Il riferimento privilegiato nella ricostruzione storica dell’interesse che ha spinto Eccles ad una ricerca teorico-sperimentale nell’ambito di un concetto originariamente metafisico come quello di “anima” o di “mente” è da rintracciare nella esposizione autobiografica che lo stesso autore presenta nel contesto della sua ultima opera pubblicata: How the Self controls its Brain (1994); qui, all’interno del Capitolo Secondo (Dualismo Interazionista) Eccles espone la storia della sua ricerca e l’evoluzione della sua ipotesi di lavoro: egli descrive il suo esordio da giovane studente ad Oxford, affascinato dalle scoperte neurofisiologiche del maestro C. Sherrington, in forza delle quali pubblicherà su
Nature (1951) la sua Ipotesi sul problema cervello-mente, duramente criticata all’interno di un
ambiente accademico prevalentemente materialista. La prima formulazione completa di una teoria dualista-interazionista si avrà, però, solo nel 1953, e sarà questa intuizione che alimenterà gli studi del nostro autore in questo senso fino al 1984. Il suo percorso professionale è costellato da collaborazioni più o meno feconde – inclusa quella con Popper a partire dal 1972 –, affiancate da conferenze e omaggi scientifici a figure di riferimento come Dobzhansky (1972), portavoce di una rilettura dell’evoluzionismo che non trascura la dimensione metafisica che caratterizza l’essere umano31 . Così nel 1953, presso il suo laboratorio di Canberra, fiorisce nella mente di Eccles
l’intuizione per cui ciò che differenzia i neuroni corticali non sarebbe tanto la loro singolare struttura, bensì la complessità insorgente dalla connessione delle reti neuronali cui essi danno luogo; di conseguenza, si fa strada in lui l’ipotesi che sia proprio il sistema materia-energia (M1) della corteccia cerebrale umana a possedere proprietà del tutto particolari, le quali si esprimono in specifici stati di attività neuronale letti e rivelati da un cervello che possiede una sensibilità di ordine diverso rispetto a quella meramente fisica di un qualsiasi strumento di lettura-dati. Sarebbe, secondo questa primissima formulazione, la “volontà” (o più propriamente l’intenzionalità) a modificare in qualche
modo l’attività spazio-temporale della rete neuronale, esercitando campi di influenza all’interno di
quella speciale sede cerebrale in cui avviene l’interazione fra M1 e M2: il “cervello di collegamento”. La debolezza di questa proposta teorica rimaneva legata alla sua incapacità di fornire una spiegazione sul “come” avvenisse una tale modificazione attiva, capace di produrre un effetto causale proprio sul versante neuronale delle connessioni, alle quali la mente – ipoteticamente – si aggrappava. Il dilemma delle modalità attraverso le quali si sarebbe realizzata questa influenza di
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M2 su M1 diventa un interrogativo all’interno della pubblicazione The Self and its Brain del 1977, scritto in collaborazione con Popper. Sarà l’uscita di The miracle of existence (1984) di H. Margenau a segnare una vera e propria svolta per Eccles, che avvierà col fisico quantistico una lunga corrispondenza: ne scaturirà la concezione della mente come un campo non materiale, non fisico ma analogo ad un campo di probabilità – in cui per l’azione non è necessaria energia in senso fisico ma semplicemente un accumulo di informazione al di sopra di una certa soglia. L’introduzione dell’elemento quantistico e delle leggi che lo descrivono finirà per soddisfare la trattazione di una teoria fino ad allora ritenuta incompleta, e la cui formulazione definitiva apparirà proprio in How the
Self controls its Brain (1994), risolvendo quell’obiezione materialistica, ormai divenuta classica,
secondo la quale sarebbe impossibile ipotizzare un’influenza del mentale sul fisico senza violare la Prima Legge della Termodinamica, vale a dire il postulato di conservazione dell’energia. Con questa soluzione, infatti, rinunciando all’energia propriamente fisica quale condizione formale dell’azione causale, si evita anche di incorrere nella contraddizione sia teorica che pratica di un dispendio energetico privo di una successiva compensazione a livello neuronale.
Nonostante il percorso che ha portato all’enunciazione teorica definitiva sia stato, come abbiamo visto, rallentato in larga parte – precisamente dal 1951 al 1994 – dall’assenza di un paradigma prettamente fisico (la meccanica quantistica) che ne giustificasse le asserzioni di tipo interazionista, vale la pena notare come, dalla pubblicazione de L’io e il suo cervello (1977) a quella di Evoluzione del cervello e creazione dell’Io (1989), Eccles abbia fortemente sostenuto la possibilità di una azione causale di M2 su M1, almeno in virtù dell’evidenza che caratterizza le capacità di influenza della nostra azione volontaria e del nostro pensiero produttivo sul mondo fisico. Mentre le considerazioni di Eccles circa l’evidenza dell’interazione fra i livelli fisico, psichico e culturale si concentrano sul versante sperimentale di tali certezze32 , è soprattutto il contributo di Popper
all’interno del Vol. 1 de L’io e il suo cervello che delinea un impianto squisitamente teorico, se non addirittura filosofico, riguardante la presunta relazione sussistente fra i Tre Mondi.
32 Ne Il mistero uomo (1979), vengono chiamati in causa, ad esempio, gli esperimenti di Kornhuber sul potenziale
preparatorio o negativo delle scariche nervose generate da una disposizione volontaria, gli esperimenti di commisurotomia (o split-brain) attuati da Sperry e la stimolazione somestesica ripetitiva realizzata in collaborazione con Libet. Su questi esperimenti maggiori precisazioni verranno fornite nel contesto del § 1.3. Ulteriori considerazioni di tipo sperimentale orientate a descrivere la divario ontologico e funzionale che caratterizza le operazioni della mente umana sono presenti in Evoluzione del cervello e creazione dell’Io (1989): si tratta di tentativi di addestramento linguistico nei confronti di scimmie antropomorfe, che verranno approfonditi nel contesto del nostro § 2.2.
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Introducendo la questione dell’interazionismo fra livelli di realtà (o Mondi), Popper definisce gli esseri viventi come «corpi materiali processuali» e – anticipando tematiche relative alla teoria dei sistemi che proprio in quegli anni andava formandosi anche in contesto biologico ed evolutivo – come «sistemi aperti» analoghi a nuvole di molecole che operano uno scambio continuo con l’ambiente; tali organismi apparterrebbero all’universo degli stati fisici, e interagirebbero con entità che congetturiamo essere reali ed efficaci sullo stesso piano della realtà fisica33. Popper ipotizza che
accanto a tali processi – il cui meccanismo può rientrare nella dinamica dei sistemi fisici aperti e auto-organizzanti – esistano anche stati mentali, uniti ad essi e che, sebbene considerati una congettura alla stregua dei primi, sembrano guidare le nostre azioni in M1; il caso che Popper presenta possiede una notevole capacità esemplificatoria:
«Un mal di denti è un esempio valido di uno stato che è al tempo stesso mentale e fisico. Se avete un brutto mal di denti, diverrete fortemente motivati a recarvi dal dentista; il che comporta un certo numero di azioni e di movimenti fisici del vostro corpo. La carie del dente – un processo fisico-chimico, materiale – produrrà sì degli effetti fisici, ma tutto ciò avverrà tramite le vostre sensazioni dolorose e la vostra conoscenza che esistono delle istituzioni quali la professione del dentista. (Finché non sentite dolore, sarete magari ignari della carie, per cui non andrete dal dentista; oppure può darsi che per qualche altro motivo avrete dei sospetti, e non aspetterete di sentire dolore per recarvi a fargli visita: in entrambi i casi è l’intervento di alcuni stati mentali – qualcosa come una congettura, una conoscenza – a spiegare la vostra azione e i movimenti del vostro corpo)»34.
Si tratta di una suggestione che, pur non sfuggendo al possibile esito parallelista (già criticato sulla base di quella che è stata definita “critica darwinista”), richiama all’attenzione del lettore quelle situazioni di ordine pressoché quotidiano in cui uno stato fisico, se indissolubilmente legato ad una valutazione coscienziale (una forma di conoscenza e di intenzionalità), permette di prendere decisioni la cui effettualità si realizza in M1. Ma questo meccanismo si verifica anche nel senso opposto: come ci fa notare Mario Tiengo nella prefazione all’edizione italiana di Come l’io controlla
33 Come abbiamo già avuto modo di vedere, si sottolinea come tali processi fisici appartenenti a M1 siano solamente
postulati come esistenti (quindi solo in via congetturale), in parte perché si tratta di elementi che non potremmo sperimentare con evidenza sensibile – campi di forza, atomi ed elettroni, ad esempio –, ma in parte anche perché, come fa notare Eccles ricorrendo alle parole di Schrödinger (1958) non possiamo nemmeno postulare come realmente esistente la stessa realtà sensibilmente sperimentabile a prescindere dall’interfaccia mediante la quale essa viene codificata: «Il mondo è un costrutto delle nostre sensazioni, delle nostre percezioni e dei nostri ricordi. Conviene considerarlo un’entità che esiste oggettivamente per proprio conto. Ma certamente esso non diventa evidente solo per il fatto di esistere. Il processo di manifestazione del mondo dipende da eventi molto speciali che accadono proprio in certe parti molto speciali di questo mondo, ovvero da certi eventi che accadono in un cervello. Si tratta di un’implicazione assolutamente peculiare, che suggerisce una domanda: quali proprietà particolari distinguono questi processi cerebrali e li rendono capaci di produrre la manifestazione?» (cfr. J.C. ECCLES, Come l’Io controlla il suo cervello, 1994, p. 28).
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il suo cervello, persino una suggestione mentale come quella dell’“effetto placebo” può influire sulla
nocicezione soggettiva del dolore in M1. Si teorizza, con Popper, che sia proprio il cervello il locus dell’interazione mente-corpo, sebbene il nucleo della questione (ovvero come si realizzi, di fatto, questa interazione) rimarrà insoluto, come abbiamo visto, fino al 1994. La realtà dei Mondi postulati in via teorica come indipendenti è legata al fatto che essi possano in qualche modo indurre mutamenti che riguardano un livello differente: non è solamente una disposizione coscienziale (M2) che ci spinge a intervenire su M1 modificandolo, ma a permetterci di fare questo è soprattutto l’insieme dei contenuti di pensiero e dei prodotti della mente umana (M3), grazie ai quali, appunto, possiamo valutare, soppesare, giudicare e decidere: «La produzione di una teoria scientifica, la sua discussione critica, la sua accettazione in via ipotetica e la sua applicazione […] può cambiare la faccia della terra e quindi del Mondo 1»35.
Ma che cosa sono esattamente gli oggetti di M3? Si tratta di enti incorporei, spesso incarnati in oggetti di M1 (ad esempio, «i libri, le nuove medicine sintetiche, i calcolatori, un aereo») o in manufatti materiali che appartengono ad entrambi i livelli (si pensi alle opere d’arte). Alcuni oggetti di M3 esistono solamente in forma codificata in M1 (come lo spartito musicale) mentre altri sopravvivono in M2 sotto forma di ricordi e svaniscono assieme alle tracce mnestiche cerebrali in M1. Tutti gli oggetti materiali che esprimono contenuti teorici o che conseguono come una realizzazione pratica da processi di ricerca nascono mediante un’attività di pensiero che – come già avevano inteso i maggiori filosofi greci – può essere intuitiva (noetica) o discorsivo-deduttiva (dianoetica); la vera rivoluzione nella comprensione di tale attività peculiarmente umana avviene nel momento in cui, con le scienze matematiche, scopriamo che non solo è possibile inventare una teoria scientifica, ma addirittura svelarne alcuni elementi essenziali, come se essi fossero preesistenti la nostra capacità astraente36 . Lasciando da parte il dominio delle scienze esatte e
l’intuizione delle loro regole (una discussione che ci porterebbe troppo lontano dai nostri attuali interessi), notiamo come sia questa facoltà di produzione intellettuale insita nell’uomo a definire, secondo Popper, l’essere umano nella sua unicità, in quanto in grado di produrre un oggetto puramente mentale, di ricrearlo nella propria mente ed arrivare a considerare intuitivamente tale
35 Ivi, p. 56.
36 Pensiamo, con Popper, a quelle semplici scoperte per cui «non vi può essere più di un numero primo pari, e cioè il 2,
e non più di una terna dispari di numeri primi (vale a dire 3, 5 e 7) e che col crescere in grandezza i numeri primi diventano rapidamente più rari; […] l’irrazionalità della radice quadrata di 2, cioè della diagonale del quadrato dell’unità di misura, […] il problema della quadratura del cerchio; la sua impossibilità» (cfr. Ivi, pp. 58-59).
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problema nel momento in cui ne padroneggi la ricostruzione logico-teorica. Una tale attività produttrice del pensiero (che nel contesto della filosofia classica, come vedremo, si colloca al più alto livello nel range delle capacità umane) sarebbe da collocarsi nell’ambito di una più ampia funzione che contraddistingue l’essere vivente innanzitutto nella sfera dell’apprendimento biologico e dell’evoluzione organica, in cui l’animale razionale, percependo, opera una selezione delle informazioni utili dall’ambiente in cui è inserito, producendone una primissima decodificazione sulla base delle preferenze che sono funzionali alla propria sopravvivenza. Il processo di creazione di M3 consisterebbe, quindi, in una funzione di interpretazione attiva del mondo che caratterizza l’evoluzione animale e che si identifica con un atteggiamento di «risoluzione attiva di problemi» attraverso la formulazione di ipotesi più o meno teoriche; è sulla base di questo atteggiamento evolutivo che si instaurerebbero le più raffinate acquisizioni che contraddistinguono l’animale razionale per eccellenza, come la capacità linguistica, lo sviluppo dell’affettività (nelle vesti di empatia o altruismo), l’insorgere della creatività intellettuale. Ciò che contraddistingue l’essere umano, quindi, è la sua capacità – acquisita evolutivamente per Popper e trascendentalmente per Eccles, sebbene le due visioni possano essere conciliabili – di produrre teorie per comprendere e padroneggiare le situazioni in M1, di interpretare successivamente la propria condizione in termini di straordinarietà e di ipotizzare programmi d’azione di M2 su M1, scatenando una retroazione di M3 sui livelli inferiori, con la conseguenza, così, di risultare strutturalmente ancorato in modo indissolubile ai tre Mondi:
«A mio avviso, però, la coscienza umana di sé trascende ogni pensiero puramente biologico. Potrei esprimermi in questo modo: ho ben pochi dubbi sul fatto che gli animali sono coscienti. […] Congetturo però che soltanto un essere umano in grado di parlare possa riflettere su se stesso. Io penso che tutti gli organismi abbiano un programma. Ritengo però che soltanto un essere umano possa prendere coscienza di parti di questo programma e rivederle criticamente. […] Ritengo che quest’idea di un progetto di vita, appartenente al Mondo 3 fatto dall’uomo, vada un po’modificata; per stabilire l’unità dell’io, non è necessaria l’unità di un progetto di vita unificato e forse immutabile, ma piuttosto il fatto che dietro ogni azione intrapresa vi sia un piano, una serie di aspettative e di teorie, di finalità e preferenze, le quali possono svilupparsi e maturare e a volte, sebbene accada di rado, possono perfino cambiare radicalmente, per esempio, sotto l’impatto di una nuova intuizione teorica […]. Scalare alte montagne, scalare l’Everest per esempio, mi è sempre sembrata una confutazione straordinaria della concezione fisicalistica dell’uomo. Vincere gli ostacoli per il solo gusto di farlo; affrontare gravi pericoli, spinti solo dal piacere di farlo; proseguire fino a raggiungere una spossatezza estrema: come si possono spiegare questi modi di combattere tutte le nostre inclinazioni naturali con il fisicalismo o il comportamentismo?»37.
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