4. Sviluppo rurale e governance della terra in periodo post-coloniale
4.3. Riforme strutturali e proprietà privata della terra
Tra quelli che vennero identificati come elementi che contribuirono alla crisi economica degli Stati africani indipendenti la Banca Mondiale identificava la scarsa presenza di sistemi di proprietà privata e il mancato sviluppo di un mercato della terra a supporto di uno sviluppo economico di tipo capitalistico. Nel documento programmatico Land Reform Policy Paper del 1975 la Banca Mondiale identificava il persistere di sistemi contadini basati su regimi consuetudinari come una delle cause della crescente povertà rurale, degli scarsi rendimenti del settore agricolo e del basso livello di crescita economica
dei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Il mancato riconoscimento legale di diritti di proprietà privata, sosteneva il rapporto del 1975, inibiva il necessario sviluppo di un mercato della terra e non consentiva di avere garanzie per l’ottenimento di un credito da reinvestire nel settore agricolo. Come precondizione per lo sviluppo economico delle aree rurali si raccomandava quindi la registrazione di titoli formali di proprietà della terra, l’abbandono di sistemi comunitari in favore della proprietà privata, la promozione di un mercato della terra che favorisse sistemi di compravendita fondiaria incentivanti la produttività e il sostegno alla redistribuzione degli appezzamenti su basi di efficienza ed equità. L’individualizzazione del possesso della terra come panacea ai mali economici dello Stato venne ripresa ed elaborata con maggiore accuratezza e precisione con i programmi di aggiustamento strutturale i quali, oltre al riconoscimento legale della proprietà della terra prevedevano anche, per i Paesi che decidevano di aderirvi, l’intensificazione e la diversificazione delle produzioni per l’esportazione,68
l’eliminazione del controllo dei prezzi sui prodotti agricoli, la soppressione di sussidi governativi ai produttori agricoli ed il ritiro dello Stato dalla produzione agricola, quali condizionalità per sbloccare i fondi previsti dalle istituzioni finanziarie internazionali. Negli anni ’80 furono quindi promosse riforme fondiarie orientate alla competizione nel mercato internazionale (market oriented) che prevedevano il riconoscimento della proprietà privata e la registrazione di titoli di proprietà fondiaria come soluzione necessaria per lo sviluppo economico dei Paesi.69 Come sottolineato nel rapporto della
Banca Mondiale “Sub-Saharan Africa: From Crisis to Sustainable Growth”: «i mercati non [potevano] distribuire le risorse in maniera adeguata in assenza di diritti di proprietà chiari, definiti, imposti e trasferibili» (Banca Mondiale 1989, 26).
Negli anni ’80, laddove le politiche fondiarie mirate alla registrazione di titoli di proprietà privata sulla terra furono implementate, esse non riuscirono a risolvere gli squilibri
68 L’esportazione veniva rilanciata per i vantaggi comparati che offriva alle economie africane nel
commercio internazionale e come motore di crescita e stabilità macroeconomica.
69 Tale posizione fu rimessa in discussione a partire dagli anni ’90, in seguito ad una serie di studi che
indagarono sul legame tra sicurezza fondiaria e promozione degli investimenti agricoli (Besley, 1995; Lund 2000; Gray et Kevane 2001; Holden et Yohannes, 2002; Kabubo-Mariara, 2007) e sugli effetti dei sistemi consuetudinari di gestione e possesso della terra sulla produzione agricola (Hill 1963, Berry 1975, Okali 1983, Bruce 1988, Lawry 1993, Ng’ong’ola 1996). Inoltre, nonostante venisse dato per scontato il legame tra proprietà fondiaria e richiesta di una garanzia di credito presso le banche, non vi erano studi che dimostrassero il legame diretto tra la possibilità di ipotecare gli appezzamenti di terra e la propensione degli attori rurali a richiedere un credito bancario (Rolfes 2006, 126).
generati in precedenza, né le contraddizioni esistenti tra un sistema legalmente riconosciuto e basato sulla proprietà privata e la molteplicità di sistemi consuetudinari esistenti nelle aree rurali, ma non protetti dalla legge.
In alcuni casi le politiche di privatizzazione della terra ebbero poi effetti controproducenti. Come ha sottolineato Boone: «i programmi di aggiustamento strutturale avevano l’obiettivo di ridurre la presenza dello Stato nei circuiti di commercializzazione dei prodotti agricoli e di porre fine a gran parte dei programmi statali di distribuzione degli input agricoli, che avevano consentito ai partiti al potere di creare un legame con la clientela rurale, di assicurarsi il supporto elettorale in alcune aree e di canalizzare le risorse accumulate nelle mani di alcuni intermediari [broker] locali. Le relazioni esistenti all’interno dei regimi fondiari, tuttavia, rimasero salienti. In molti Stati le politiche fondiarie furono ulteriormente strumentalizzate, soprattutto laddove si riducevano le opportunità offerte dal contesto urbano e lo Stato incentivava le forme di investimento privato nel settore agricolo» (2007, 566).
In Guinea Conakry le politiche di privatizzazione delle terre rinforzarono le logiche di accaparramento delle risorse da parte delle élite, senza avere alcun effetto concreto sulla produzione e sulla crescita economica (Chéneau Loquay 1998). In Costa d’Avorio le imprese private e solo una minoranza assoluta di persone entrarono in possesso di ampie superfici di terra destinata alla coltivazione di monoculture o all’agro-industria.
Nel 1983-84 il Governo della Mauritania introdusse una riforma della terra che prevedeva la registrazione di titoli di proprietà privata, ponendo formalmente fine ai regimi fondiari consuetudinari. Tutte le terre non facenti parte del demanio nazionale o registrate come proprietà privata furono dichiarate soggette alla legge islamica e, nel rispetto del principio dell’ indirass,70 sarebbero diventate proprietà dello Stato (Ouedraogo et al., 2006). Il
risultato fu che molte autorità consuetudinarie riconosciute dalla popolazione mauritana persero i propri diritti di gestione della terra e questo generò tensioni e conflitti a livello locale (Consortium CUA-CEA-BAD 2010, 22).
Nella maggior parte dei casi si verificarono forme di resistenza passiva ai programmi di registrazione promossi in quegli anni. Per molti abitanti la proprietà privata della terra era fonte di precarizzazione di altri diritti loro riconosciuti attraverso i regimi fondiari
70 Con il termine indirass si identificano i regimi fondiari consuetudinari che in Mauritania avevano subito
consuetudinari. A livello locale, infatti, la richiesta di titoli di proprietà privata andava a favore di coloro (politici, funzionari, migranti protetti dallo Stato centrale) che rispondevano ai requisiti necessari per la registrazione. Chi poteva permettersi di pagare tasse molto alte, richieste per l’ottenimento dei titoli, e aveva la possibilità di seguire il lungo iter burocratico di registrazione, il cui linguaggio era spesso avulso da quello delle società contadine, poteva trarre vantaggio dalle riforme messe in atto.
La maggior parte della popolazione rurale restava però al di fuori dei meccanismi di registrazione dei titoli di proprietà. Il riconoscimento di diritti fondiari continuava a basarsi su regole localmente definite, seppure in mutazione, e le transazioni fondiarie restavano vincolate al rispetto di norme socio-politiche dettate dalle autorità consuetudinarie nei villaggi rurali. Nelle aree a più alto potenziale agricolo aumentavano però esponenzialmente le transazioni fondiarie monetizzate che presupponevano quindi una qualche forma di possesso, seppur non legalizzato (Chauveau 2014, 7). L’esistenza di sistemi di compravendita fondiaria veniva “testimoniata” talvolta attraverso accordi scritti e petits papiers custoditi nei villaggi (Lavigne Delville et al. 2002). Il risultato fu che, alla fine degli anni ’80, i Governi dell’Africa occidentale si trovarono a dovere gestire regimi fondiari in cui le pratiche locali stavano subendo profondi cambiamenti, mentre le riforme fondiarie basate sulla registrazione di titoli di proprietà privata, laddove applicate, si rivelavano un totale fallimento per la promozione della crescita economica. Nelle aree rurali, inoltre, i gruppi sociali che controllavano la terra cominciarono ad abusare del proprio potere, riconoscendo ad attori esterni alle comunità rurali diritti fondiari in cambio di interessi personali e si moltiplicarono i fenomeni di accaparramento delle risorse non solo da parte di funzionari statali, ma anche della stessa classe politica (Berry 2002, 654). Chi possedeva maggiori risorse economiche o aveva un accesso privilegiato al potere politico e alle informazioni traeva maggior vantaggio dalla coesistenza di diverse norme e regimi fondiari e dalla “confusione” che ne derivava. Mathieu leggeva addirittura nella mancata applicazione delle leggi fondiarie in Africa occidentale e dei regolamenti previsti dalla legge una strategia politica mirata all’opportunistica «gestione della confusione» (Mathieu 1996, 26-44). La confusione dei diritti consentiva non solo di far evolvere i regimi fondiari in modo da rispondere ai rapidi mutamenti che si stavano verificando nei contesti rurali senza incorrere alla pesantezza burocratica dei meccanismi di registrazione previsti dalle leggi fondiarie, ma permetteva
anche ai più potenti e ad alcune élite locali di trarre beneficio dai sistemi di gestione della terra e delle risorse naturali non regolamentati.
Più che un disordine mal gestito, la confusione creatasi nella gestione dei regimi fondiari poteva quindi essere letta come una strategia per il mantenimento del controllo sulla terra, il che giustificava anche la scarsa propensione delle élite politiche al potere a portare a compimento le riforme fondiarie.