II. Metodi e strumenti per lo studio delle font
32. Si apre una nuova sezione, comprendente anche i paragrafi successivi, dedicata all’esegesi di un lemma molto ricco: Nigra sum et formosa, filiae
Hierusalem, sicut tabernacula Cedar, sicut pellis Salomonis. Nolite me considerare, quod fusca sim. Si tratta dei versetti Ct 1,4-5a che sono fatti oggetto di una triplice interpretazione a valenza ecclesiologica. Il paragrafo 32, in particolare, è dedicato alla spiegazione della porzione Nigra sum et formosa, filiae Hierusalem, sicut tabernacula Cedar (Ct 1,4a-b), che il papa interpreta come il grido della Sposa in quanto popolo della prima Alleanza appena convertito al Cristianesimo (cfr. Greg CtExp 12, 15 e 18), rivolto nei confronti della parte di Israele rimasta in attesa del Messia. La Sposa per questo fu considerata traditrice dell’antico patto fra Dio e il suo popolo e subì la persecuzione già in ambito giudaico. Anche Giusto d’Urgell presenta queste parole come se fossero state pronunciate dalla Chiesa primitiva nata anch’essa dal popolo israelitico, ma in seguito convertitasi al Vangelo:
Nigra sum, sed formosa, filia Ierusalem, sicut tabernacula Cedar, sicut pellis Salomonis (Ct 1,4). Nigra confessione peccati, formosa gratia sacramenti, filia Ierusalem. Ex illa enim primitivorum ecclesia per Evangelium nata est quae prima credidit in Hierusalem (Iust Ct I, 8).
La differente versione del Cantico impiegata da Gregorio impedisce tuttavia che i due esegeti giungano al medesimo sviluppo ermeneutico. Il presule iberico legge infatti filia Hierusalem in luogo del plurale filiae Hierusalem presente nel testo adottato da Gregorio; questo lo porta a interpretare filia
Hierusalem come un asserzione che la Sposa riferisce a sé stessa, piuttosto che come vocativo mirato a chiarire che l’enunciato «Nigra sum et formosa […]» è un grido della Sposa/neo-convertita a Cristo, lanciato alle altre figlie di Gerusalemme rimaste fedeli al patto mosaico (filiae Hierusalem), come avviene in Gregorio. Anche in Apponio, che nel luogo biblico in questione presenta un testo perfettamente solidale a quello gregoriano, le figlie di Gerusalemme rappresentano il popolo ebraico ostile verso l’innesto del Cristianesimo nel ceppo giudaico. Di questa ostilità fa parte l’additare la Chiesa come nigra a causa del peccato, tema comune a entrambi gli scritti:
Nigra sum sed formosa, filiae Hierusalem (Ct 1,4) […] Filias autem Hierusalem principes
uel sacerdotes Iudaeorum intellegi, qui
Ecclesiae gentium maculam nigredinis peccatorum improperant, qui apostolos prohibebant uerbum salutis gentibus loqui, sicut aliis uisum est praesenti loco, nescio quomodo possit congrue stare, cum istae animae quae filiae pacis sunt, id est Hierusalem, nihil aemulationis habeant in se, sed magis laetentur et gaudeant in aliarum animarum salute, et patrem Christum, qui est pax nostra, imitando, pro fratribus ad eius fidem uenientibus animam ponunt (App Ct I, 42).
Nigra sum et formosa, filiae Hierusalem, sicut tabernacula Cedar, sicut pellis Salomonis (Ct 1,4a-b). Nolite me considerare, quod fusca sim: quia decolorauit me sol. Scimus quia in primordiis ecclesiae, dum praedicata fuisset gratia redemptoris nostri, alii crediderunt ex Iudaea, alii non crediderunt; sed hi, qui crediderunt, ab infidelibus despecti sunt et persecutionem passi quasi in uia gentium discessisse iudicati sunt. Vnde ecclesia in
eisdem clamat aduersus eos, qui conuersi non sunt: Nigra sum, sed formosa, filiae
Hierusalem. «Nigra quidem uestro iudicio, sed formosa per inlustrationem gratiae» (Greg CtExp 32).
Il passo immediatamente successivo reca la prima spiegazione etimologica offerta nel corso del Commentario: si tratta della derivazione del nome Cedar alle cui tende la Sposa paragona il suo essere nigra. Il papa spiega che il nome vuol dire ‘tenebre’ (Cedar interpretatur tenebrae). Questa interpretazione ha una serie di illustri predecessori, molti dei quali noti a Gregorio o a lui facilmente accessibili, tanto da rendere plausibile l’adesione da parte del nostro autore a una topica ormai consolidata. L’interpretazione di questo nome si trova in Origene (Orig CtHom 1, 6), Ilario di Poitiers (Hil Ps 119, 21), Gregorio d’Elvira (GregIll Ct 1, 28), Gerolamo (Hier IHN 4, 6 e 48, 13), Agostino (Aug Ps 119, 7), Apponio (App Ct I, 45), Eucherio di Lione (Euch Instr II, 38) e Cassiodoro (Cass Ps 119, 151).
Origene e Apponio, così come Gregorio, offrono inoltre un’informazione aggiuntiva a proposito della genealogia di Cedar tratta da Gn 25,13127:
Quamvis enim pro coloris obscuritate comparetis me tabernaculis Cedar et pellibus Solomonis, tamen et Cedar ex Ismael descendit – secundo namque loco ex Ismael natus est, qui Ismael non fuit expers divinae benedictionis (Orig CtComm 2, 1, 5).
Abraham enim genuit Ismahelem de Agar, et Ismahel inter ceteros genuit Cedar (App Ct I, 43).
Cedar interpretatur tenebrae: Cedar enim secundus fuit de genere Ismahel (Greg CtExp 32).
Dopo aver spiegato il paragone con le tende di Cedar, il papa passa a occuparsi del raffronto fra la bellezza della Sposa e lo splendore delle pelli di Salomone (Quomodo formosa? Sicut pellis Salomonis). A questo punto viene introdotta un’informazione tratta da fonte non meglio identificata (Fertur Salomon […]), tanto che nessuno degli studiosi che si è occupato dell’Expositio ne ha saputo individuare la provenienza. Il Verbraken ha riconosciuto la presenza di un probabile debito scritturale, limitandosi tuttavia a inserire un confer seguito da punto interrogativo nella fascia d’apparato dedicata alle fonti bibliche128. Il Bélanger afferma che nessun passo della Bibbia fa riferimento a questa leggenda, ma che il pontefice può dipendere tout court dalle Omelie sul Cantico di Origene129. In effetti l’esegeta fa allusione alle pelli di Salomone, ma riferisce semplicemente che il re le fece confezionare a ornamento della tenda durante l’edificazione del tempio: «Speciosa ut pelles Salomonis, quas eo tempore in tabernaculi ornamenta composuit, quando templum summo studio et labore fabricatus est» (Orig CtHom 1, 6). Come si può vedere non vi è nell’Alessandrino alcun riferimento, come in Gregorio, al fatto che queste pelli servissero a ricoprire i vasi del tempio130. Allo stato attuale della ricerca, purtroppo si può solo
127 Cfr. Prospetti sinottici, Tab. 3.
128 Cfr. Sancti Gregorii Magni Expositio in Canticum canticorum cit., p. 33.
129 Cfr. Grégoire le Grand, Commentaire sur le Cantique des cantiques cit., p. 118 nota 48.
130 Nonostante il comune riferimento alla tenda di Salomone (cfr. Es 25,5), neanche il
Commentario di Origene fa il minimo accenno ai vasi: «Sed et pellibus Solomonis comparatis me, quae non aliae sunt quam pelles tabernaculi Dei, et tamen miror vos, o filiae Hierusalem, coloris mihi exprobrare velle nigredinem» (Orig CtCom 2, 1, 5).
confermare il dubbio di Verbraken, affermando tuttavia che la fonte che al momento ci sfugge non è Origene come asserito dal Bélanger, né sembra essere la Sacra Scrittura131.
Una seconda spiegazione etimologica è offerta per il nome di re Salomone che viene interpretato come ‘pacifico’ (Salomon interpretatur pacificus). In questo caso le attestazioni sono senza dubbio più numerose: Ambrogio (Amb David 4, 22), Filone di Carpasia (Phil Ct preaf. 54), Gerolamo (Hier Is 18, 66, 20; Hier ProMi 1, 1; Hier Eccl 1, 1; Hier Ep 28, 54, 4 e 46, 54, 3; Hier IHN [ed. Lagarde] pp. 63 e 71; Hier Ps 95, 194), Agostino (Aug Faust 13, 7 e 22, 76; Aug CDei 17, 8; Aug Ps 71, 1 e 126, 2; Aug Sermo 10, 148), Apponio (App Ct I, 44; V, 32 e 34; XII, 57), Eucherio (Euch Instr II, 56), Quodvultdeus (QVultD PPD 2, 27), Giusto d’Urgell (Iust Ct III, 69) e Cassiodoro (Cass Ps 71,1; 125, 158; 126, 2). Come si può vedere Gregorio partecipa a una interpretazione ormai generalizzata e aderisce all’altrettanto tipica lettura di Salomone quale figura Christi (Salomon interpretatur pacificus, nos ipsum uerum Salomonem intellegamus), presente in Ambrogio (Amb Lc 7, 1002), Cromazio d’Aquileia (Chr Mt 2, 131), Agostino (Aug Faust 22, 76; Aug CDei 17, 10; Aug Ps 71, 1 e 126, 2; Aug Ep 199, 57, 12; Aug Sermo 358, 31), Apponio (App Ct I, 44) e Quodvultdeus (QVultD PPD 2, 27).
Sulla base dell’identificazione del saggio re di Gerusalemme quale tipo della figura di Cristo, l’esegeta costruisce il ragionamento successivo: le anime aderiscono a Dio come le pelli che ne costituiscono la tenda aderiscono a Salomone e, allo stesso modo, macerano sé stesse in ossequio al re della pace (Sed, quia Salomon interpretatur pacificus, nos ipsum uerum Salomonem
131 Un caso analogo di difficoltà nell’individuazione della fonte precisa in relazione alla questione
delle pelli di Salomone si presenta nel Commentario di Gregorio d’Elvira (GregIll Ct 1, 30): l’esegeta riferisce delle pelli rubicunde e iacintine che coprivano il tabernacolo con riferimento, secondo l’editrice Schulz-Flügel, a 2Cr 3,14, Es 26,14 e Nm 4,6-25 (cfr. Gregorius Eliberritanus, Epithalamium, sive Explanatio in Canticis canticorum cit., p. 191). In effetti 2Cr 3,14 tramanda le istruzioni per la realizzazione del velo del Tempio di Gerusalemme, ma non fa cenno alcuno al fatto che questa cortina dovesse essere realizzata con delle pelli, né al fatto che esse fossero quelle del tabernacolo come prescritto da Es 26,14 (qui si fa riferimento alle pelli di montone tinte di rosso e a quelle di tasso realizzate per la copertura della tenda del convegno tra Dio e Mosè). Anche il database della Vetus Latina annovera il passo di Gregorio d’Elvira sotto 2 Paralipomenon 3,14 (=2Cr 3,14): Vetus Latina Database. Bible Versions of the Latin Fathers. The Comprehensive Patristic Records of the Vetus Latina Institut in Beuron, Turnhout, Brepols 2002.
intellegamus: quia omnes animae adherentes deo pelles Salomonis sunt, macerantes se ipsas et in obsequium regis pacis redigentes). Sebbene alcuni passaggi non siano espressi esplicitamente, sulla figura Salomone/Cristo si costruisce una lettura del lemma fatta di coppie parallele: pelli/anime; adesione (sottintesa) e ossequio reso dalle pelli alla regalità di Salomone (in obsequium regis)/adesione e ossequio da parte delle anime a Cristo (si noti la ripresa di in obsequium regis); maceratio al sole delle pelli che costituiscono la tenda del re (sottintesa)/maceratio delle anime nell’ossequio al re della pace. Nel motivo della maceratio anime sembra riaffiorare il tema dell’holocaustum mentis, l’offerta spirituale dalla valenza quasi liturgica della propria anima nella contemplazione della divinità132.
Sulla base di quanto si è detto, mi pare non sia del tutto pacifico il legame fra il Commentario di Gregorio e quello di Apponio rilevato dal Bélanger a partire dall’identificazione fra Cristo e Salomone e dalla presenza del tema ascetico della mortificazione della carne133. In realtà le due prove non reggono davanti all’evidenza di una topica diffusa come quella del parallelo Salomone/Cristo e soprattutto davanti all’assenza in questo passaggio dell’Expositio del tema della mortificazione corporale quale imitatio Christi134:
In pellibus autem, ut diximus, magnae contegi personae monstrantur, quae per gratiam lauacri ad pristinam pulchritudinem repedauerunt, et de sancta conuersatione numquam foras egrediuntur, et imitando matris Ecclesiae uitam, quae se pellibus comparat Salomonis, ad instar
pellium mortuarum crucifigendo cum Christo carnem suam redigunt, quatenus
possint in se Christi similitudinem trahere. In cuius persona introducitur Salomon – qui "pacificus" interpretatur – qui omni modo uerus pacificus intellegitur Christus, qui est Ecclesiae pax (App Ct I, 44).
Sed, quia Salomon interpretatur pacificus, nos ipsum uerum Salomonem intellegamus: quia omnes animae adherentes deo pelles Salomonis sunt, macerantes se ipsas et in obsequium regis pacis redigentes (Greg CtExp 32)
132 Questo tema lo si è già incontrato nella lettura del prologo: cfr. Greg CtExp 5. 133 Cfr. Bélanger, Introduction cit., pp. 39-40.
134 Il tema dell’imitatio Christi verrà sviluppato da Gregorio nel paragrafo 36, al commento del
33. Il paragrafo presenta ancora il lamento della Sposa/Chiesa venuta dai