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Percorsi di intervento

Al percorso indicato, prodotto sostanzialmente attraverso la condivisio- ne delle pratiche nelle comunità online informali degli insegnanti, la ri- cerca educativa dovrebbe indirizzare verso ulteriori passi, verso quelle che potrebbero essere viste, rimanendo nella metafora, come ulteriori “inver- sioni”. Fin dalle origini della scuola è la lezione frontale l’elemento centrale dell’attività didattica, mentre lo studio individuale ne è sempre stato sostan- zialmente funzionale. Oggi, in una scuola svuotata della sua tradizionale funzione di diffusione di conoscenza, la fase di esposizione di contenuti di- viene meno rilevante rispetto a quella della loro appropriazione. È quest’ul- timo il processo più critico. È qui che gli studenti debbono mettere in campo le proprie facoltà cognitive impegnandosi nel processo di interioriz- zazione delle conoscenze ed è questo quindi il momento su cui si dovrebbe plasmare l’intera attività didattica. Di conseguenza, contenuti digitali, vide- olezioni, risorse testuali, dovrebbero essere tutte progettate e utilizzate per essere funzionali alla fase di appropriazione e non viceversa.

C’è poi un’ulteriore significativa inversione che dovrebbe essere soste- nuta, l’inversione fra lezione e studio anche sul piano temporale. In questo senso l’esposizione ai contenuti non dovrebbe avvenire prima della fase di studio, o meglio, di lavoro degli studenti, bensì dopo (Freinet, 2002; Rivol- tella, 2013). Come abbiamo visto la fase di lavoro, di apprendimento attivo in classe con gli studenti non si basa su attività di memorizzazione e di ri- petizione, ma di costruzione attiva di conoscenze attraverso le metodolo- gie della ricerca, del problem solving, della scoperta. I contenuti disciplina- ri non vengono quindi presentati agli studenti, ma fatti costruire attraverso un processo di riscoperta, di reinvenzione (Freudenthal, 1994), che natural- mente non è spontanea, ma guidata dall’insegnante. È solo dopo questa fa- se che diviene sensata e utile una esposizione ai contenuti, anche nelle for- me tradizionali. Il sapere disciplinare, come codificato nel libro di testo e

come trasposto dall’insegnante, arriva dopo e serve da confronto delle atti- vità condotte, come verifica di quanto prodotto e infine anche come conso- lidamento dell’apprendimento.

Si tratta quindi di favorire un processo che scardini il tradizionale ci- clo di apprendimento lezione in classe – studio a casa – verifica in classe, che così profondamente incarna la scuola al punto da essere indicata come la “sacra trinità” (De Mauro, 2012), per passare ad uno ispirato ai model- li di apprendimento attivo ed in particolare al Challenge-Based Learning (Schwartz, Lin, Brophy, e Bransford, 2000). Come noto una condizione es- senziale per rendere attivi gli studenti nell’apprendimento scolastico è la presenza in loro di motivazione e volontà ad impegnarsi nelle attività pro- poste. Il Challenge-Based Learning fa leva proprio sul coinvolgimento emotivo prodotto dall’ingaggiare gli studenti in sfide che li appassionino, che mettano alla prova le loro abilità e che gli consentano di dimostrare il proprio valore (O’Mahony et al., 2012). L’attività didattica dovrebbe quin- di essere progettata come trasposizione di un argomento curriculare in for- ma di “sfida” che, in base delle diverse discipline e obiettivi formativi, può consistere nel risolvere un problema, dibattere un tema controverso, analiz- zare un caso, effettuare una ricerca, realizzare un progetto.

Nell’ideare queste attività occorre considerare due aspetti decisivi. Il pri- mo è che la complessità della sfida deve essere adeguata alle capacità degli studenti o meglio, riferendoci a Vygotskij (1990), deve rientrare nella lo- ro Zona di Sviluppo Prossimale. Nel nostro caso quindi deve richiedere lo sviluppo di nuove capacità raggiungibili attraverso il problem solving colla- borativo, con l’eventuale sostegno dell’insegnante, nell’arco temporale pro- grammato per l’attività didattica. Il secondo aspetto consiste nel creare un ponte immaginario fra i contenuti disciplinari e gli ambiti di interesse de- gli studenti. Occorre cioè proporre sfide che siano in qualche modo rappor- tate al loro vissuto quotidiano, che rappresentino questioni autentiche e che richiedano la mobilitazione del loro intuito, capacità inventive e conoscen- ze pregresse, anche acquisite fuori dalla scuola. Sono questi aspetti di rea- le criticità di questo approccio perché si tratta di operare una trasposizione didattica complessa. Formulare problemi significativi e di adeguata diffi- coltà richiede notevole impegno e competenze distinte da quelle messe in campo nella didattica istruzionista, competenze che si acquisiscono con l’e- sperienza. Naturalmente ogni singolo docente non è chiamato a reinventare da solo una “didattica per sfide” della propria disciplina e le risorse condi- vise in Rete dalle comunità dei docenti costituiscono un riferimento essen- ziale.

La progettazione di Unità di apprendimento secondo questo approc- cio può avvenire riadattando un ciclo in tre fasi, come proposto in diver-

si modelli di didattica attiva (Karplus e Butts, 1977; Lester, 1983; Rivoltel- la, 2013):

1. Attivazione. Consiste nel lanciare la sfida agli studenti in modo da coin- volgerli sollecitando curiosità e naturale inclinazione ad apprendere. Si tratta di problematizzare un tema, delinearne i contorni, fornire pro- spettive per analizzarlo. Occorre quindi trasporre i contenuti disciplina- ri da una forma espositiva e risolutiva ad una problematica, dubitativa, ipotetica e lasciare agli studenti il compito di elaborare le loro strate- gie per proporre una soluzione. Questa fase dovrebbe impegnare gli stu- denti fuori della scuola e prima della lezione, ma è anche possibile svol- gerla in classe in caso di difficoltà nell’attivazione di canali comunicativi online. Ci si può avvalere di qualsiasi strategia comunicativa dai prodot- ti multimediali a semplici testi, mantenendo l’obiettivo di attivare i mec- canismi della sfida.

2. Produzione. È la fase nella quale gli studenti affrontano la sfida. Ciò av- viene in classe attraverso lo svolgimento di attività che sollecitino i pro- cessi di pensiero alla base dello sviluppo culturale e scientifico delle di- verse discipline e che consentano quindi la scoperta, la reinvenzione, la costruzione delle conoscenze, sia pur in una modalità facilitata dalla guida del docente. La sfida può essere condotta anche frontalmente coin- volgendo tutta la classe in una attività dialogica comune (Meyer, 2013), oppure attivando pratiche di cooperative e peer learning (Mazur, 1996; Topping, e Ehly, 1998). L’insegnante assume il ruolo del tutor assisten- do ogni alunno e i singoli gruppi in base alle loro specifiche esigenze. Questo momento prevede la produzione di materiali e documenti da par- te degli studenti, in modo individuale o in gruppo, materiali che saranno poi utili nella terza fase.

3. Elaborazione. Il ciclo si completa con una fase di confronto e riflessio- ne che coinvolge tutta la classe. Viene condiviso quanto elaborato dai singoli o dai gruppi e viene svolta un’attività di valutazione dei risulta- ti conseguiti, avendo cura di valorizzare i percorsi più produttivi. L’o- biettivo di questa fase, attraverso le diverse metodologie del confronto di gruppo più o meno strutturate, è quello di chiarire e condividere i conte- nuti oggetto dell’unità di apprendimento, di formalizzarli e applicarli al fine di consolidarne l’apprendimento. In questa fase l’insegnante svolge la funzione di stimolo e di moderatore del confronto.