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PARTE II: LA SCIENZA DELLA MENTE

2.3.1. La prima ipotesi interazionista

L’ipotesi del 1977 venne presentata, all’interno del capitolo E7 del Vol. 2 de L’io e il suo

cervello, nei termini di una «nuova teoria» sulla relazione psicofisica. Infatti, nel corso del decennio

precedente, era stato possibile rilevare la presenza del fenomeno mentale in sede sperimentale – grazie agli studi di Kornhuber (1964) sul “potenziale di disposizione” –, e fu possibile persino rilevarne l’assenza, nel contesto degli esperimenti di Sperry (1964, 1968) su pazienti che avevano subito l’operazione chirurgica di commissurotomia (la resezione del corpo calloso): in questo frangente, fu possibile osservare come l’auto-consapevolezza del soggetto rimanesse in collegamento con il solo emisfero dominante, dimostrandosi del tutto ignara delle operazioni svolgentisi nell’emisfero subalterno, privo delle funzioni linguistiche di tipo sintattico. Questa osservazione diede adito a ipotesi alternative sulle possibili vie di comunicazione fra mente autocosciente e “mente afasica”: il dialogo neuronale poteva essere garantito dal corpo calloso, fungente da “ponte”; ma non si poteva escludere che, in condizioni normali, vi fosse un rapporto diretto fra le due componenti, dal momento che i compiti cognitivi acquisiti prima della commissurotomia ed associati all’emisfero subalterno venivano svolti anche in seguito e in modo automatico, sebbene non ve ne fosse più consapevolezza. L’interrogativo implicito in queste considerazioni riguardava inevitabilmente la modalità con cui la mente avrebbe potuto influire sul funzionamento cerebrale di entrambi gli emisferi. Fu così che, ricorrendo alle allora recenti conquiste

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scientifiche sull’eccitazione delle reti neuronali mediante attivazione di pattern modulari, Eccles propose di concepire la mente come un’entità auto-sussistente, impegnata a scandagliare i pattern neuronali, selezionandoli ed integrandoli al fine di costruire un’esperienza soggettiva unitaria e coerente; essa, perciò, sarebbe priva di estensione spaziale, e dotata solamente di una proprietà temporale che le permette di trascendere il tempo reale della percezione unificando le differenti afferenze al fine di rendere coerente l’esperienza soggettiva. Essa, inoltre, sarebbe anche in grado di modificare tali schemi dinamici e di provocarne l’attivazione, al fine di rievocare un ricordo o di realizzare un’azione volontaria (per citare esperienze in cui si manifesta palesemente il potere dell’intenzionalità).

Ma come potrebbe la mente influire sui moduli corticali eccitandoli e provocando il conseguente innesco di precisi pattern spazio-temporali che codifichino, a loro volta, specifiche attività noetiche (ragionamento, memoria, immaginazione) e pratiche (atti motori e linguistici)? A fronte di questo interrogativo, Eccles teorizza un primo modello interazionista, basato sulla proprietà intrinseca dei moduli di essere in qualche modo “aperti” all’influenza della mente. Questa apertura sarebbe solamente temporanea e riguarderebbe solamente alcuni moduli, in modo totale o parziale; tuttavia, M2 sarebbe comunque in grado di «influenzare i moduli chiusi, mediante scariche di impulsi lungo le fibre di associazione che partono dai moduli aperti. […] L’interazione avverrebbe tramite azione inibitoria sui moduli immediatamente adiacenti e tramite azioni eccitatorie di fibre di associazione e commissurali per i moduli più lontani»131. Postulando un’apertura temporanea dei

moduli corticali, Eccles descrive un’interfaccia in costante mutamento, collocato all’interno di una vasta area del “cervello di collegamento”; ma quali sarebbero le regioni corticali interessate dal fenomeno di interazione? Il “cervello di collegamento” comprenderebbe una gran parte dell’emisfero dominante, in particolare le aree linguistiche 39 e 40 e quelle polimodali (che si attivano in cooperazione nell’espletamento di compiti cognitivi complessi), nonché i lobi prefrontali (che concernono il senso etico e l’“intellezione pura” studiata da Ingvar). Esso, inoltre, non presenta una collocazione stabile, in quanto non fisicamente determinato: consiste, piuttosto, nel «risultato dell’interazione tra il cervello e la mente»132 nel contesto dei moduli che in quel momento sono

aperti all’interazione. L’intervento di M2 sui moduli di M1 non consiste in un’azione brusca, ma piuttosto in una «lieve e ritmica deviazione» dell’impulso nervoso (che Eccles chiama «carezza

131 J.C. ECCLES, K.R. POPPER, L’io e il suo cervello, 1982, Vol. 2, p. 455. 132 Ivi, Vol. 3, pp. 602-603.

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cognitiva»), la quale si verificherebbe – ipoteticamente – nelle lamine superficiali (I e II) della corteccia.

«Attualmente essa [la deviazione] può difficilmente essere immaginata al micro-livello di funzionamento. […] Tale azione è molto debole e lenta. Ci possono volere, per esempio, centinaia di millesimi di secondo perché venga registrato un effetto, vale a dire, perché la mente autocosciente riceva un messaggio attraverso le operazioni che si svolgono nei moduli. Questo calcolo del tempo ci proviene dal lavoro di Libet; e ancora, per quanto riguarda l’azione nell’altra direzione, come nel lavoro di Kornhuber, essa impiega fino a 800ms. per dare inizio ad un’azione. […] Ciò deve essere conseguito mediante interazione modulare cosicché le lievissime influenze statisticamente diffuse sui moduli aperti vengono gradualmente elevate mediante l’interazione modulare»133.

Alla mente autocosciente, quindi, apparterrebbero principalmente due funzioni: una esplorativa, “di controllo” dei processi neuronali e di interpretazione degli stessi, e un’altra attiva, di modificazione nei confronti dei pattern spazio-temporali disegnati dalle connessioni neuronali, che si realizza tramite azione diretta sui moduli aperti e indiretta sui moduli chiusi. In questo modo l’influenza della mente potrebbe raggiungere un’ampiezza di propagazione inimmaginabile, se consideriamo che un solo modulo è in grado di comunicare con centinaia di altre unità. Eccles ipotizza che l’esercizio di “lettura” o scansione del connettoma sia un’attività costante della mente, che ne esprime l’essenza più intima, connessa alla sua primordiale apparizione nel panorama evolutivo nel ruolo di sistema di controllo o regolazione del comportamento. Facendo riferimento a questa caratteristica, Eccles ritiene che il modello dualista così delineato sia in grado di fornire una spiegazione anche rispetto agli stati di incoscienza (coma, sonno): la mente troverebbe, in questi frangenti, solamente moduli chiusi, rendendosi capace di leggerne le informazioni – trasmesse disordinatamente –, senza tuttavia avere la possibilità di influenzarle (sarebbe il caso dell’impotenza che si prova nell’esperienza del sogno)134.

«Io ritengo che essa svolga sempre la sua azione di scansione sull’attività del cervello, ma non sempre il cervello si trova in condizioni di comunicare con essa!»135.

133 Ivi, Vol. 3, pp. 681-682.

134 Queste considerazioni sullo stato della coscienza nelle peculiari situazioni in cui essa si ritrova impossibilitata ad agire

in comunione col corpo si rivelano un’argomentazione efficace nella comprensione della differenza che intercorre fra la concezione “interazionista” e quella “parallelista”, che invece non ammette possibilità di interazione: «Un aspetto caratteristico della maggior parte dei sogni è che colui che sogna prova una sensazione estremamente fastidiosa di impotenza. Egli è immerso nell’esperienza onirica, ma prova un’incapacità frustrante ad eseguire qualsiasi azione deliberata. Naturalmente egli sta agendo in sogno, ma con la sensazione di agire come se fosse un burattino. La sua mente autocosciente può fare esperienze, ma non può agire realmente, che è esattamente la posizione dei parallelisti, come ad esempio i teorici dell’identità. La differenza tra gli stati di sogno e gli stati di veglia è una confutazione del parallelismo. Un mondo parallelista sarebbe un mondo di sogno!» (cfr. Ivi, Vol. 2, pp. 450-451).

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Considerando questa prima formulazione del modello interazionista, possiamo affermare che con esso Eccles tenti sicuramente di qualificare l’interfaccia generale (il “cervello di collegamento”) e specifico (i “moduli aperti”) dell’interazione; tuttavia, egli è ancora lontano dall’individuazione del modo in cui tale influenza si verifica. Nondimeno, al neurofisiologo interessa riconoscere la distanza della propria ipotesi da una spiegazione che voglia ritenersi competa e soddisfacente; è per questo motivo che – con Popper – egli dedica un intero volume (Vol. 3) alla discussione delle sfaccettature problematiche che permangono sui piani scientifico, filosofico ed epistemologico. Fra queste, assume particolare rilievo la critica rivolta al dualismo da parte della scienza fisica (o perlomeno del suo modello attuale): l’istanza in questione attesta l’impossibilità, per un fenomeno incorporeo, di influenzare un sistema materiale quale è quello neuronale. Questa ipotesi, infatti, comporterebbe una contraddizione de facto, poiché si dimostrerebbe in netto contrasto con il Primo principio della Termodinamica, secondo il quale l’attuazione di un’azione causale sul piano fisico comporterebbe necessariamente uno scambio energetico equivalente fra i due sistemi fisici in comunicazione causale. Dal momento che il mondo mentale (M2) non viene considerato un’entità fisicamente determinata, esso non possederebbe alcun tipo di valore energetico e non avrebbe quindi alcun potere causale sul sistema fisico cerebrale (M1). Sembrerebbe trattarsi di un’impasse stringente, poiché, a questo punto della trattazione, Eccles non ha ancora ereditato le risorse concettuali della meccanica quantistica necessarie a dirimere la questione dello scambio energetico, riformulandola nei termini di uno scambio di informazione. Tuttavia, il nostro autore, aiutato in questa prima fase dal contributo dell’epistemologia popperiana, si propone di affrontare la questione per valutare se sia possibile salvaguardare quell’apertura del Mondo 1 che garantirebbe l’indipendenza ontologica del Mondo 2 e della sua azione. Si tratta, sì, di una breccia interna al mondo fisico, che tuttavia non è generalizzabile, in quanto si manifesta nel contesto di una configurazione straordinariamente unica nell’universo della materia vivente:

«questo postulato dell’apertura vale soltanto per certe strutture altamente sofisticate ed espressamente progettate, che sono biologicamente costituite e dotate di proprietà incredibili per quanto riguarda la loro attività dinamica, cioè i moduli della corteccia cerebrale, e che solo alcuni di questi moduli avrebbero la proprietà di essere aperti al Mondo 2 e, inoltre, soltanto in stati speciali»136.

La relazione di comunicazione a doppio senso (percezione-intenzione) che si stabilisce in questa sede sarebbe testimoniata dall’evidenza soggettiva, alla cui importanza Eccles non ha

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intenzione di rinunciare. In questa prima fase teorica, pur non possedendo gli strumenti matematici per confutare la chiusura del Mondo 1, gli autori fanno appello alle trasformazioni paradigmatiche che il modello fisico ha subito nel corso della sua evoluzione teorica, con l’integrazione dapprima dell’elettromagnetismo e successivamente delle osservazioni di natura quantistica. L’introduzione del paradigma di casualità statistica alla base di una fisica prima ritenuta strettamente deterministica dimostra che è sempre possibile correggere il modello fisico generale, fin proprio a trascenderne le precedenti teorizzazioni:

«L’ apertura del mondo meccanico al mondo dell’elettricità rappresentò la spinta principale verso una nuova ricostruzione della fisica in cui l’elettricità divenne fondamentale e la meccanica un derivato rispetto all’elettricità. Si era pervenuti ad una teoria che consentiva di ridurre la meccanica della spinta a fenomeni elettrici come la repulsione di elettrodi carichi negativamente. Questa riduzione ebbe molto successo e per un certo periodo sembrò come se si fosse stabilito un certo monismo elettrico. Tuttavia non era così. Ci sono forze diverse da quelle elettriche: forze nucleari e forze interazionali deboli oltre alle forze gravitazionali. […] In altre parole, la fisica moderna è pluralistica (e la legge di conservazione dell’energia dovette essere costantemente generalizzata ogni volta che il mondo fisico si ampliava). Pertanto non ci si dovrebbe preoccupare troppo per una violazione prima facie di questa legge»137.

Inoltre, rispetto alla presunta inconciliabilità di un’azione libera e immateriale col macrocosmo di materia ed energia regolato dal Principio di Conservazione, Popper intuisce che questa difficoltà non sussisterebbe se si riuscisse a determinare la valenza statistica di tale principio nel dominio del microscopico: ciò significa che, se le realtà fisiche oggetto di interazione da parte del mentale avessero una dimensione sfuggente a qualsiasi misurazione (e quindi collocabile nel dominio della fisica delle particelle), allora non saremmo nemmeno in grado di registrare una tanto lieve compensazione intra-sistemica del dispendio energetico. Il cervello, infatti, costituendo un sistema dinamico aperto e non-lineare (poiché si sviluppa su livelli gerarchici) possederebbe la capacità di stabilizzare autonomamente il proprio regime energetico, mantenendo un equilibrio dinamico fra livello di entropia e auto-organizzazione (o “neghentropia”).

«La mia tesi fondamentale è che vi sia, per quel che riguarda l’energia, una gran quantità di processi in corso nel cervello e che questo accade a tutti i livelli; e i livelli sono sistemi aperti. Senza dubbio il cervello è un sistema aperto di sistemi aperti. Qualsiasi perdita o guadagno energetico si verifichi in un determinato punto potrebbe essere facilmente controbilanciato da un guadagno o una perdita nelle zone circostanti e la deviazione, nel caso ci fosse, dalla prima legge, avrebbe un carattere tale da non poter mai essere accertata mediante misurazioni. Pertanto non potremmo neanche dire se la deviazione (ammesso che ci sia) sia statistica o meno»138.

137 Ivi, pp. 655. 138 Ivi, p. 681.

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A fronte di queste osservazioni, Eccles crede sia necessario non solo rivedere il modello fisico integrandone alcune alcuni aspetti recentemente osservati, ma, anche, produrre «una vera ricostruzione delle basi della fisica con una rivoluzione che dovrebbe trasformare la fisica esistente più di quanto avvenne per quella precedente sotto l’influenza della relatività di Einstein e della teoria dei quanti di Planck»139 ; l’incognita del “mentale” che risulta dall’analisi del cervello umano e

dall’equazione che descrive il suo funzionamento deve essere, pertanto, riconosciuta nella sua dimensione disomogenea, meta-fisica e relazionale nei confronti del mondo fisico, sia in condizioni anatomiche straordinarie (i bottoni sinaptici) che in situazioni ambientali di ordine quotidiano (la nostra effettuale azione su M1).