello di essere ardente, per questo quanti vi si accostano indegnamente perdono la vita.L’immagine del mons ardens è anche questa di derivazione scritturale (Es
55 Cfr. Henri de Lubac, Exégèse médièvale. Les quattre sens de l’Ecriture, II, 1, Paris, Aubier
1961, pp. 113-128 e Grégoire le Grand, Commentaire sur le Cantique des cantiques cit., p. 76 nota 14. Va tuttavia rilevato che la citazione offerta dal Bélanger è imprecisa: lo studioso rinvia infatti a Greg Mor 6, 58 anziché a Greg Mor 6, 37.
20,18 e Dt 9,15, ma anche Ap 8,8) e prosegue la rievocazione del monte Sinai iniziata in precedenza con la citazione letterale dell’epistola agli Ebrei.
La parola di Dio, celata sotto il simbolo del monte che brucia, non ha solo l’effetto nefasto appena menzionato, ma è capace di accendere il fuoco dell’amore in coloro che per il suo tramite sono riempiti dello Spirito Santo: «Ardet enim mons iste: quia scriptura sacra uidelicet, quem spiritaliter replet, amoris igne succendit». Sebbene non sembrino esserci corrispondenze di tipo concettuale, è possibile tuttavia individuare per questo passo delle riprese letterali dell’espressione amoris igne succendere. Ancora una volta i punti di contatto sono tutti con opere gregoriane e sembrerebbero implicare la comune appartenenza all’usus scribendi dell’autore56: «Plerumque tamen etiam eos respicit et ad sequendum se sancti amoris igne succendit» (Greg Mor 18, 26); «Ac si dicat: ut ego, qui illa in puluere calefacio, quia scilicet paruulorum animas, et in medio peccantium positas, amoris mei igne succendo» (Greg Mor 31, 10); «Oua ergo dominus in puluere derelicta calefacit, quia paruulorum animas praedicatorum suorum sollicitudine destitutas, etiam in medio peccantium positas amoris sui igne succendit» (Ibid.)57. Al di là delle riprese letterali, l’enunciato in oggetto sembra iscriversi perfettamente nella concezione che Gregorio aveva del predicatore virtuoso, un uomo che, sul modello di Gesù coi viandanti sulla strada di Emmaus (Lc 24,13-53), sia capace di infiammare l’uditorio con le proprie parole. Come fa notare Emilio Gandolfo, il papa esprime questo concetto nell’omelia pronunciata in occasione della festa di Pentecoste: «Linguas igneas doctores habent, quia dum Deum amando praedicant, corda audientium inflammant. Nam otiosus sermo docentis est, si praebere non ualet incendium amoris» (Greg EvHom 2, 30, 5)58.
56 Con l’ausilio del database CDS Cross Database Searchtool, inserendo la stringa ‘amor* + ign*
+ succend*’ senza attivare alcun filtro di ricerca, si è potuto verificare in quali autori e con quale assiduità compaiano l’enunciato in oggetto o espressioni similari. Il dato naturalmente non assume valore assoluto a causa dell’incompletezza della banca dati.
57 Sugli ultimi due passi di Greg Mor 31, 10, sono già stati segnalati aspetti che dimostrano una
certa compenetrazione compositiva con Greg CtExp 1 (cfr. supra, nota 17 e relativo contesto).
58 Cfr. Emilio Gandolfo, Introduzione, in Gregorio Magno, Commento al Cantico dei cantici, a
Al discorso di Gandolfo si deve aggiungere che la stessa omelia pentecostale costituisce l’ipotesto anche dei successivi enunciati. Tra i due scritti ermeneutici vi è infatti una perfetta specularità di pensiero e l’impiego delle medesime citazioni scritturali provenienti da Lc 24,32 e Dt 33,2:
Attestante Paulo: Deus noster ignis consumens est (Eb 12,29). Deus quippe ignis dicitur, quia per hunc peccatorum rubigo consumitur. […] Hoc doctrinae incendium ab ipso Veritatis ore conceperant qui dicebant: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis cum loqueretur in uia et aperiret nobis Scripturas? (Lc 24,32) Ex audito quippe sermone inardescit animus, torporis frigus recedit, fit mens in superno desiderio anxia, a concupiscentiis terrenis aliena. Amor uerus qui hanc repleuerit, in fletibus cruciat, sed dum tali ardore cruciatur, ipsis suis cruciatibus pascitur. Audire ei libet praecepta caelestia, et quot mandatis instruitur, quasi tot facibus inflammatur, et quae torpebat prius per desideria, ardet postmodum per uerba. Vnde bene per Moysen dicitur: In dextera eius ignea lex (Dt 33,2). Sinistra quippe reprobi, qui et
ad sinistram ponendi sunt, dextera autem Dei
appellantur electi. In dextera ergo Dei lex ignea est, quia electi mandata caelestia nequaquam frigido corde audiunt, sed ad haec amoris intimi facibus inardescunt. Sermo ad aurem ducitur et mens eorum sibimet irata ex internae dulcedinis flamma concrematur (Greg EvHom 2, 30, 5).
Vnde scriptum est: ignitum eloquium tuum. Vnde, cum uerba dei quidam in uia ambulantes, dixerunt: nonne cor nostrum ardens erat in nobis, cum aperiret nobis scripturas? (Lc 24,32) Vnde per Moysen dicitur: in dextera eius ignea lex (Dt 33,2). Sinistra dei iniqui
accipiuntur, qui in dextera parte non transeunt;
dextera dei electi sunt, qui a sinistris separantur. In dextera ergo Dei lex ignea est: quia in electorum cordibus, qui ad dexteram ponendi sunt, flagrant praecepta diuina et caritatis ardore succensa sunt. Iste ergo ignis, quidquid in nobis est exterius rubiginis et uetustatis, exurat: ut mentem nostram uelut holocaustum in dei contemplatione offerat (Greg CtExp 5).
In entrambi i testi si ha un richiamo alla topica diffusa dell’opposizione fra destra e sinistra quale simbolo della dislocazione antipode fra bene e male59. Gli eletti sono coloro che si trovano a destra perché nel loro cuore arde la legge, che secondo Dt 33,2 si troverebbe proprio alla destra di Dio. Gli iniqui sono invece posizionati a sinistra in quanto lontani dai suoi mandati. Anche le cause dell’incendio che divampa nel cuore degli eletti sono le stesse: in entrambi i testi i
59 Il luogo comune affonda le proprie radici nella cultura semitica e in particolare esso è enunciato
nella raccolta di meditazioni sapienziali del Qoelet: Cor sapientis in dextera eius et cor stulti in sinistra illius (Qo 10,2). Tuttavia la contrapposizione fra destra e sinistra, come simbolo della separazione fra giusti e reprobi, viene codificata e trasmessa alla cultura escatologica cristiana soprattutto per il tramite del discorso di Cristo sulla fine dei tempi: Et congregabuntur ante eum omnes gentes et separabit eos ab invicem sicut pastor segregat oves ab hedis. Et statuet oves quidem a dextris suis hedos autem a sinistris. Tunc dicet rex his qui a dextris eius erunt venite benedicti Patris mei possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi (Mt 25,32-34).
cuori ardono, bruciati dall’incendio dell’amore. Un ultimo aspetto in comune è l’effetto delle fiamme divine sulla rubigo, evocata come ruggine del peccato nelle Omelie e come scorza esteriore della quale ci si deve liberare ai fini della contemplazione nel Commento al Cantico. Quest’ultima differenza sembrerebbe funzionale allo sviluppo divergente dei due discorsi: di tipo esegetico particolare come commento a un versetto scritturale specifico (Eb 12,29) nell’omelia di Pentecoste, di tipo esegetico generale nell’ambito di un discorso su questioni di metodo per penetrare la Sacra Scrittura nel prologo dell’Expositio. Il fuoco che infiamma gli eletti, consumando tutto ciò che è esteriorità, offerit mentem nostram velut holocaustum in Dei contemplatione.
La contemplazione si carica per Gregorio di una valenza quasi liturgica, fino ad essere intesa come un vero e proprio culto sacrificale, un olocausto in cui l’uomo offre a Dio tutto sé stesso60. Holocaustum mentis offerre tuttavia non rientra solo genericamente nel pensiero del papa, ma si inscrive perfettamente anche nel frasario che gli è proprio61. Mi è stato possibile individuare alcune espressioni che richiamano molto da vicino la chiusura di questo paragrafo del Commentario. I passi in oggetto, caratterizzati dall’utilizzo di un vocabolario comune, provengono uno dai Moralia in Iob, l’altro da un’epistola inviata nel luglio 591 alla città di Perugia per sollecitare l’elezione del nuovo vescovo:
Sic nos cum in ara cordis holocaustum Deo offerimus, ab immundis hoc uolucribus custodimus, ne maligni spiritus et peruersae cogitationes rapiant quod mens nostra offerre se Domino utiliter sperat (Greg Mor 16, 42).
Vnde necesse est de his qui ecclesiae militant unum, habito Domini timore, perquirere, qui pastoris ministerium possit digne suscipere atque illic, protegente Domino, sacramentorum diuinorum dispensator insistere, quatenus et pro filiis Ecclesiae purae cotidie mentis holocaustum
offerat, et uiam gregi quomodo ad supernam patriam dirigatur ostendat (Greg RegEp I, 58). L’espressione holocaustum mentis offerre sembra anche rieccheggiare un passaggio delle Conlationes di Cassiano († 435), dove l’abate di Marsiglia discorre su come ciascuno possa offrire in sacrificio a Dio le proprie primizie:
60 Cfr. Gregorio Magno, Commento al Cantico dei cantici, a cura di E. Gandolfo cit., p. 22. 61 Sul tema dell’offerta spirituale si tornerà nei paragrafi successivi a proposito della maceratio
Et idcirco si placitas et acceptabiles Deo primitias ex fructibus mentis nostrae optamus
offerre, non mediocrem sollicitudinem debemus inpendere, ut omnes nostri corporis sensus
matutinis praecipue horis tamquam sacrosancta Domini holocausta in omnibus inlibata atque intacta seruemus (Cassia Conl 21, 26).
Sebbene non vi siano elementi sufficienti per affermare con certezza che Gregorio nell’esporre il Cantico dei cantici abbia mutuato l’espressione cassianea, va ricordato che le Conlationes erano certamente note al papa, tanto da costituire la fonte di numerosi passaggi dei Moralia e delle Homiliae in Hiezechihelem62.
6. Il sesto paragrafo riprende il motivo origeniano dell’eccellenza del