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Il prezzo dell’aborto

5. Il caso di una tecnologia di frontiera con forti implicazioni di carattere bioetico: la

5.3 Il prezzo dell’aborto

L’aborto, al pari di qualsiasi altro trattamento chirurgico, non è esente dal rischio di complicanze anche se raramente letali.

Da una indagine condotta negli Stati Uniti nel 2000 (Elam-Evans et al., 2003) dal Centre for Disease Control and Prevention (CDC), è risultato che il numero annuo di morti associate all’aborto legale indotto era diminuito negli anni novanta di circa il 70% rispetto al 1972. Nel 1972 24 donne morivano negli Stati Uniti per conseguenza dell’aborto legale e 39 quale conseguenza dell’aborto illegale. Già nel 1999, il numero di morti si era ridotto a 4 per l’aborto legale e 0 per l’aborto clandestino. (Tabella 2)

Tabella 2. Number of deaths and case-fatality rates* for abortion-related deaths, by type of abortion - United States, 1972 - 1999 (per three years)

Type of abortion

Induced

Year Legal Illegal Unknown§ Total

Case -fatality rate*

1972 24 39 2 65 4.01 1975 29 4 1 34 3.04 1978 9 7 0 16 0.08 1981 8 1 0 9 0,6 1984 12 0 0 12 0,9 1987 7 2 0 9 0,5 1990 9 0 0 9 0,6 1993 6 1 2 9 0,5 1996 9 0 0 9 0,7 1999 4 0 0 4 X Total 351 93 15 459 1.1**

*Legal induced abortion-related death per 100000 reported legal induced abortion §Unknown whether abortion induced or spontaneous xCase-fatality rates for 1998-1999 cannot be calculated because a substantial number of abortion occured in nonreporting states **Case-fatality rate computed for 1972-1997 only

Fonte: Elam-Evans et al., 2000.

In base ai dati diffusi dal CDC (Elam-Evans et al., 2003), il rischio di morte quale risultato diretto di un aborto legalmente indotto è inferiore a 1 su 100.000. Il rischio tuttavia aumenta con l’avanzare dello stato di gravidanza:

– 1 morto ogni 530.000 aborti all’ottava settimana (o meno)

– 1 morto per 17.000 aborti alle settimane 16-20

– 1 morto per 6.000 aborti alla settimana 21 e successivamente.

A parte l’“unsafe abortion”, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come “a procedure for terminating an unwanted pregnancy either by

persons lacking the necessary skills or in an environment lacking the minimal medical standards or both” (Ahman and Shah, 2002) che riguarda quasi unicamente

i paesi in via di sviluppo, la procedura medica/chirurgica in sè stessa comporta rischi di complicanze al pari di altri interventi medici/chirurgici. Il tasso di complicazione

raddoppia ogni due settimane per aborti eseguiti successivamente all’ottova settimana di gestazione e aumenta altresì con l’avanzare dell’età della gestante.

Il rischio di complicanze dipende ulteriormente dalla tipologia di procedura di aborto praticata:

– aborto non-chirurgico– farmacologico

– aborto per aspirazione a vuoto

– aborto per dilatazione e raschiamento

– aborto per dilatazione ed evacuazione

– induzione al parto

– isterectomia (simile al taglio cesareo).

Le complicazioni possibili posso variare da una semplice reazione allergica ai farmaci a crampi addominali e a nausea e/o vomito causati dai trattamenti farmacologi fino a infezioni pelviche, emorragie, lacerazione del cervice, perforazioni dell’utero, gravi infezioni (sepsi) e a danni all’apparato urinario per le procedure maggiormente invasive, tralasciando le complicazioni derivanti dall’anestesia.

Bisogna tuttavia considerare ulteriormente i rischi a lungo termine dell’aborto.

La relazione tra l’aborto indotto e l’aumento del rischio di cancro alla mammella non è riconosciuta unanimamente in letteratura. Due rapporti presentati negli Stati Uniti dal National Cancer Institute nel 2003, e da un gruppo della Oxford University attivo nella ricerca sul cancro, hanno dimostrato che non esistono chiare evidenze della relazione causale tra aborto e tumore al seno.

Da una review di studi osservazionali condotta dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Università della North Carolina sulle conseguenze a lungo termine dell’aborto indotto è risultato che tale aborto non comporta rischi per gravidanze future, successivi aborti spontanei e gravidanze extrauterine. Risulta tuttavia accresciuto il rischio di successivi parti pre-termine e, principalmente, il rischio di depressione (Thorp et al., 2003).

Le conseguenze dell’aborto indotto sono state studiate anche dal punto di vista psichiatrico. Presso il Dipartimento di Psichiatria, Queen's Medical Centre di Nottingham, 67 donne sono state intervistate 4 settimane dopo un aborto spontaneo: 32 di esse sono risultati casi psichiatrici, ossia una percentuale di quattro volte più alta che per la popolazione femminile generale. In tutti i casi la diagnosi era di disordini depressivi e tale diagnosi veniva confermata dai punteggi ottenuti utilizzando tre differenti scale di valutazione della depressione (Friedman and Gath, 1989).

L’effetto psicologico dell’interruzione della gravidanza risulta particolarmente significativo se la causa dell’aborto è una anomalia/malformazione del feto. Da uno studio intersettoriale condotto dall Divisione di Perinatologia e Ginaecologia dell’University Medical Center di Utrecht, su 254 donne, da due a sette anni dopo l’interruzione di una gravidanza per anomalie del feto è risultato che il 17% delle intervistate mostrava sintomi evidenti di stress post-traumatico (Ashton, 1980). Livelli elevati di morbilità psicologica a lungo termine risultavano associati all’età gestionale avanzata, alla percezione di scarso supporto da parte del partner e a livelli di istruzione bassi.(O’Brien, 1984). Effetti emozionali ancor più negativi si rilevavano nei casi di aborti dovuti a malformazioni fetali presumibilmente non mortali (anche se invalidanti) (Korenromp et al., 2005)

Il dibattito scientifico si è recentemente soffermato sull’ipotesi di includere nel consenso informato, richiesto prima di eseguire un trattamento di aborto indotto, informazioni sui rischi dell’aborto, in particolare il rischio di successivi parti prematuri e il rischio di depressione (Thorp et al., 2003).

L’impatto socio-economico negativo dell’aborto indotto è provato e, nel caso di malformazioni fetali, esso risulta tanto più negativo.

Da un punto di vista più rigorosamente economico e in base all’approccio Cost

of Illness, il costo sociale dell’aborto volontario va oltre i costi diretti, risultanti dalle

risorse impiegate per il trattamento medico e dipendenti dalla procedura di aborto utilizzata – a cui vano aggiunti i costi per il trattamento delle eventuali complicanze. I costi diretti dell’aborto possono essere stimati nei costi di ospedalizzazione, nei costi delle visite specialistiche e dai farmaci necessari (Thomas and Morris, 2003). Il

costo dell’aborto va anche oltre i costi indiretti essenzialmente collegati alla perdita di produttività temporanea della donna (costi di morbilità) e alla assistenza familiare e/o esterna richiesta. Elevati costi intangibili associati alle conseguenze psicologiche a lungo termine dell’aborto indotto colpiscono il benessere sociale.

Per tutte le suddette ragioni si ritiene che soluzioni – tecniche – alternative all’aborto indotto per patologie del feto meritano di essere ulteriormente studiate.