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Il primo traforo per l'Europa

Piera Condulmer

Storia, geografia, politica, e-conomia ancora una volta s'in-contrano per fare delle scelte e prendere decisioni coraggiose.

Il Congresso di Vienna del 1815 aveva rotto l'unità poli-tico-economica formata da Na-poleone, che aveva unito Pie-monte e Liguria all'impero fran-cese, e costituito il Regno Itali-co. Il Congresso ridiede indipen-denza al Piemonte, annettendo-gli la Liguria; questo non perché vi fossero particolari affinità tra i due stati o per magnanimità dei bigs di allora verso lo sta-terello sardo, ma per strategia politica, che voleva creare in-torno alla Francia stati abba-stanza consistenti, tali da poter far da freno a possibili ritorni di fiamme imperialistiche fran-cesi! Per Torino, Genova rap-presentava la conquista del ma-re in più dinamica posizione di Nizza, e sul quale gravitavano linee di comunicazioni interna-zionali, in quanto poteva con-siderarsi il porto della Lombar-dia, della Svizzera, dell'Europa centrale. Per Genova invece, il Piemonte sarebbe potuto diven-tare un più ampio retroterra, prezioso se il suo porto fosse stato messo in opportuna comu-nicazione con il Po e la media valle P a d a n a da una parte, e con Torino e il Cenisio dall'al-tra. •

Nai^oleone nell'unità dell'im-pero aveva visto questo, e subito aveva f a t t o studiare una rota-bile dei Giovi che agevolasse di molto la vecchia e pressoché impraticabile strada postale. Era appena agli inizi di questa poderosa costruzione, quando

l'impero si sfasciò per la presun-zione di un impero europeo.

La Restaurazione (non cosi ottusa in Piemonte, come si vuol far credere) pur nella ristrettez-za dei mezzi finanziari, si affret-tò a proseguire e a dar compi-mento all'ardua impresa dei Giovi, ora che Genova era unita al Piemonte, delincando all'in-grosso quella grande Y circola-toria, la cui asta puntava verso Genova, e i due bracci verso Torino e verso Novara e il Nord.

Nonostante l'accusata austro-fìlia, con questa Y il Piemonte voleva realizzare un movimento commerciale che estromettesse l'Austria e la Lombardia au-striaca dal circuito di Genova con la Germania e l'Europa cen-trale, attraverso il lago Mag-giore, finanziando persino, a tale scopo, la Confederazione svizzera per una rotabile del S. Bernardino, (non prevedendo che l'Austria, vecchia volpe, a-vrebbe neutralizzato i suoi sfor-zi con altre inisfor-ziative e cioè con 10 Spluga e lo Stelvio).

La costruzione di tale strada aveva f a t t o crescere moltissimo 11 traffico di passeggeri e di merci t r a Genova e Torino; ma la dinamica della evoluzione economica europea in concomi-tanza con l'evoluzione tecnico-scientifica, faceva sentire la ne-cessità di ampliare l'apparato circolatorio commerciale con l'a-pertura di nuove arterie, in cui far affluire sempre nuovo san-gue economico.

E d ecco la Genova mercan-tile, proporre pionieristicamente nel 1826, subito dopo gli espe-rimenti inglesi di cui aveva

avu-to notizia, la costruzione di una linea ferrata che congiungesse Genova alla valle padana e al Po. Nonostante il primo tronco ferroviario piemontese sia stato aperto nel 1848, non bisogna pensare che tale richiesta geno-vese sia caduta come una meteo-rite sul tavolo del Consiglio di Conferenza al governo di Tori-no, dove molto ci si interessava alla grande rivoluzione che si presagiva avvenire nel settore dei trasporti, con l'avvento della strada ferrata e della vaporiera; ma vi erano in un primo mo-mento preoccupazioni di carat-tere generale: cioè la mancanza di materie prime e della formu-lazione di un piano che tenesse presente ragioni non solo eco-nomiche ma anche politiche. La proposta restò inevasa per più di un decennio, ma non insab-biata, t a n t o è vero che il pro-getto formulato dall'ingegner Porro e revisionato dall'esperto inglese Brunel, nel 1843 in sé e per sé fu trovato buono e ben fatto; chi se ne occupava con estremo fervore era il giovane Cavour, che era già riuscito a trovare i finanziatori a Ginevra e a Parigi, per costituire una Società, di cui egli sarebbe stato consigliere. I n t a n t o il governo di Torino a poco a poco trac-ciava le sue direttrici ferrovia-rie, che risultarono tre: Cham-béry - Torino - Alessandria - No-vara; Alessandria-Genova; Ge-nova-Lago Maggiore. Si amplia-va di molto l'orizzonte dell'im-presa per il Cavour, che vedeva in essa la grande occasione in cui poter esplicare in pieno t u t t e le sue facoltà.

Fig. I - S c h e m a della r e t e f e r r o v i a r i a italiana p r o p o s t a dal c o n t e P e t i t t i di R o r e t o nel 1845 (le linee c o n t r a s s e g n a t e con le l e t t e r e « a » e « b » in-d i c a n o p r o p o s t e a l t e r n a t i v e ) . La s u a c o n c e z i o n e e r a già n a z i o n a l e .

Quando l'approvazione defi-nitiva della linea sembrava que-stione di giorni, più pressanti si fecero le preoccupazioni di certi ambienti, sull'opportunità o me-no di dare in mame-no al capitale privato non solo, ma straniero, strutture cosi importanti come le strade ferrate, in un paese di transito obbligato come il Pie-monte.

Immaginiamo i giorni di an-sia del Cavour, che dopo il re-cente disinganno della ferrovia savoiarda, credeva di aver im-boccato la via giusta.

Ma le Reali lettere Patenti del 13-2-1845 parlavano chiaro: la strada ferrata Genova-Piemonte sarebbe stata costruita a spese dello Stato.

Per il Cavour fu il crollo di

molte speranze; ma fu il crollo delle speranze di una persona consapevole e responsabile, che manifestò t u t t a la sua intierezza quando, all'uscita del libro del Petitti di Roreto « Delle strade ferrate italiane », dal quale si ricava la fondamentale questio-ne che aveva determinato Carlo Alberto ad un a t t o apparente-mente illiberale, il Cavour senti il bisogno di redigere u n ' a m p i a recensione al medesimo, in cui dà esjjressione lampante alle ve-late considerazioni politiche del-lo scrittore; mentre si stava combattendo u n a guerra fredda con l'Austria per la questione del sale, per la questione del trasporto del vino, mentre non si sa]Deva che cosa l'avvenire avrebbe potuto riservare allo

Stato Sardo, il concedere una i n f r a s t r u t t u r a cosi importante come le vie di celere comunica-zione a capitalisti stranieri, era compromettere la libera dispo-nibilità dello stato.

L'articolo del Cavour fu rite-nuto t a n t o pericoloso, che due riviste furono costrette a rifiu-tarne la pubblicazione, ed usci sulla « Revue Nouvelle », indi-pendente, nel maggio del 1846.

Il senso dello Stato aveva su-bito prevalso nel Cavour sull'in-teresse individuale, pur forte-mente danneggiato.

Dietro la ferrovia di Genova c'è perciò già t u t t o questo re-troscena, che peraltro servi a stabilire certi criteri fondamen-tali: le linee ferroviarie vitali, portanti, per cosi dire,

dove-vano essere in mano allo Stato, le secondarie potevano essere lasciate all'iniziativa privata: alla ferrovia di Genova occor-reva fosse data la priorità asso-luta per non giungere tardi nella competizione con i porti adriatici in mano all'Austria.

Quali furono le considerazioni che portarono i governanti pie-montesi a giudicare di primaria importanza la linea da Genova al Po? Credo si possano sintetiz-zare in due ordini: difensive ed offensive. Considerata la linea non limitata ad Alessandria, ma proseguente fino ad Arona, al Lago Maggiore e al Lago di Co-stanza attraverso la galleria del S. Bernardino in Svizzera, essa avrebbe assicurato al porto di Genova il movimento commer-ciale della Baviera, della Ger-mania renana, di Zurigo, di Ba-silea; in secondo luogo interes-sava il territorio piemontese da nord a sud, e interessava certo l'Inghilterra per il passaggio del-la sua Valigia delle Indie, in concorrenza con Marsiglia e Trieste. Con questo entriamo già nella lotta economica che il minuscolo Piemonte osa ingag-giare contro la piovra austriaca, insieme alla sfida di escludere l'Austria dai rapporti economici piemontesi con la Germania, e di allontanarne il commercio dalla linea Genova-Pavia-Mila-no verso il Genova-Pavia-Mila-nord.

Rispunta l'idea dell'unità commerciale della Mitteleuropa. Di quante complicazioni umane si faceva responsabile la inno-cente verga di acciaio t e m p r a t o

dei binari, e la bofonchiante va-poriera !

Ma questo non è che un aspet-to delle infinite complicazioni di ogni genere che presentò questa famosa ferrovia, dall'inizio cosi pacifico e sereno nel primo trat-to Torino-Moncalieri, inaugu-rato nel 1848, con deliranti ma-nifestazioni. Anche il secondo tratto, e il terzo, fino a Valdi-chiesa non presentarono proble-mi. Ma qui già intervenne la trascurata geologia, proprio nel punto in cui la si sarebbe dovuta avere più amica ai fini ferro-viari, quando cioè si sarebbero dovuti avere terreni solidi e compatti, per superare, in sette chilometri, il dislivello di cento metri, tra Dusino e Villafranca. E d invece s'incontrarono ter-reni pliocenici a strati marnoso-argillosi, facili ad imbeversi di acqua e a gonfiare fino al dop-pio del loro volume, con conse-guenze che si possono immagi-nare sulle strutture; incoerenti e franosi, ribelli e protervi, ten-nero per tanti anni la linea inter-rotta tra Torino ed Asti, costrin-gendo merci e viaggiatori a tra-sbordi su omnibus a cavalli.

Francesco Sacco nel commen-tare la non adeguata prepara-zione di uno studio orografico, pensa con rammarico a t u t t i i milioni che si sono inghiottiti quelle argille villafranchiane !

Altro punctum dolens della t o r m e n t a t a linea, furono di nuo-vo i terreni e il forte acelivio nel passaggio dalla valle Scrivia alla valle del Polcevere, tra Bussalla e Pontedecimo, e nella galleria

dei Giovi. La preoccupazione di scavare una galleria il più corta possibile, aveva costretto ad au-mentare la pendenza di accesso, per vincere la quale l'espertis-simo belga Maus, che si era reso già celebre con i suoi piani incli-nati di Liegi, seguiti da molti altri, aveva previsto l'uso di tale sistema. Ma poi questi si trovò di fronte ad una pen-denza fino al 35 %0, proibitiva per compiere un traino con cor-de metalliche, mosse da un mo-tore fisso a vapore, per trasci-nare un peso di almeno 150 tonnellate.

Una relazione dell'ingegner Carbonazzi sollecitata in propo-sito, dichiarò che teoricamente la cosa era possibile, ma prati-camente sconsigliabile, tanto più che le funi metalliche della casa inglese di costruzione, ave-vano un limite di garanzia trop-2)0 breve e precario. Roberto Steplienson invitato a risolvere l'arduo problema, declinò ogni responsabilità per una sua solu-zione con le locomotive allora in uso.

A questo punto interviene G. Sommeiller, che stava silenzio-samente studiando un altro grossissimo problema, quello del traforo del Fréjus; egli escluse la possibilità d'adottare piani inclinati con simile pendenza, e studiò modifiche da apportare alla locomotiva di Stephenson, in modo da ottenere una po-tenza di almeno 400 Cv ed una adeguata aderenza delle ruote alle rotaie, tale da offrire suffi-cienza di attrito al movimento. Le locomotive furono fatte co-costruire in Inghilterra e modi-ficate a Torino nelle officine di Valdocco, secondo i piani del Sommeiller, e furono usate in quel t r a t t o abbinate, dalla parte delle cabine. La sensazione di potenza che diedero fu tale, da essere chiamate i Mastodonti dei Giovi (1853) (1).

(1) Alcuni sostengono che chi pro-pose tali modifiche alle locomotive fu l'ing. Ruva.

Rimaneva da risolvere la drammatica situazione della galleria dei Giovi, dove l'irre-frenabile danza di quelle marne argillose e scliistose, torve come il loro colore grigio plumbeo, con vaste zone di sfacelo, agi-vano come un diabolico sortile-gio, che demoliva ogni lavoro. Tanto che nel 1848 si erano dati per vinti i tecnici sgomenti, at-tendendo che la scienza prepa-rasse qualche potente esorci-smo, per poter domare lo spirito maligno della montagna.

I n t a n t o si riprese alle buone la vecchia strada postale, con i fedeli cavalli... per superare il valico dei Giovi.

Quando si ritentarono i la-vori nel 1850, la situazione era ancora peggiorata, perché le aperture già praticate avevano messo a contatto i terreni inter-ni con gli agenti atmosferici, aumentandone la degradazione, per cui l'uso dell'esplosivo per gli scavi diveniva sempre più problematico e pericoloso. Solo l'abilità dei nostri minatori ca-navesani, la messa a punto della perforatrice meccanica ad aria compressa del Sommeiller, e lo studio accurato della forza dei rivestimenti delle pareti in cal-cestruzzo molto spesso, porta-rono a compimento l'opera. Quel povero impresario Piatti, cui toccò un simile lotto di la-vori, sarà uscito nero di fumo dalla fatale galleria, ma credo pulitissimo in quanto a guada-gno. Per di più in lui c'era la sensazione della precarietà del lavoro. E aveva ragione; per-ché nel 1869 già si avvertiva qualche fenditura sospetta e nel 1872 la galleria era in parte « scivolata ».

Per sua disgrazia, o per sua fortuna, a seconda dei punti di vista, essa fu sottoposta subito a una tale massa di sollecita-zioni da parte dell'intensissimo traffico verificatosi, che l'incoe-renza dei terreni si accentuò; per cui oltre le costosissime ripa-razioni, da molte parti si

solle-citò la costruzione di un'altra galleria, sia per alleggerire il traffico nella prima, sia per smi-stare con maggior velocità il flusso continuo di merci tra il porto di mare e il suo retroterra immediato, o il più lontano re-troterra dell'Europa centrale, a mano a mano che gli scambi europei aumentavano. La gal-leria dei Giovi con la linea Ge-nova-Alessandria-Lago Maggio-re, rappresentava l'inserzione sud nel circolo storico, politico, economico del nucleo centrale del continente europeo, di quel-l'antica lotaringia, che si faceva allora rivivere, vedi caso, nelle discussioni al Parlamento di Francoforte nel 1848.

Di nuovo, anche per la secon-da galleria, l'insecon-dagine geologica venne trascurata, e di nuovo si trovarono i tecnici a lavorare su terreni improprii tra Migna-nego e Ronco; anziché finirla in cinque anni come previsto, la sua costruzione ne ingoiò 14: fu ultimata cioè nel 1896. Tut-tavia anziché una semplice gal-leria succursale, per snellire an-cora il traffico di Genova e San Pier d'Arena, fu costruita come una seconda linea a doppio bi-nario ad ovest della prima e più bassa di una quarantina di me-tri, tra Bolzaneto e Borgo For-nari. Francesco Sacco nel 1905 torna sulla discussione dei ter-reni liguri cosi mal studiati e utilizzati, e prevede che si ren-derà necessario un terzo traforo appenninico per ovviare all'in-tasamento delle linee esistenti. In questo caso il geologo vuole prevenire errori di tracciato, dal p u n t o di vista dei terreni, pro-ponendo una linea occidentale che segua da vicino il meridiano di Serravalle spostandosi sopra Sestri Ponente, entrando poi in una galleria di 28 km in retti-filo su solidi terreni cristallini, sboccante in valle Scrivia presso il piano Arquata-Serravalle, a quota 240, dove s'immetterebbe nella linea di Novi. Mentre af-ferma che questo sarebbe

l'opti-mum, il Sacco riconosce che al-cuni possono essere spaventati dalla lunghezza della galleria, e allora propone come ripiego la Genova-Belvedere-Val Polceve-re - Bolzaneto - Valsecca, confu-tando la validità dei progetti allora in discussione: cosi la direttissima con galleria di va-lico a Valsecca-Rigoroso di 20 km su pessimi terreni argillo-schisti, come la galleria Isover-de-Voltaggio, di valico, di soli 10 km che richiederebbe però un'infinità di costosissime opere d'arte.

Quando il Sacco faceva t u t t e queste osservazioni, giustissime dal punto di vista scientifico, gli anni scottanti del risorgi-mento erano ormai lontani, e non voleva indagare forse, la ragione più profonda capace di giustificare lo sbaglio scientifico di allora. Già il sottrarre all'ini-ziativa privata la costruzione di tale costosissima linea aveva voluto dire che impellenti ra-gioni politiche avrebbero indot-to a scavare una galleria anche nel luogo più improprio, ma che rispondesse ad esigenze di na-tura politica e strategica insie-me. Basta questo a spiegare l'assenso del Paleocapa, mini-stro dei Lavori pubblici, ed uno dei più esperti ingegneri ferro-viari d'Europa, che più tardi lavorerà in stretta collaborazio-ne con il Cavour. Egli benché avesse ereditato quel piano dal Des Ambrois, ne capi subito le esigenze e lo assecondò. Biso-gnava fare di Alessandria il no-do vitale di t u t t o il sistema di comunicazioni piemontesi, e bi-sognava portare ad Alessandria il movimento di Genova per farlo proseguire per la Svizzera e la Germania occidentale, lun-go t u t t o il territorio piemontese e distante dal confine del Ticino, non agevolando le comunica-zioni con Pavia, perché di là sarebbe stato fagocitato dalla Lombardia austriaca.

Di tale funzione centroeuro-pea ci dà prova la reazione

au-Fig. 3 - S e z i o n e o r i z z o n t a l e e p l a n i m e t r i a .

striaca, che critica ferocemente il libro del Petitti da cui tale funzione risulta evidente, e si spaventa dei progetti ferroviari piemontesi; vorrebbe contrap-porre uno Zollverein italo-au-striaco, e giunge a definire la linea Torino-Genova «un delitto di ribellione a Trieste e Vienna». Della validità di questo trac-ciato strategico più che econo-mico, ci si accorgerà nel 1859, quando a p p u n t o tale ferrovia assolse uno dei più importanti ruoli per la riuscita della cam-pagna militare, con il trasporto celere delle truppe francesi in posizione appropriata al di qua del Po (nonostante le non anco-ra eliminate interruzioni). Al si-curo della cittadella ben munita di Alessandria, non lontano da quell'unico ponte sul Po su cui passava la ferrovia per Valen-za-Mortara-Novara, e quella per Valenza-Casale, di cui si servi-rono le truppe francesi per por-tarsi a Vercelli, esse aggirando al nord l'esercito nemico, si por-tarono a Novara e al Ticino quasi di sorpresa.

Mentre Carlo Alberto traccia-va una rete ferroviaria portante, difensiva nei confronti dell'Au-stria (quando non poteva stu-diarla offensiva), e si rifiutò sem-pre di congiungere Torino con Milano, nel 1856 il Cavour cam-bia la concezione infrastruttu-rale del territorio dello Stato,

integrandosi con l'Austria per integrarsi con l'Europa. Egli vo-leva cioè tradurre nella realtà quella concezione vasta e uni-taria della rete ferroviaria e via-ria che aveva affermato nel suo articolo del 1846 come mezzo, avvio, o simbolo del formarsi di una coscienza unitaria ita-liana, prima, ed europea poi. Il suo articolo allora era apparso incendiario, perché affermava che la realtà u m a n a e commer-ciale dell'unità avrebbe supera-to e vinsupera-to l'artificiosità della di-visione degli stati italiani man-t e n u man-t a dal Congresso di Vienna del 1815; ma intanto si anda-vano discutendo non solo in Italia, bensì in Europa, principi di uniformità internazionale del-la segnaletica, dello scartamento dei binari (cui rimasero estranei solo la Russia e la Spagna), e ci si preparava a procedere verso l'unione postale.

Il Cavour dà un impulso a t u t t e le comunicazioni ferrovia-rie pubbliche e in concessione; prende accordi con l'Austria (1856) e si prepara a prolungare la Torino-Novara fino al Ticino, costruendo il ponte in pietra a Buffalora; l'AlessandriaMorta -ra-Vigevano è pronta per rag-giungere Milano anche da quella parte, e cosi la Novi-Tortona-Voghera-Pavia, si da portare il Piemonte nel 1859 ad essere lo stato più dotato di ferrovie di

Italia, con 914 chilometri in esercizio, ed uno dei più avan-zati d'Europa, con l'audacia del Fréjus ormai già predisposta, e la vittoriosa impresa dei Giovi. A celebrare questa bella fatica il Paleocapa, ministro, esperto ferroviario, ma artista, volle fosse un pittore e un rifugiato politico, che ne tramandasse la memoria, con i più bei paesaggi attraversati dalla ferrovia To-rino-Genova. E il pittore fu il ticinese Carlo Bossoli, trapian-tato a Torino, e che tanti rap-porti avrebbe avuto con il no-stro Risorgimento.

Se noi sfogliamo i rendiconti degli anni dal 1853 al 1858 della ferrovia Torino-Genova, nono-stante l'intenso traffico subito verificatosi, le spese di esercizio constatiamo che superano le en-trate di circa il 50%. A parte il valore di infrastruttura, di ser-vizio sociale e non d'impresa economico-finanziaria da attri-buire alla ferrovia, s'incomincia-rono a formulare critiche sul funzionamento e sul rendimento