2. Evoluzioni del regime fondiario: quale sviluppo per l’Alto Volta?
2.1. Un sistema coloniale duale
In periodo coloniale le disposizioni giuridiche in merito al regime fondiario si inscrissero nella logica del monopolio statale delle terre “vacantes et sans maître”, secondo cui tutte le terre non registrate in accordo con i principi del sistema Torrens, introdotto dai francesi per il riconoscimento di titoli di proprietà privata sulla terra, appartenevano formalmente allo Stato. Tale concezione romana della proprietà non derivava da una scarsa conoscenza della realtà africana, bensì era l’affermazione di un diritto superiore di colonizzazione che aveva come obiettivo quello di consentire alle imprese francesi di appropriarsi della terra sulla base di procedure a loro familiari e, secondariamente, avrebbe consentito il progressivo “adeguamento” della popolazione africana alle norme definite dalla “civilizzata” madrepatria (Suret-Canale 1962). Nelle aree rurali le “comunità” di villaggio non percepivano l’utilità della registrazione della propria terra, dal momento che il possesso era garantito tramite regole sociali determinate in seno ai villaggi e, allo stesso tempo, pochissimi erano gli imprenditori in Alto Volta che avevano interesse a sfruttare il sistema di registrazione di titoli fondiari privati per assicurarsi la proprietà della terra nelle aree rurali.137
Già a partire dal 1920, però, nelle città di Ouagadougou e Bobo Dioulasso, alcuni commercianti cominciarono ad acquisire titoli di proprietà, come forma di resistenza all’accaparramento fondiario da parte di grandi commercianti europei e mediorentali, o delle grandi società coloniali, che avevano acquisito una posizione predominante nel mercato urbano (Fourchard, 2003).
Se fino agli anni ’20-’30 la tendenza coloniale fu quella di concedere titoli soltanto ai coloni e ai pochi che avessero ottenuto lo status di evolués, mantenendo le altre terre sotto il controllo statale, a partire dalla crisi economica del ’29 l’amministrazione coloniale si
137 Le pratiche consuetudinarie di accesso, possesso ed utilizzo della terra erano strettamente «legate»
(embedded - Berry 1993) ai sistemi politico-sociali esistenti già a livello del villaggio.Sara Berry (1989) nella sua analisi del funzionamento dei sistemi fondiari in Africa sub-sahariana osservava che l’accesso e l’utilizzo delle risorse era determinato da diritti e doveri di ogni membro nei confronti del lignaggio, della “comunità” e degli “stranieri”. Berry sottolineava inoltre come questo meccanismo producesse legittimazione sociale e senso di appartenenza per coloro che avevano accesso a terra e risorse naturali ma come, allo stesso tempo, tale dinamica fosse riflesso di relazioni locali di potere, sulla base delle quali veniva escluso chi era percepito come una minaccia allo status quo. Ignorando questi meccanismi sociali, sosteneva Berry, le politiche statali e le leggi fallivano nel raggiungere i propri obiettivi di sviluppo e di progresso.
mostrò più propensa a dare ascolto alle rivendicazioni di terra da parte delle collettività di villaggio, a condizione che le terre richieste fossero rese produttive (Lavigne- Delville 1999, 2).
In quest’ottica già dal 1935, tramite una riorganizzazione del sistema di giustizia indigeno, si procedette alla trascrizione e alla codifica delle consuetudini locali che furono raccolte nella pubblicazione “Grands Coutumiers” dell’A.O.F. del 1939.138
Anche il concetto di “terres vacantes et sans maître” venne modificato nella forma nel 1935 per definire i limiti del demanio privato dello Stato e delle altre collettività territoriali (federazioni, territori, città). «Appartenevano allo Stato le terre che non venivano registrate con un titolo di proprietà o di usufrutto [..] e quelle non sfruttate o incolte per un periodo superiore ai dieci anni» (Coquery-Vidrovitch 1982, 69).
Fu soltanto nel 1955, sulla base dell’articolo 7 del decreto del 20 Maggio, che il sistema di appropriazione delle terre statali fu parzialmente modificato, introducendo la possibilità per lo Stato coloniale di concedere la terra del demanio nazionale solo previa consultazione di autorità consuetudinarie, il che testimoniava il riconoscimento dell’autorità della chefferie nel gestire il sistema fondiario locale (Demaison 1955). Alle soglie dell’indipendenza la procedura di registrazione delle terre segnava una dicotomia nel sistema di riconoscimento dei diritti sulla terra. La registrazione di un titolo di proprietà privata era infatti riservata principalmente ai francesi ed era per lo più circoscritta alle aree urbane,139 mentre in ambito rurale l’accesso e l’utilizzo della terra era determinato dalle autorità che, in seno ai villaggi, erano legittimate, sulla base delle regole sociali stabilite internamente, ad esercitare tale potere.
Come riconosceva H. Ouedraogo, giurista burkinabé ed esperto di politiche fondiarie in Africa occidentale: «l’introduzione del sistema di registrazione fondiario [era] alla base del dualismo giuridico esistente in materia fondiaria, dal momento che comincia[ro]no a coesistere sistemi di registrazione formale e sistemi fondiari consuetudinari. Tale dualismo presuppone[va] una gerarchizzazione dei diritti fondiari in cui i diritti di
138 Si veda : Comité d’Etudes Historiques et Scientifiques de l’A.O.F. (1939), Coutumiers juridiques de
l’A.O.F. 3 volumes, La Rose, Paris,
139 Uno studio di Fouchard (2003) metteva in evidenza l’abilità di alcuni commercianti locali, residenti
nelle due principali città dell’Alto Volta, nell’acquisire titoli fondiari, tramite registrazione presso i
commandants de cercle, all’interno dei quartieri coloniali francesi. L’acquisizione dei titoli di proprietà
diventava un meccanismo di legittimazione sociale e politica nei confronti dei coloni e una strategia per essere riconosciuti dalle élite coloniali quali intermediari tra queste e la popolazione locale.
proprietà venivano riconosciuti alle imprese coloniali e alle élite locali e riflettevano una condizione di civilizzazione, mentre i diritti consuetudinari non venivano protetti dallo Stato, pur essendo esercitati sulla quasi totalità dei territori» (Ouedraogo 2011, 3). Non riconoscendo i sistemi locali di gestione della terra e codificando solo in maniera generica i corrispettivi diritti di accesso e di usufrutto delle terre e delle risorse naturali, si manteneva fluida la gestione fondiaria. I territori soggetti alle pratiche consuetudiarie potevano facilmente essere concessi a imprese francesi o venire espropriati per la costruzione di opere pubbliche.
In sintesi, il sistema di registrazione delle terre messo in atto dallo Stato coloniale rimase estraneo al mondo rurale, che veniva sì sottoposto alle regole coloniali attraverso il rispetto di una presunta “consuetudine”, di cui i capi erano i custodi, ma le cui potenzialità di sviluppo economico non vennero mai messe a frutto. Inoltre, con il pretesto di mettere in atto uno sfruttamento razionale delle risorse naturali, lo Stato si appropriava delle risorse forestali e della pesca, la cui gestione si differenziava da quella dei territori coltivati.
2.2. Demanio fondiario nazionale e centralizzazione del controllo delle risorse naturali