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Plan Foncier Rural e formalizzazione dei diritti consuetudinari

8. Sécurisation foncière: la riformulazione delle politiche della terra

8.1. Plan Foncier Rural e formalizzazione dei diritti consuetudinari

Alle soglie del nuovo millennio diversi furono i Paesi dell’Africa occidentale che introdussero innovazioni istituzionali al fine di assicurarsi che le realtà locali fossero prese in considerazione nell’attuazione di politiche e leggi fondiarie.

Il principale strumento attraverso cui furono attuati i primi tentativi di formalizzazione dei diritti locali fu il Plan Foncier Rural (PFR). Il PFR, sperimentato in Costa d’Avorio, Benin e Burkina Faso, consisteva in una procedura di identificazione e di mappatura di diritti fondiari che aveva l’obiettivo di fare luce sull’organizzazione dei regimi fondiari locali vigenti nelle aree rurali e di “fotografare” il sistema di diritti esistenti, inclusi i diritti originatisi in contesti in cui erano frequenti le transazioni di terra (Lavigne Delville 2009, 70). I diritti posseduti dai diversi attori in ambito rurale sarebbero stati registrati attraverso certificati fondiari che ne avrebbero legalizzato l’esistenza (Gastaldi 1998). Tali procedure erano generalmente accompagnate dalla creazione di istanze locali - commissioni e comitati a livello comunale e/o di villaggio - incaricate della gestione quotidiana delle pratiche fondiarie e responsabili di monitorare le operazioni di certificazione dei diritti riconosciuti. In Benin, ad esempio, venne potenziato il ruolo del Governo locale nella gestione della terra, e in particolare quello dei comuni, e allo stesso tempo furono create nuove autorità nei villaggi e nei dipartimenti (département) per gestire il processo di formalizzazione dei diritti.

Le priorità stabilite dai singoli Paesi erano diverse, ma in linea generale una conoscenza approfondita dei sistemi fondiari locali avrebbe consentito ai Governi di “semplificare” le strutture dei regimi fondiari ponendo fine al dualismo giuridico esistente fin dall’epoca coloniale tra un regime “consuetudinario” e uno “moderno” di gestione della terra e del territorio (Le Meur 2006). I diritti locali sarebbero stati codificati e incorporati progressivamente nei sistemi giuridici esistenti. Il rischio però, come ha sottolineato Berry (2001), era quello di alimentare una serie complessa e variegata di rivendicazioni

e controrivendicazioni sull’utilizzo delle terre che anche i sistemi locali informali di gestione fondiaria - come visto in precedenza - affrontavano con fatica. In tal caso, lungi dal risolvere i conflitti esistenti, i processi di formalizzazione ne avrebbero prodotti di nuovi, incrementando l’insicurezza fondiaria e generando effetti contraddittori a livello locale.88

Il PFR era uno strumento che avrebbe consentito di elaborare programmi di riforma fondiaria che rispecchiassero, a differenze dei precedenti, le realtà locali di riconoscimenti dei diritti fondiari. Emerse però fin da subito la difficoltà di “fotografare” la realtà esistente, soprattutto tenendo conto dei sistemi di interzione sociale degli attori presenti a livello locale. Un’analisi comparata delle operazioni di implementazione dei PFR in Burkina, Benin e Costa d’Avorio, effettuata da Ouedraogo et al. (2005), metteva in evidenza come, davanti al rischio di perdere i diritti derivanti dallo status di autoctoni”, alcune persone decidevano di porre fine ad accordi precedentemente stipulati con i “migranti” e di recuperare le terre concesse, per evitare che i diritti sulla terra venissero codificati a nome di qualcun’altro. In questa maniera si andavano di fatto a rafforzare rivendicazioni di terra basate sull’autoctonia e sull’appartenenza locale che diventavano causa di scontri e ulteriori conflitti fondiari. Le esperienze dei PFR dimostrarono inoltre che la questione delle autorità e dei poteri locali riemergeva inevitabilmente, nonostante la presunta neutralità delle operazioni di identificazione dei diritti esistenti e il focus sugli aspetti tecnici e istituzionali della formalizzazione.89

Scrivevano Chauveau et al. in uno studio di valutazione dell’attuazione dei PFR in Costa d’Avorio: «nei sistemi consuetudinari il rapporto dell’uomo con la terra è inglobato in un sistema di rapporti tra uomini, in cui gli aspetti fondiari e non fondiari si sovrappongono e si giustificano mutualmente. La logica di regolazione di tali sistemi è di conseguenza di natura profondamente politica.[...] L’importante dimensione sociale e soprattutto politica

88 Il PFR in Costa d’Avorio, ad esempio, aveva fatto emergere tensioni che si erano sviluppate attorno al

sistema di tutorat. La registrazione formale dei diritti sulla terra“liberava” gli stranieri dalla loro responsabilità verso il tuteur e per lo Stato non era semplice definire a favore di quali soggetti “schierarsi” nel processo di formalizzazione dei diritti esistenti (Chauveau 2006, 22).

89 Anche la dimensione istituzionale era problematica, dal momento che la creazione delle commissioni

fondiarie e di risoluzione dei conflitti come organi consultivi non presupponeva né l’elezione democratica dei membri, né un reale conferimento di risorse finanziarie da parte dello Stato. La partecipazione dei rappresentanti di donne, pastori, allevatori, giovani, autorità religiose, autorità consuetudinarie all’interno delle commissioni non era presupposto sufficiente per una reale ed equa rappresentazione degli interessi dei diversi gruppi sociali nel potere contribuire alla mappatura dei diritti esistenti.

in cui si iscrive l’attuazione del PFR è pero raramente esplicitata dalle autorità competenti e legittimate a farlo» (Chauveau et al. 1998, 581-582).

La logica “profondamente politica” (Chauveau et al. 1998) dei sistemi fondiari rendeva impellente l’intervento dello Stato nel definire che ruolo conferire alle autorità che regolavano questi sistemi, in un tentativo di negoziare il suo potere nelle aree rurali. Non si trattava quindi semplicemente di “fotografare” i diritti esistenti, ma di ammettere che, indipendentemente dalle idee e dalle argomentazioni introdotte per giustificare la necessità dei nuovi processi di riforma, le politiche fondiarie che prevedevano il riconoscimento e la registrazione di diritti si inserivano in strutture e istituzioni fondiarie complesse. Come sottolineato dallo studio comparato delle operazioni di PFR di Ouedraogo et al. (2005), il coinvolgimento delle strutture locali di gestione della terra - tramite l’istituzione di commissioni fondiarie - aveva creato situazioni in cui i soggetti responsabili del riconoscimento della legittimità dei diritti riconosciuti avevano sfruttato il potere a proprio vantaggio, accordando diritti di occupare le terre “contese” - o a gestione comune (foreste o terre adibite al pascolo) - ad attori interessati alla loro acquisizione immediata.

Ouedraogo et al. Sottolineavano, inoltre, che: «le società tradizionali non [erano] società democratiche, ma società fondate su gerarchie e status sociali ineguali» (2005,33). Come visto in precedenza, le politiche fondiarie erano state strumentali alla definizione dei rapporti di forza interni e di potere tra Stato e mondo rurale. L’utilizzo e la distribuzione delle risorse naturali era stata per molti Governi uno strumento di legittimazione politica e un’occasione di creare legami di tipo clientelare con le élite rurali. La definizione di come i diritti fondiari sarebbero stati distribuiti tra i diversi attori era stata centrale per la costruzione degli Stati, a partire da quello coloniale. Il riconoscimento del potere di controllare e gestire le risorse fu progressivamente delegato di fatto, se non di diritto, alle autorità consuetudinarie per agevolare il controllo del territorio, consentendo di mantenere quella flessibilità dei regimi fondiari necessaria per poter cambiare le regole di accesso e utilizzo della terra e delle risorse naturali e favorire il processo di legittimazione e mantenimento del potere politico.

Se la decentralizzazione era stata considerata una misura tanto utile quanto necessaria per avvicinare l’apparato statale al contesto rurale e fare in modo che ci fosse una responsabilità più diretta dei politici locali nella gestione delle risorse in favore dei

cittadini, non era chiaro in che misura le autorità consuetudinarie avrebbero dovuto pesare sul processo e che ruolo i Governi locali avrebbero avuto nel legittimare tali autorità e nel monitorare sulla democraticità dei processi in atto e sui risultati di tali pocessi di riforma.