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Proprietà privata e sistema duale di diritti fondiari

2. Sviluppo rurale e politiche della terra in periodo coloniale

2.1. Proprietà privata e sistema duale di diritti fondiari

Nel primo periodo coloniale i diritti fondiari che erano alla base della gestione locale della terra e delle risorse naturali delle società rurali vennero quindi tollerati esclusivamente a titolo transitorio, nell’attesa cioè che la registrazione delle terre venisse portata a compimento e che si sviluppasse un sistema catastale, a cui formalmente, almeno nel caso della colonia dell’ Haut-Sénégal-Niger, avrebbe potuto accedere anche la popolazione autoctona, rispondendo ai criteri previsti dalla legge francese. La registrazione della terra attraverso titoli di proprietà non venne quindi imposta dall’amministrazione coloniale, ma venne introdotta affinché le società vi aderissero volontariamente sulla base delle disposizioni precedentemente descritte. Contemporaneamente, con le leggi fondiarie del 1904 e 1906 si specificava che le terre affidate ai “capi rappresentanti” e suddivise

territorialemente non potevano essere date in vendita o in affitto se non previa autorizzazione del governatore coloniale (Coquery-Vidrovitch 1982, 75).

La giurisprudenza faceva quindi riferimento al Codice Civile francese per il riconoscimento dei diritti fondiari, mentre tutti gli altri sistemi di riconoscimento di diritti sulla terra venivano di fatto tollerati ma considerati illegali agli occhi del colonizzatore. La loro legalizzazione era vincolata all’autorizzazione dell’amministrazione coloniale. L’introduzione della proprietà privata gettò le basi di una dicotomia giuridica nella gestione dei regimi fondiari della regione.40 Tale dicotomia sarebbe stata successivamente istituzionalizzata attraverso i decreti dell’ 8 ottobre 192541 e del 26 luglio 1932,42 che

riconoscevano legalmente l’esistenza di diritti fondiari “indigeni” in contrapposizione con diritti di proprietà privata. Come ha sottolineato Berry: «nel momento in cui gli Stati coloniali consolidarono il loro potere e costituirono l’apparato legale e amministrativo con le loro regole, in qualche modo i funzionari provvidero a formalizzare le condizioni di possesso della terra lasciata a riposo o e di quella a disposizione degli africani, solitamente in accordo con quella che veniva definita “legge dei nativi” o “consuetudine” » (2002, 642).

Durante la prima guerra mondiale, l’AOF divenne poi zona di produzione di beni agricoli per l’esercito francese e nel 1917, in seguito ad una crisi del grano e al crollo della produzione di zucchero in Francia, prese piede in seno al personale amministrativo della colonia l’idea che bisognasse “valorizzare” le terre della regione non solo per rimediare alla crisi congiunturale di quegli anni, ma anche per assicurare alla Francia una rinascita economica dopo il primo conflitto mondiale. Il concetto di “valorizzazione,43 che faceva

40 Come ha sottolineato il giurista Hubert Ouedraogo, esperto di politiche della terra in Africa occidentale:

«l’introduzione del sistema di registrazione fondiaria è alla base della situazione di dualismo giuridico in materia fondiaria (coesistenza di un sistema di registrazione statale e di uno consuetudinario). Dietro questo dualismo si profila un incontestabile gerarchizzazione dei diritti fondiari: i diritti registrati per le imprese coloniali e le élite locali da una parte e il diritto consuetudinario non protetto dallo Stato per la popolazione africana» (2011, 4).

41 Décret du 8 Octobre 1925 instituant un mode de constatation des droits fonciers des indigènes en AOF. 42 Décret du 25 Juillet 1932 portant réorganisation du régime de la propriété foncière en AOF.

43 Con il termine “valorizzazione” o mise en valeur si intende identificare la capacità di rendere produttiva

la terra. In economia una terra “valorizzata” è una terra che diventa di fatto strumento di produzione. La “valorizzazione” di un territorio sottende anche la creazione e/o l’identificazione di un legame tra la terra e la persona che l’ha resa produttiva. Il concetto di mise en valeur della terra venne utilizzato dall’amministrazione coloniale francese per incoraggiare la produzione agricola attraverso la coltivazione forzata di alcuni prodotti da parte degli abitanti autoctoni della colonia. Tale termine fu poi adottato dai Governi della regione anche dopo l’indipendenza.

riferimento alla capacità di rendere produttiva la terra, esisteva già nelle società pre- coloniali ed era precondizione per riconoscere il diritto di un individuo o di un gruppo di individui a rimanere sulla terra conferita dalle autorità o dai lignaggi che la gestivano. Tale concetto venne però reinterpretato in periodo coloniale e associato alla capacità di investimento per rendere la terra produttiva e si tradusse per la popolazione nell’imposizione di prestazioni di lavoro obbligatorie (Gentili 1995, 208).

Per rendere le terre più produttive sarebbe stato necessario investire capitali per incrementare la produzione, costruire infrastrutture, aumentare le spese sanitarie e monitorare l’assetto demografico dei territori, ma la disponibilità economica della Francia in seguito alla prima guerra mondiale rendeva poco realistiche le possibilità di investimento (Liauzu 2007, 45). In assenza di capitali, negli anni ’20 la produzione regionale continuò ad essere incentrata sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro, ma con modifiche importanti in termini di organizzazione della produzione, seppur limitate ad alcuni territori. Le comunità rurali cominciarono a lavorare la terra all’interno di territori creati e delimitati dall’amministrazione coloniale. Con la supervisione di capi locali i coltivatori dovevano produrre a beneficio della madre-patria francese. La coltivazione di cotone in Niger, nell’attuale Mali e Burkina Faso, venne promossa durante la prima guerra mondiale nei “campi del comandante” (champs du commandant), terreni creati appositamente dai colonizzatori e soggetti al controllo del governatore coloniale per intermediazione dei capi locali. Anche la zona meridionale dell’attuale Mali venne utilizzata per la produzione della fibra tessile, ma lo scarso rendimento del prodotto, aggravato dal deficit demografico che afflisse la regione in quel periodo,44 rese poco

Da un punto di vista legale il concetto di mise en valeur è facilmente manipolabile poiché, anche se la terra viene effettivamente utilizzata, il riconoscimento della mise en valeur risiede soltanto in quell’insieme, più o meno ristretto, di azioni che consentono di affermare che la terra è effettivamente “resa produttiva”. Nella regione saheliana, ad esempio, la mise en valeur, introdotta in periodo coloniale, penalizzò fortemente le attività legate alla pastorizia, poiché la pastorizia non era considerata una modalità adeguata di rendere la terra produttiva. Lo Stato coloniale si appropriò in questo modo di molte aree precedentemente adibite al pascolo degli animali e le popolazioni che tradizionalmente praticavano l’attività pastorizia vennero spesso marginalizzate (Leonard, Longbottom 2000, 39).

44 Negli anni ‘20 i territori dell’AOF dovettero far fronte ad un grave deficit demografico: la popolazione

si stava riducendo a tal punto che il ministro delle Colonie, Albert Sarraut, denunciò il rischio di estinzione della popolazione locale (Coquery-Vidrovitch 1992, 116). In particolare, molti giovani combatterono nell’esercito francese nel corso della prima guerra mondiale e molti altri fuggirono dai lavori forzati e dall’obbligo di pagare le tasse e si spostarono nei territori limitrofi, controllati dall’amministrazione coloniale britannica. Le ondate di siccità, verificatesi tra il 1913 e il 1915, aggravarono ulteriormente la situazione demografica della regione.

conveniente la produzione di cotone su tale territorio, che divenne nel 1932 oggetto di investimenti più cospicui per la promozione della risicoltura. I villaggi erano poi soggetti ad operazioni di reclutamento di massa, con la mediazione dei capi, selezionati dall’amministrazione francese. Si rispondeva in questo modo alla carente quantità di investimenti pubblici e privati, utilizzando la forza lavoro per la realizzazione di strade e infrastrutture finalizzate a potenziare le comunicazioni e le reti commerciali. Una grande quantità di manodopera venne richiesta nelle zone forestali dell’attuale Costa d’Avorio per effettuare opere di dissodamento del suolo per dare avvio alle coltivazioni di cacao e caffé (Coquery-Vidrovitch 1992, 110) e i lavori di costruzione dell’enorme complesso idroagricolo, coordinato dall’Office du Niger, che avrebbe sfruttato le acque del fiume Niger per la promozione della risicoltura. 45

Il processo di “specializzazione” della produzione e la riorganizzazione del lavoro nelle piantagioni ristrutturava poi le società, dal momento che i lavoratori migranti si spostavano nelle piantagioni per coltivare e oltrepassavano i confini tracciati dal Governo coloniale alla ricerca di condizioni occupazionali più favorevoli (Cooper 1996).