• Non ci sono risultati.

PARTE II: LA SCIENZA DELLA MENTE

2.2.3. Sviluppo della memoria

Un aiuto imprescindibile nella formazione del linguaggio come sistema stabile di codificazione delle esperienze è fornito dallo sviluppo della memoria, e specialmente della memoria a lungo termine (MLT), che permette di fissarne l’apprendimento a livello della corteccia, rendendone disponibili i principi, le regole e gli usi per una qualsiasi fruizione in un tempo successivo. Secondo Popper, la studio della memoria è imprescindibile nel tentativo di comprendere al meglio l’universo della coscienza umana, poiché essa rappresenta una sorta di fattore intermedio fra M1 e M2, comprendendo in sé aspetti sia consci che inconsci. La memoria è la capacità di richiamare informazioni dalle “banche-dati” del cervello, le quali corrispondono a precisi pattern neuronali descritti dal percorso spazio-temporale che li disegna. L’immagazzinamento di nuove informazioni –

81

allo scopo di riutilizzarle successivamente – costituisce l’essenza dell’apprendimento, che nei mammiferi superiori si distingue in motorio e cognitivo; l’apprendimento motorio (che rappresenta il primo passo evoluzionistico verso la formazione di un sistema generalizzato di controllo dell’azione) si realizza nei primi anni di vita mediante l’azione rinforzante del cervelletto sui circuiti neuronali deputati ad una specifica azione: esso svolge un ruolo fondamentale nel percorso di crescita delle scimmie antropomorfe, dallo sviluppo del comportamento sociale alla manipolazione degli oggetti. Il secondo tipo di apprendimento – quello cognitivo – caratterizza in modo peculiare l’uomo e solo parzialmente i pongidi, i quali sviluppano – come abbiamo visto – un sistema di comunicazione limitato alla gestualità e al riconoscimento simbolico, raggiungendo al massimo livelli espressivi di tipo 2.

La differenza strutturale che, nell’uomo, sta alla base del potenziamento mnemonico consiste in una maggiore espansione della corteccia associativa (del 26% solo per il lobo prefrontale) e nell’incremento dell’ippocampo. La pratica linguistica, sorta grazie al rafforzamento mnemonico della connessione simbolo-oggetto, ha sicuramente svolto un ruolo di rinforzo retroattivo su quei circuiti che permettono di depositare il ricordo dell’esperienza in modo permanente. Il meccanismo neuronale sotteso all’attività mnemonica nella sua forma più basilare (la memoria a breve termine, o MBT) consiste in un potenziamento ripetitivo dell’eccitazione sinaptica lungo i pattern attivati da un determinato input sensoriale, allo scopo di suscitarne la riattivazione al ripresentarsi della medesima esperienza. Le sinapsi che subiscono tale potenziamento sono quelle spinose, che si attivano sui dendriti delle cellule piramidali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo nel loro percorso di connessione modulare. Tale ingrossamento postsinaptico provoca un fenomeno di progressiva ramificazione, che richiede un aumento significativo del metabolismo per essere mantenuto. La MLT, invece, pur condividendo lo stesso basilare meccanismo di rafforzamento sinaptico, viene implementata attraverso un ulteriore fissaggio del ricordo, con la possibilità di rievocare lo stesso pattern in modo volontario e in qualsiasi momento mediante un semplice atto mentale103. Il processo neurobiologico preposto alla fissazione della traccia mnestica venne scoperto

mediante lo studio di casi di amnesia anterograda e di lieve amnesia retrograda, guadagnate dal soggetto in seguito all’asportazione bilaterale o alla sezione unilaterale dell’ippocampo104. In questo 103 Eccles ipotizza, infatti, che la mente, operando sui moduli aperti e connessi a determinati pattern spazio-temporali

del ricordo, sia in grado di intervenire nell’evocazione dell’esperienza già vissuta e fissata, di leggerla e di valutarla criticamente, attraverso una pratica di rinforzo attivo e modificazione. Sulle modalità di intervento mentale nei moduli, si rimanda al successivo § 2.3.

82

modo, il ruolo dell’ippocampo nell’attività di deposito dei ricordi venne ufficialmente riconosciuto: l’immagazzinamento dell’esperienza vissuta avviene attraverso la ricezione dell’informazione neurale proprio da parte di quest’organo, che la seleziona a seconda – probabilmente – dell’interesse soggettivo o della sua utilità e ne orienta il percorso attraverso una via diretta (direttamente alla corteccia prefrontale) o indiretta (attraverso il giro cingolato, il para-ippocampo, l’ippocampo e il nucleo talamico medio-dorsale); quest’ultimo tracciato rappresenta un circuito riverberante, che ha la funzione di potenziare le sinapsi in uscita rafforzando la traccia (il percorso che esse hanno già compiuto). Il consolidamento del ricordo è completo se la rievocazione (ovvero il rafforzamento) avviene regolarmente nel corso dei tre anni successivi all’esperienza cui esso è associato: se gli episodi di richiamo si rivelano frequenti nel corso di questo periodo, la traccia mnestica viene codificata nella corteccia cerebrale in modo permanente, senza bisogno di ulteriori rinforzi. Persino l’apprendimento linguistico, che riteniamo “innato” o oggetto di una memoria implicita, è il frutto della commistione fra predisposizione genetica all’apprendimento di una grammatica e memorizzazione delle regole sintattiche che caratterizzano uno specifico idioma; il ruolo retroattivo del linguaggio nell’immagazzinamento dei ricordi consiste nella sua straordinaria proprietà di codificare le esperienze in un sistema comunicativo, al fine di metterle in relazione con altre esperienze, passate, presenti e future:

«Appare che, sebbene le scimmie abbiano un buon sviluppo delle strutture nervose necessarie per l’apprendimento motorio e cognitivo, sono fortemente limitate di fronte a una situazione nuova essendo incapaci di pensare al problema in senso linguistico. […] La maggior parte della memoria cognitiva dell’uomo è codificata dal linguaggio. Possiamo ipotizzare che lo sviluppo evolutivo di questi due fattori [i.e. ampliamento della corteccia prefrontale e sviluppo linguistico], piuttosto che il relativamente modesto contributo dell’ippocampo, sia stato più importante per l’evoluzione della memoria cognitiva. […] Homo

habilis, con l’incremento del suo cervello e lo sviluppo delle aree del linguaggio, ha fatto il più grande

progresso durante l’evoluzione degli ominidi. Egli ha anche creato una cultura basata sugli utensili di pietra. Possiamo presumere che la sua cultura era conseguenza dello sviluppo della memoria cognitiva»105.

La proprietà integratrice della memoria nei confronti dell’esperienza viene considerata la condizione fondamentale per consentire la continuità dei ricordi e l’attribuzione di tale continuità ad un referente soggettivo che è l’“io”, ovvero la persona che osserva, ricorda, progetta e modifica le proprie aspettative in forza della propria identità; a sua volta, la consistenza della propria autocoscienza viene garantita solamente dal confronto interpersonale, che non sarebbe possibile

83

senza la creazione di un efficace sistema di comunicazione intraspecifica. Ma se valutiamo le condizioni di insorgenza del linguaggio nel cammino evolutivo, è pacifico ammettere che la sua comparsa non avrebbe avuto alcun significato se esso non si fosse sviluppato all’interno di un sistema sociale organizzato, nel quale fosse stato rilevante un progresso difensivo-strumentale, creativo e culturale. E la creazione di M3 – il mondo delle impressioni, delle teorie, dei giudizi – a sua volta, svolge un’influenza determinante su M2 e sulla formazione di quel fattore unico che è la personalità, sviluppandosi di pari passo con essa, sia in ambito ontogenetico che filogenetico106; per

questo motivo Popper interpreta il cammino della filogenesi e quello dell’ontogenesi come un processo autopoietico, di auto-organizzazione e quindi di auto-creazione, che ha condotto ad esiti trascendentali e che rappresenta «una “fioritura” che non si ripeterà»107.

La primissima forma di cultura ominide consistette nell’utilizzo strumentale di oggetti rudimentali e rinvenuti in loco da parte delle Australopithecinae; si tratta di un atteggiamento riscontrabile anche oggi nel comportamento di gruppi di mammiferi che condividono il bisogno di difendersi da un predatore comune: la coordinazione e la complessificazione di tali azioni istintuali fu consentita dallo sviluppo di quelle componenti del sistema limbico che regolano i livelli di emotività e le reazioni comportamentali ad essi associate. Nello specifico, l’ipotalamo rappresenta il nucleo dell’emotività e della sessualità umana, essendo connesso direttamente col primitivo bulbo olfattivo dal quale riceve i messaggi chimici (la più primitiva informazione ambientale sfruttata dall’organismo); a modulare l’attività dell’ipotalamo intervengono, poi, l’amigdala e i “nuclei del setto”, i quali possono a loro volta essere stimolati elettricamente o attraverso l’uso di farmaci, al fine di ottenere una vasta gamma di sensazioni108. Infine, la proiezione attuata dal sistema limbico

sulla corteccia frontale ci permette di avere in tempo reale esperienza cosciente delle nostre emozioni, così da consentirne anche forme di controllo mentale e modulazione.

106 «Da ciascuna posizione del Mondo 2 una freccia, passando attraverso il Mondo 3, conduce ad un livello più alto e più

grande che indica simbolicamente una crescita culturale dell’individuo. Reciprocamente, le risorse del Mondo 3 dell’io contribuiscono ad incrementare il livello di coscienza di quell’io. […] Quanto più grandi sono le risorse del Mondo 3, tanto più è possibile migliorare l’autocoscienza del Mondo 2 attraverso un arricchimento reciproco. Ciò che noi siamo dipende dal Mondo 3 nel quale siamo stati immersi e da come abbiamo utilizzato le nostre opportunità per sviluppare al massimo le potenzialità del cervello» (cfr. J.C. ECCLES, Evoluzione del cervello e creazione dell’io, 1995, pp. 279-281). Un chiaro esempio di privazione del Mondo 3 e di ricaduta implicita sul Mondo 2 è quello di Genie, citato precedentemente.

107 Ivi, p. 275.

108 L’esperimento condotto da J.M.R. Delgado (1969) dimostra che la stimolazione di differenti settori dell’amigdala può

provocare reazioni di violenza (zona mediale), calma e orgoglio (zona laterale) e piacere sessuale unito a fenomeni di auto-stimolazione (nuclei del setto), che nel caso degli animali (W.R. Hess, 1932) comprendono resistenza al dolore e rinuncia al cibo (cfr. Ivi, pp. 131-138).

84