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PARTE II: LA SCIENZA DELLA MENTE

2.3.3. Una teoria definitiva

Fin dalla prima formulazione della teoria – con l’“ipotesi dei micrositi” –, il nostro autore si dimostrava fortemente convinto della validità della propria tesi, tanto che nel 1977 scriveva: «è possibile affermare che la forte ipotesi dualistico-interazionistica che è stata qui sviluppata sia raccomandabile per il suo grande valore esplicativo. Essa fornisce almeno in linea di principio spiegazioni dell’intera gamma di problemi che riguardano l’interazione mente-cervello. […] Ma, cosa estremamente importante, restituisce alla persona umana il senso del miracolo, del mistero, del valore. […] Si può asserire che l’ipotesi è scientifica in quanto è basata su dati empirici ed è obiettivamente verificabile. […] Comunque, si assume che essa non sia confutabile da nessuna conoscenza esistente. Si può ottimisticamente prevedere che il periodo di revisione e di sviluppo sarà lungo, ma non ci sarà falsificazione definitiva»153. E, in un certo senso, la revisione di quella

prima tesi del 1977 (che ancora si riferiva all’attivazione modulare) comportò un suo approfondimento teorico, reso possibile grazie all’introduzione delle leggi probabilistiche nel meccanismo di rilascio vescicolare (1989); a questa, poi, fu effettivamente applicata una procedura di verifica, eseguita in collaborazione col fisico Friedrich Beck (1992, 1994, 1998), che consistette nel determinare matematicamente se fosse possibile considerare l’azione mentale nei termini di un campo non-materiale, il quale riuscisse a determinare, mediante l’intenzione, il collasso della funzione d’onda in uno stato quantistico (su questo, cfr. § 3.1.3). La formulazione definitiva della teoria dualista-interazionista, denominata la «sintesi finale» tra Mondo 1 e Mondo 2 (e 3), trova espressione nell’ultima opera pubblicata dal neuroscienziato (How the Self controls its Brain, 1994), la quale, provocatoriamente, incorpora nel titolo quel how dell’interazione che fino ad allora costituiva la maggiore incognita della sua ricerca.

Il nucleo di questa proposta, forte delle acquisizioni circa il meccanismo probabilistico che regola l’esocitosi, consiste nella teorizzazione di quella «ultra-struttura» costituita da un’unità strutturale plastica, formata da una componente fisica (il dendrone) e una componente eccedente (lo psicone); a sostegno dell’esistenza di una connessione fattuale fra Mondo 1 e Mondo 2, Eccles cita, come abbiamo visto, diversi studi sperimentali che riguardano la capacità umana di attivare estese aree della corteccia cerebrale e di dar luogo a complessi schemi d’azione neuronale con un

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semplice atto di concentrazione mentale. L’attenzione orientata o intenzione, infatti, sarebbe in grado di eccitare decine di migliaia di dendroni per ciascuna area corticale, specificamente coinvolta nello svolgimento di un compito sensoriale o cognitivo più o meno complesso. Eccles introduce una differenziazione funzionale relativa non solo ai dendroni e agli schemi neuronali che ad essi fanno capo, ma anche agli psiconi corrispondenti, i quali rappresenterebbero proprio i qualia percettivi nella loro diversità e unicità. Potrebbe sembrare che, smembrando il Mondo 2 nelle unità degli psiconi e attribuendo ad essi una precisa esperienza mentale (cui è associato, materialmente, un preciso pattern neuronale), il nostro autore incappasse in una riproposizione del monismo nella forma della “Teoria dell’Identità”, la quale accetterebbe tale ipotesi di relazione riflettente fra M1 e M2 all’interno dei circuiti neuronali. Tuttavia, dobbiamo ricordare che Eccles intende mantenere l’indipendenza ontologica dei due mondi e, quando postula le unità funzionali degli psiconi, non punta a frammentare il nucleo di M2 (la cui natura rimane, anzi, sconosciuta), ma solo a comprenderne le particolari modalità di interazione con M1: il suo intento, infatti, non è quello di dare spiegazione della natura di M2, ma piuttosto della sua interconnessione col cervello.

Volendo ripercorrere la storia evolutiva della coscienza incorporandovi lo sviluppo degli psiconi, potremmo senza dubbio affermare che sia stata necessaria, per l’emergenza della mente, perlomeno la presenza di una neocorteccia evoluta quale quella dei mammiferi, che comprendesse strutture di dendroni154 presso le quali si fossero sviluppate micro-strutture recettive (i “micrositi”),

su cui potesse agire un primordiale meccanismo di limitazione dell’esocitosi, capace di fornire all’organismo un modello di comportamento controllato, e successivamente cosciente. Possiamo, con Eccles, far coincidere l’insorgere del Mondo 2 con la formazione delle griglie reticolari presinaptiche, sulle quali avrebbe quindi cominciato ad agire un principio di natura diversa, regolato da unità di controllo non-materiali, che l’organismo biologico avrebbe imparato a manipolare e ottimizzare lungo il suo percorso filogenetico, e dal cui uso proficuo sarebbe poi maturata l’autocoscienza. La mente, sfruttando i meccanismi “ultrastrutturali” della corteccia e le connessioni neuronali, e adattandosi all’anatomia funzionale dell’organo cerebrale, si sarebbe rafforzata grazie agli apprendimenti motorio e cognitivo (specialmente mediante il consolidamento della memoria

154 I dendroni sono presenti presso la corteccia di tutti i mammiferi osservati, in quantità differenti e fino a un massimo

di 200.000, a fronte dei 40 milioni di dendroni che compongono, invece, la lamina I della corteccia umana (cfr. J.C. ECCLES,

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permanente)155 e sarebbe “fiorita” stabilendo un’armonia totalizzante con la componente fisica

dell’organismo.

«L’ipotesi è che, siccome il cervello dei vertebrati si è evoluto nel mondo di materia-energia della fisica classica, esso era senza mente, deterministico e soggetto alle leggi di conservazione della materia. In seguito, per la complessa organizzazione strutturale della neocorteccia dei mammiferi, con i relativi meccanismi di probabilità quantica, avrebbero fatto la loro comparsa le esperienze di un altro mondo, quello della mente cosciente, presumibilmente molto primitiva e fugace. Alla fine, comunque, con l’evoluzione degli ominidi, sono stati raggiunti livelli superiori di esperienze coscienti, fino all’Homo sapiens sapiens, con la sua autocoscienza, che rappresenta l’esperienza unica di tutta la vita per ciascun io umano e che dobbiamo considerare un miracolo oltre l’evoluzione darwiniana»156.

Ma Eccles si spinge oltre, tentando di fornire una spiegazione plausibile della soggettività e del suo carattere unitario proprio a partire dalla teoria degli psiconi:

«Bisogna accettare il fatto che tutti i mammiferi sono esseri coscienti con un certo controllo sulle proprie azioni e su certe esperienze coscienti. L’interazione dendrone-psicone è pertanto essenziale per la loro vita mentale. La situazione umana è un ulteriore sviluppo con l’avvento dell’autocoscienza, nella quale gli psiconi possono esistere indipendentemente dai dendroni in un mondo esclusivo di psiconi, che è il mondo dell’io. Ci sono grandi incognite in questo ipotizzato mondo di psiconi. […] La trasmissione da psicone a psicone potrebbe spiegare l’unità del mondo interiore della nostra mente. […] Possiamo chiederci se vi sia una categoria di psiconi organizzati e non connessi ad alcun dendrone, ma solo ad altri psiconi, a formare un’entità psichica indipendente dal cervello»157.

Ciò che il nostro autore sta ipotizzando è che, nel corso del processo evolutivo e di complessificazione funzionale che ha visto riorganizzarsi le componenti cerebrali, sia stato allo stesso modo possibile per gli psiconi stabilire una comunicazione diretta fra loro, in forza di una peculiare natura che li accomuna, dando vita a quella unitaria esperienza trascendentale cui diamo il nome di “io”. La presenza di una simile incognita interna al cervello sarebbe testimoniata dai già citati studi di rilevazione del flusso sanguigno regionale mediante traccianti radioattivi, dalle pratiche di tomografia a emissione di positroni (PET) e di risonanza magnetica funzionale (fMRI): tecniche che

155 «Bisogna riconoscere che, lungo un’intera vita di apprendimento, l’intenzione di eseguire un particolare movimento

verrebbe ampiamente incanalata verso quei particolari psiconi che sono connessi a quei dendroni della neocorteccia che sono in grado di determinare l’azione richiesta» (cfr. Ivi, p. 134).

156 Ivi, p. 172. 157 Ivi, p. 142.

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sono state applicate sperimentalmente durante lo svolgimento di attività di natura esclusivamente ideativa158.

158 P.E. Roland, 1981; P.E. Roland, L. Friberg, 1985; M.I. Posner, M.E. Raichle, 1988; D.H. Ingvar, 1990; W. Singer, 1990;