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Parte iniziale e Capitolo

1) A. LENTINI, L‟amministrazione locale, Como, Tipografia editrice Cesare Nani, 1953, 23-24.

2) U. LENTINI, Guida ai diritti dei cittadini, provincia di Viterbo, Difensore Civico. Viterbo, ottobre 1994, 5. Continua: “Andare avanti su questa via è opera di lunga lena e anche accidentata. Richiede una mutazione di cultura, non solo politica, in chi detiene il potere, nei burocrati, nei cittadini (…) soprattutto perché noi abbiamo un debole senso della cittadinanza e scarsa dimestichezza con i concetti di bene comune, di interesse generale, di fiducia. Alcune leggi che tutelano al meglio il cittadino già ci sono: si tratta di farle conoscere e di bene applicarle; solo così al cittadino potrà tornare lo scettro, solo così egli può essere arbitro della vita comunitaria”.

3) R. SALERNO - V. E. ORLANDO (a cura di), primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, 1902.

4) L. GAMBI, l‟irrazionale continuità del disegno geografico delle unità politico amministrative.

5) P. ANTONELLI - G. PALOMBELLI, “Le Province: la storia, il territorio”, in Amministrazioni pubbliche e territorio, cit., pag. 69.

6) C. MALANDRINO - S. QUIRICO (a cura di), Garibaldi, Rattazzi e l‟Unità d‟Italia, Claudiana, Torino, 2011.

7) C. CERRETI, “La rappresentazione del territorio”, in L'unificazione italiana, Treccani, 2011.

8) D. MARUCCO, L'amministrazione della statistica nell'Italia unita, Laterza, Roma-Bari, 1996.

154 9) G. MELIS, Storia dell'amministrazione italiana (1861- 1993), Il Mulino, Bologna, 1996.

10) G.B. CERESETO, il comune nel diritto tributario; commento sulle imposte comunali con un‟appendice sulle imposte provinciali. Torino 1889.

11) A. PETRACCHI, Le origini dell'ordinamento comunale e provinciale italiano : storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell'antico regime al chiudersi dell'età cavouriana, 1770-1861, Neri Pozza Editore, Venezia, 1962.

12) Relazione sul nuovo ordinamento comunale e provinciale fatta a S.M. dal Ministro dell‟Interno Rattazzi il 23 ottobre 1859.

13) F. MERLONI, “Risultati delle indagini e prospettive di studio”, in Amministrazioni pubbliche e territorio.

14) M. S. GIANNINI, “Il riassetto dei poteri locali”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1971, pp. 454.455: “Non vi è un solo caso i cui la creazione di una Provincia sia stata collegata al fatto che vi si ravvisava l‟esistenza di un gruppo unitario locale… Tuttavia, per una di quelle ultronee vicende della storia, è pur vero che le Province, create per interessi del governo centrale, hanno finito per assumere una propria fisionomia, anche come gruppi territoriali e sociali”.

15) G. SAREDO, Commento alla nuova legge sull'amministrazione comunale e provinciale, UTET, Torino, 1889. Antonio Amorth, Le province: Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Neri Pozza, Venezia, 1968.

16) F. BONINI - F. CRISPI e l'unità: da un progetto di governo un ambiguo mito politico, Bulzoni, Roma, 1997.

17) F. FABRIZZI, “Le Province: storia istituzionale dell‟ente più discusso. Dalla riforma Crispi all‟Assemblea costituente”, in Federalismi.it, n. 13 del 2008. “Nei fatti,

155 quando sempre nel 1927 si procedette al riordino delle circoscrizioni, il numero delle province salì da 76 a 92 e per la prima volta tale aumento non era dovuto all‟annessione di nuovi territori. La motivazione venne chiaramente illustrata in un discorso tenuto da Mussolini alla Camera dei Deputati il 26 maggio, noto come “discorso dell‟Ascensione”, che merita di essere riportato ampiamente: «Perché ho creato 17 nuove provincie? Per meglio ripartire la popolazione; perché questi centri provinciali, abbandonati a se stessi, producevano un'umanità che finiva per annoiarsi, e correva verso le grandi città, dove ci sono tutte quelle cose piacevoli e stupide che incantano coloro che appaiono nuovi alla vita. Abbiamo trovato, all'epoca della Marcia su Roma, 69 provincie del Regno. La popolazione era aumentata di 15 milioni, ma nessuno aveva mai osato di toccare questo problema, e di penetrare in questo terreno, perché nel vecchio regime l'idea, l'ipotesi di diminuire od aumentare una provincia, di togliere una frazione ad un comune o, putacaso, l'asilo infantile di una frazione comunale, era tale problema da determinare crisi ministeriali gravissime. Noi siamo più liberi in questa materia, e allora, fin dal nostro avvento, abbiamo modificato quelle che erano le più assurde incongruenze storiche e geografiche dell'assetto amministrativo dello Stato italiano. È allora che abbiamo creato la provincia di Taranto e quella della Spezia, che abbiamo restituito la Sabina a Roma, perché i Sabini questo desideravano, e il circondario di Rocca San Casciano alla provincia di Forlì, per ragioni evidenti di geografia. Ci sono state quattro provincie particolarmente mutilate, che hanno accettato queste mutilazioni con perfetta disciplina: Genova, Firenze, Perugia e Lecce. C'è stata una provincia soppressa, che ha dato spettacolo superbo di composta disciplina: Caserta. Caserta ha compreso che bisogna rassegnarsi ad essere un quartiere di Napoli. La creazione di queste provincie è stata senza pressioni degli interessati; è stato perfettamente logico che i segretari federali siano stati festeggiati, ma non ne sapevano nulla. Abbiamo creato delle provincie di confine. Le abbiamo create adesso perché sono scomparse le condizioni per cui noi non le creammo quattro anni fa. Provincie di confine che non sono comparabili l'una all'altra: Aosta, italianissima, fierissima di patriottismo, Aosta non ha niente a che fare con Bolzano o Bolgiano, e lo vedremo

156 tra poco. Di tutte le provincie, delle quali non tesserò l'elogio per non mortificare la modestia dei deputati che le rappresentano qui, una particolarmente m'interessa: quella di Bolzano. [...] Non appena fu pubblicato sui giornali l'elenco delle nuove provincie, sorsero dei desideri. Alcune città, che si ritenevano degne di questo onore, lo sollecitarono. Ma io risposi con un telegramma ai notabili di Caltagirone, dicendo che fino al 1932 di ciò non si sarebbe parlato. Perché nel 1932? Perché nel 1932 sarà finito il censimento che noi stiamo preparando sin da questo istante. Mancano quattro anni, ma io ho deciso che entro sei mesi si devono conoscere i risultati del censimento del 1931. Ed allora molto probabilmente ci sarà una nuova sistemazione delle provincie italiane, ci saranno città che diventeranno provincie, se le popolazioni saranno laboriose, disciplinate, prolifiche.» Mussolini collegava dunque la creazione delle diciassette nuove province alla necessità di “meglio ripartire la popolazione” e di frenare l'esodo dalle campagne e dai piccoli centri verso le grandi città. L'accorpamento e la dotazione di nuovi strumenti decisionali, connessi alla promozione al rango di provincia, costituivano in primo luogo una gratificazione psicologica per l'abitante del piccolo centro, per il cittadino comune oltre che per i notabilati locali, modificandone anzitutto l'auto-percezione. E poi, doveva essere un segno tangibile della presenza dell‟autorità statale in provincia.

18) G. PALOMBELLI, L‟evoluzione delle circoscrizioni provinciali dall‟Unità d‟Italia ad oggi, 2012

19) «Art. 116. Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d‟Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali. Art. 131. Sono costituite le seguenti Regioni: Piemonte; Valle d‟Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzi e Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna.»

20) Assemblea costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda sottocommissione, 14 novembre 1946.

157 21) Assemblea costituente, Commissione per la Costituzione, Seconda sottocommissione, 27 giugno 1947.

22) “Non va dimenticato che molte città italiane avevano manifestato replicatamente le loro aspirazioni per la ricostruzione di questi circondari, a titolo unicamente di decentramento amministrativo, senza alcuna forma autonoma o autarchica”. Teodoro Bubbio, Assemblea costituente, 17 Luglio 1947.

23) Assemblea costituente, 5 Dicembre 1947 (pomeridiana).

24) “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

25) G. BERTI, “Principi fondamentali, Commento all'art. 5 Cost.”, in Commentario della Costituzione, a cura di Giuseppe Branca, Zanichelli, Bologna, 1975, 278.

26) Il primo limite espresso alla revisione costituzionale si rinviene nell'art. 139, che sottrae alla revisione costituzionale la "forma repubblicana". Accanto al limite imposto dall'art. 139, si rinvengono comunemente altri limiti alla revisione della Costituzione: alcuni espressi - ancorché meno chiaramente -, altri impliciti. Alla prima categoria possono ricondursi i diritti "inviolabili" dell'uomo (art. 2 e artt. 13-16) ed il principio di unità ed "indivisibilità" della Repubblica (art. 5)che oppone un ostacolo insormontabile ad ipotesi di secessione, quand'anche consacrate in leggi costituzionali. Tra i limiti impliciti si fanno in genere rientrare i principi supremi dell'ordinamento costituzionale, parzialmente coincidenti con i valori consacrati nei primi 12 articoli della Costituzione (compresi nella rubrica "Principi fondamentali"). Il limite dei "principi supremi" è stato ripetutamente richiamato dalla Corte Costituzionale. Cfr. Sentenza n. 1146

158 del 1988: «La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana.»

27) L‟art. 128 della Carta costituzionale del ‟48 afferma infatti che “Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell‟ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni”.

28) L‟art. 132 della Costituzione richiede una legge costituzionale e il referendum per l‟istituzione di nuove regioni e una legge ordinaria e il referendum per il passaggio di comuni o province da una regione all‟altra. L‟art. 133 della Costituzione per le modificare le circoscrizioni comunali e l‟istituzione di nuovi comuni richiede una legge regionale e la consultazione delle popolazioni interessate. Per le Province l‟art. 133, comma 1, recita “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell‟ambito d‟una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione.”

29) Tutte le norme vennero poi raccolte nel “Testo Unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali” (DPR n. 570/1960) e nel successivo “Testo Unico delle leggi per la disciplina dell‟elettorato attivo e passivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali” (DPR n. 223/1967).

30) F. FABRIZZI, La Provincia: storia istituzionale dell‟ente locale più discusso. Dall‟Assemblea costituente ad oggi, cit, Federalismi, 3 Dicembre 2008.

159 31) Come riportato da una relazione svolta dal ministero per la Costituente nel 1946, esistevano in Italia 130 tipi diversi di controllo, praticamente tutti rimasti operanti anche dopo l‟entrata in vigore della Costituzione repubblicana.

32) R. ROMANELLI, Centralismo e autonomie, in R. Romanelli (a cura di), Storia dello Stato Italiano, Roma, 1995, p167 e ss. Romanelli, riferendosi ad esempio all‟operato del Partito comunista, afferma tra l‟altro che “nelle zone in cui aveva stabile controllo dei governi locali, il Partito comunista sviluppò dei programmi amministrativi a sfondo espressamente politico, nel senso che essi miravano a basarvi una partecipazione più estesa e consapevole e una battaglia per l‟attuazione dei principi autonomistici dettati dalla costituzione (inizialmente sostenuti dai cattolici, ma presto divenuti patrimonio dell‟opposizione) e allo stesso tempo a indicare – a partire dal governo degli enti territoriali – modelli alternativi di sviluppo economico. Riviveva allora qualcosa dell‟antico “impadroniamoci dei comuni”. Risuonava infatti nelle parole di alcuni esponenti locali la tentazione di riproporre nel nuovo contesto l‟idea che in se stessa la gestione dal basso potesse costituire una sfida agli assetti vigenti sul piano nazionale”.

33) F. BASSANINI, L‟attuazione delle Regioni tra centralismo e principi costituzionali, La nuova Italia, Firenze, 1970.

34) Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Res. Sten., seduta di martedì 9 agosto 1983.

35) P. AIMO, Le province dalle origini alla Costituzione (Quaderni Isap-saggi n. 33), 2010.

36) Si noti che l‟introduzione della gestione per assessorati è una delle novità introdotte dalla legge 8 marzo 1951 n. 122; in precedenza, infatti, la deputazione provinciale lavorava in modo collegiale. Anche in questo caso, il sospetto è che la suddivisione del lavoro amministrativo non fosse dettata esclusivamente da esigenze funzionali, ma provenisse anche, e

160 forse soprattutto, da esigenze politiche: a ciascun partito il proprio assessore, in una suddivisione che dava sempre maggiore peso alle ingerenze politiche sulla gestione dell‟ente locale.

37) Facevano parte del Comitato i professori: Ettore A. Albertoni, Giovanni Bognetti, Romano Cajelli, Gian Franco Ciaurro, Vittorio Di Ciolo, Giuseppe Franco Ferrari, Serio Galeotti, Francesco Gentile, Massimo Severo Giannini, Pietro Grilli di Cortona, Aldo Loiodice, Alberto Martinelli, Carlo Mezzanotte, Sergio Ortino, Ettore Rotelli, Nazareno Saitta.

38) Cfr. UPI - CUSPI, Atlante statistico delle Province italiane, Roma, 2011: la carta e il grafico riprodotti in questo paragrafo sono tratte dal saggio di Rossella Salvi, Storia e demografia delle Province italiane 1861 – 2011.

39) I decreti attuativi della delega contenuta nell‟art. 63 della legge 142/90: “63. Delega al Governo per la prima revisione delle circoscrizioni provinciali. [1. Ai fini della prima applicazione dell'articolo 16 ed in attuazione dell'articolo 17, il Governo è delegato ad emanare, nel termine di due anni dalla entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la revisione delle circoscrizioni provinciali e per la istituzione di nuove province conseguenti alla delimitazione territoriale delle aree metropolitane effettuata dalla regione. 2. Il Governo è altresì delegato, entro lo stesso termine, ad emanare decreti legislativi per l'istituzione di nuove province, compatibilmente con quanto stabilito al comma 1, per tutte le aree territoriali nelle quali, alla data del 31 dicembre 1989, è stata già avviata la formale iniziativa per nuove province da parte dei comuni ed è già stato deliberato il parere favorevole da parte della regione (Biella, Crotone, Lecco, Lodi, Prato, Rimini e Verbania), ovvero il parere favorevole venga deliberato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge...] La delega è stata attuata soltanto nella parte relativa all‟istituzione delle 8 nuove province (comma 2) mentre non è stata attuata per quanto riguarda la delimitazione delle aree metropolitane e la revisione delle circoscrizioni provinciali (comma 1).

161 40) Articolo 76: “La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, i Comuni, le Province e le Regioni è formata da ministri, sindaci e presidenti di Province e di Regioni. Promuove intese ai fini dell‟esercizio delle rispettive funzioni di governo e svolge le altre funzioni previste dalla legge. La Conferenza è presieduta dal Primo ministro, da un ministro da questi delegato ovvero dal vicepresidente, eletto tra i rappresentanti dei Comuni, delle Province e delle Regioni. È convocata dal Primo ministro, anche su richiesta del vicepresidente”.

41) “Il Senato della Repubblica in sessione speciale è integrato da consiglieri comunali, provinciali e regionali eletti in ciascuna Regione in numero pari a quello dei relativi senatori. La legge stabilisce i criteri per l‟elezione dei consiglieri in modo da assicurare una equilibrata rappresentanza degli enti interessati. I collegi elettorali sono formati rispettivamente da componenti dei consigli comunali, provinciali e regionali, sulla base dei voti espressi per l‟elezione dei consigli stessi. La sessione speciale è convocata per l'esame dei disegni di legge relativi a: a) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Province; b)coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; c) tutela di imprescindibili interessi nazionali nelle materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni; d) autonomia finanziaria di Comuni, Province e Regioni, conferimento di beni demaniali alle Province, alle Regioni e allo Stato”. L‟art. 135 del progetto, infine, statuiva che “La Corte costituzionale è composta da venti giudici. Cinque giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica; cinque giudici sono nominati dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa; cinque giudici sono nominati dal Senato della Repubblica; cinque giudici sono nominati da un collegio formato dai rappresentanti di Comuni, Province e Regioni che integrano il Senato della Repubblica in sessione speciale”.

42) Cfr. G. BERTI – G. C. DE MARTIN, Il sistema amministrativo dopo la riforma del titolo V della Costituzione, Luiss Edizioni, Roma, 2002. In base all‟art. 118, comma 1

162 della Costituzione, le funzioni amministrative, in base al principio di sussidiarietà, sono generalmente “attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l‟esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà differenziazione ed adeguatezza”. Questa disposizione non opera direttamente, ma costituisce un principio guida per il legislatore statale e regionale, che deve giustificare ogni spostamento della funzione amministrativa dal Comune verso i livelli superiori di governo. Dal tenore della disposizione si ricava che le funzioni amministrative che non possono essere esercitate dal singolo Comune devono essere esercitate, a livello di area vasta, in primo luogo dalle Province e dalle Città metropolitane (ove esse esistano).

43) F. BASSANINI - L. CASTELLI (a cura di) Semplificare l'Italia: Stato, regioni, enti locali, Passigli, Firenze, 2008.

44) Cfr. la Legge della Regione Sardegna 12 luglio 2001, n. 9 e sue modificazioni.

45) Cfr. le leggi 11 giugno 2004, nn. 146, 147 e 148 istitutive rispettivamente delle Province di Monza e Brianza; Fermo; Barletta–Andria–Trani.

46) Art. 127 bis: “I Comuni, le province e le città metropolitane, qualora ritengano che una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o della regione leda le proprie competenze costituzionalmente attribuite, possono promuovere dinanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale. Una legge costituzionale disciplina le condizioni, le forme e i termini di proponibilità della questione”.Art. 127 ter: “Fatte salve le competenze amministrative delle Conferenze di cui all‟articolo 118, terzo comma, la legge dello Stato, approvata ai sensi dell‟articolo 70, terzo comma, promuove il coordinamento tra il Senato federale della Repubblica e i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni e ne disciplina forme e modalità. Il regolamento del Senato federale della Repubblica garantisce rapporti di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori e i rappresentanti degli enti di cui all‟articolo 114,

163 secondo comma. I Senatori possono essere sentiti, ogni volta che lo richiedono, dal Consiglio o Assemblea della regione ovvero dal Consiglio della Provincia autonoma in cui sono stati eletti con le modalità e nei casi previsti dai rispettivi regolamenti”.

47) Riferisce Linda Lanzillotta, ministro per gli Affari regionali e per le Autonomie locali i propositi della “Carta delle Autonomie” “riorganizzare il sistema delle competenze amministrative degli enti locali ridefinendo il ruolo di ciascun livello di governo attraverso una lettura molto incisiva dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza richiamati dal primo comma dello stesso articolo 118, principi dei quali si era data sino ad allora una lettura poco più che rituale e che rappresentavano invece la chiave per una profonda modernizzazione del sistema”.

48) “Quel che intendiamo qui colpire - si legge nella proposta di legge di iniziativa del sen. Dini - è l‟istituzione provincia, non ritenendo utile la persistenza di una classe politica che si interpone tra quella comunale e quella regionale e che non ha nella storia italiana un vero e significativo radicamento, come dimostra la scarsa partecipazione degli elettori alle elezioni provinciali. La provincia è un ente lontano dai cittadini e a poco vale l‟aver rafforzato la legittimazione dei suoi Presidenti, attraverso un peraltro efficace, sistema elettorale a doppio turno. La sua visibilità e la sua legittimazione sono molto più scarse di quella del Presidente della regione e ancor più di quella del sindaco. Questo livello politico intermedio dunque - conclude la relazione - ci appare un elemento di confusione, non realmente radicato privo di una sostanziale rappresentanza e generatore invece di costi impropri cui in questa fase della nostra storia dobbiamo guardare con particolare severità e attenzione”.

49) Il Presidente dell‟UPI ribadisce che nei bilanci delle province: “trovano spazio servizi fondamentali per la vita dei cittadini, spese spesso incomprimibili: tanto per citare alcuni dati, lo scorso anno le Province hanno dedicato alla viabilità, ai trasporti, alla tutela del territorio ed alla protezione

164 dell‟ambiente il 42,2% dei loro bilanci, più di 4 miliardi di euro. Per la formazione e l‟istruzione dei nostri giovani e per assicurare scuole sicure e accoglienti abbiamo investito oltre 2 miliardi di euro. Ci siamo, per la nostra parte, impegnati a contribuire al rilancio del Paese, riservando quasi 2 miliardi di euro allo sviluppo dei territori, con aiuti alle industrie e alle piccole e medie imprese, sostegni all‟imprenditoria giovanile e femminile, promozione della ricerca e della diffusione delle energie alternative e delle fonti rinnovabili. Quasi 500 milioni di euro sono stati impegnati per la promozione della cultura, del turismo e dello sport e per i servizi sociali”. In più, ha aggiunto Melilli, il livello di governo intermedio prevale ormai nel panorama europeo: “il livello di governo intermedio è presente in tutti gli Stati dell‟Unione, sia nei Paesi come Francia, Germania e Inghilterra, dove vanta antiche tradizioni e non è mai stato messo in discussione, sia in Stati dove, dopo essere stato contestato, è uscito integro e più forte di prima”. Di più “le Province in Europa