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Pianificazione dell’intervento statale in ambito rurale

2. Evoluzioni del regime fondiario: quale sviluppo per l’Alto Volta?

2.3. Pianificazione dell’intervento statale in ambito rurale

Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 lo Stato diede il via a progetti di pianificazione territoriale (projets d’aménagement), nel tentativo di migliorare le condizioni di utilizzo delle risorse naturali del Paese. Alcuni terreni vennero bonificati dall’oncocercosi, su altri territori venne promossa l’attività pastorizia o agroindustriale. Nella zona di produzione della canna da zucchero, nel sud-ovest del Paese, molte persone cominciarono a lavorare come salariati per la società nazionale dello zucchero (SOSUCO), mentre per una migliore gestione delle acque delle valli del fiume Volta, bonificate dall’oncocercosi, vennero avviati programmi di sviluppo rurale che prevedevano l’insediamento di forza lavoro migrante, proveniente dalle aree del Paese maggiormente colpite dalle ondate di siccità, verificatesi a metà del decennio (1973-1975).

Le operazioni di insediamento di braccianti agricoli migranti nelle nuove terre di “colonizzazione agricola” non fu però sempre pacifica. In alcuni casi le terre vennero

142 Il diritto di accedere alla terra lo si possedeva in funzione dello status detenuto in seno al gruppo sociale

di appartenenza: gli individui avevano diritto ad utilizzare la terra non in quanto possessori di un titolo che ne accertava la proprietà, ma come parti di entità sociali alle quali appartenevano. I diversi attori presenti nelle società africane accedevano alle risorse naturali seguendo modalità distinte per ogni gruppo: uomini e donne, giovani e vecchi, lignaggi riconosciuti come proprietari e famiglie dipendenti da tali lignaggi, autoctoni e migranti. Tali gruppi non avevano gli stessi diritti di accesso, possesso ed utilizzo della terra. Nonostante la terra fosse quindi considerata un bene appartenente all’intera “comunità”, in quanto bene inalienabile che si tramandava di generazione in generazione, il controllo e l’utilizzo delle risorse naturali dipendevano dai rapporti di forza che si instauravano tra i diversi gruppi di attori presenti nella comunità stessa. In merito ai sistemi consuetudinari si vedano i seguenti autori : Lavigne Delville (1998), “Comment

articuler législation nationale et droits fonciers locaux: expériences en Afrique de l’Ouest francophone”,

in Politiques des structures et action foncière au service de développement agricole et rural, actes du Colloque de la Réunion, CNASEA/AFDI/FNSAFER, Mario Zamponi, Terra, produzione e lavoro: storia

agraria dell’Africa australe. Il caso dello Zimbabwe, Repubblica di San Marino, AIEP, 2001, pp. 34-36 ;

Archie Mafaje, “The Agrarian question, access to land and peasant responses in Sub-Saharan Africa”, in Civil Society and Social Movements Program Paper, n° 6, may 2003

espropriate da funzionari statali agli autoctoni per favorire l’attività produttiva di migranti, causando dispute fondiarie le cui conseguenze si ripercossero anche successivamente, compromettendo in alcuni casi l’efficacia dei progetti di sviluppo. Le dispute concernenti l’utilizzo della terra crearono infatti insicurezza fondiaria da parte di coloro che la coltivavano e andarono ad incidere, dal punto di vista ambientale, sulle capacità locali di preservare suolo e risorse naturali (Baud 2001; Nianogo-Serpantie 1995)

La restante parte del territorio rurale, chiamata zone de terroirs, continuava invece ad essere gestita dalla chefferie locale (Faure 1996). I sistemi sociali che regolavano l’accesso alla terra si modificarono laddove le ondate migratorie, legate alle operazioni di colonizzazione agricola, si fecero più frequenti e cospicue. Chi veniva identificato come migrante, nelle zone di colonizzazione, faceva riferimento allo Stato centrale e agli organi amministrativi statali per rivendicare la protezione dei suoi diritti di usufrutto della terra, mentre la popolazione “autoctona” si riferiva tendenzialmente alle autorità consuetudinarie, il cui grado di legittimazione variava sulla base delle realtà regionali e dell’impatto del sistema amministrativo coloniale sulla struttura societaria precedente.143

La marginalizzazione di piccoli contadini che producevano per il consumo e il mercato locale tramite sistemi produttivi incentrati sul lavoro dei nuclei familiari e la diseguale distribuzione delle risorse e del reddito non era soltanto frutto dell’eredità coloniale,144 ma era riconducibile anche a scelte politiche di sviluppo rurale, deliberatamente perseguite dopo l’indipendenza.

143 In Burkina Faso si potevano distinguere due tipologie di autorità consuetudinarie o tradizionali: la

chefferie politica, retaggio del sistema coloniale, e la chefferie de terre. Il secondo tipo di autorità era però

assente in alcuni contesti, all’interno dei quali un’unica chefferie deteneva sia il controllo della terra che quello politico. Si trattava prevalentemente delle zone pastorali del nord del Paese, nelle quali prevaleva l’attività della pastorizia. La chefferie politica aveva diverse forme di organizzazione, da quella più gerarchizzata, presente nei territori mossi, che si componeva di un capo supremo, di chefs de canton, capi villaggio e quartiere, a quella meno verticistica, che prevedeva la presenza di un capo villaggio, di responsabili delle frazioni e dei quartieri. I capi politici erano solitamente responsabili degli abitanti del villaggio e non della gestione dell’ambito fondiario, sebben essi venissero costantemente tenuti al corrente della situazione fondiaria e di eventuali compravendite di terra, poichè responsabili della risoluzione dei conflitti fondiari. Il ruolo della chefferie de terre veniva esercitato da famiglie considerate autoctone del villaggio. Lo chef de terre era considerato colui che effettuava i rituali e autorizzava l’accesso di autoctoni e stranieri alla terra e alle risorse naturali. Egli costituiva poi la figura di riferimento per le questioni legate alla gestione delle terre dei villaggi (Sanou 2008).

144 Come ha sottolineato Gentili, durante il periodo coloniale «imposte e lavoro forzato contribuirono a

mutare fondamentalmente il carattere e le dimensioni dell’agricoltura familiare, detta anche di sussistenza, perchè la forza lavoro giovane, maschile, le terre migliori, gli incentivi commerciali vennero prevalentemente incanalati verso la produzione commerciale» (Gentili 2008, 304).