Ripercorrere le calli veneziane fra San Marco e i Frari, sede dell’Archivio di Stato e del trionfo della Vergine di Tiziano, poteva essere un itinerario estremamente proficuo, quando la persona che accompagnava l’apparente turista intellettuale era Fernand Braudel. Questo piacere della conversazione mi aveva coinvolto nel lontano 1978-1979. Braudel era molto attento al pae- saggio, o meglio all’atmosfera che poteva circondare il percorso intrapreso, soprattutto quando questa atmosfera coinvolgeva l’ambiente di Venezia, la sua laguna, le increspature che coinvolgevano la laguna a seconda delle sta- gioni oppure a seconda delle giornate.
Non mancava in questa sensibilità di Fernand Braudel l’apparire della stessa sensibilità che circonda il volume Venezia, pubblicato presso il Mulino nella ristampa del 2013. Per Braudel “investigare una città”, percepirla nei suoi movimenti non sempre evidenti, era come andare alla caccia della sua immagine, delle sue apparenze improvvise, cariche di passato. Quando mi avvicinai a lui, e l’intermediario fu Alberto Tenenti, alcuni problemi di ri- cerca mi animavano: non solo il capitalismo, quanto il ruolo dell’umanesimo all’interno dei movimenti delle società e all’interno delle collettività. Era un problema che era comparso, da quando lentamente si è iniziato in modo non evidente ad approfondire questa forma di “umanesimo inquisitoriale”, un ter- mine che poteva sembrare una contraddizione in termini e non mancava di preoccupare Fernand Braudel, anche se alcuni storici italiani, fra i quali Adriano Prosperi e Franco Cardini, si incamminavano verso questo modello di ricerca, o per lo meno cercavano di trovare dei materiali documentari che potessero suffragare questa ipotesi. Quello che era parso come un problema importante in una sera a Venezia era destinato ad essere ripreso, quasi sotta- ciuto, due anni dopo a Parigi, durante i seminari che Braudel teneva presso la École. Ma tuttavia una anticipazione di quello che poteva essere il pensiero di Braudel era già comparsa: forse era più utile sostituire il termine “umane- simo” con un altro termine che proveniva da Voltaire, col termine bisogno.
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Il termine bisogno–bisogni della società poteva diventare maggiormente proficuo, per non cadere in definizioni incerte e dannose, come “umanesimo inquisitoriale”. Con il termine bisogno–bisogni della società si penetra in profondità nei meccanismi collettivi dell’uomo, dove il quotidiano mantiene la sua importanza, e dove le “congetture ideologiche” (importante Il Medi- terraneo di Braudel) trionfano, agitano gli uomini.
Se si osserva con attenzione il secondo volume (nella traduzione italiana de Il Mediterraneo), si percepisce questo sfaldamento dell’idea di umane- simo. Gli esempi possono essere numerosi, ma Braudel si sofferma in parti- colare su una istanza: all’interno della grande ricchezza degli stati del Rina- scimento poteva essere presente la prassi di investire enormi somme di de- naro in eserciti e flotte, e certamente non in beni per la collettività. I bisogni degli uomini venivano ad essere completamente sottaciuti.
In una conversazione–lezione Braudel si dichiarò non disponibile a seguire le problematiche di Eugenio Garin, che pure rispettava, proprio per la loro non attinenza a questa idea della società rinascimentale, dove sono i bisogni ad essere posti in evidenza. D’altra parte come si poteva seguire un ideale di umanesimo percorso da comportamenti contrari alla ragione. In Braudel l’anima di Voltaire era molto profonda ed in particolare nel Dizionario filo- sofico (1752), dove Voltaire si dilunga per familiarizzare i suoi lettori sulla “rabbia papale”, che si trasferisce in comportamento inquisitoriale, proprio da quelle personificazioni che dovevano garantire la pace religiosa, in parti- colare alla voce Carattere (Caractère). Voltaire si era soffermato sull’attività dell’inquisitore a Venezia e ne aveva scoperte la barbarie e la violenza. Si colpiscono le persone anche per il semplice uso di non osservare la quare- sima e Voltaire su questo punto è implacabile nella voce Questioni sulla qua- resima. Era questa atmosfera, che Voltaire emanava, che poteva trasformarsi in Braudel nel dubitare sull’uso ampio del termine umanesimo. Una forma di prerogativa che veniva lasciata al termine bisogno-bisogni. Voltaire indu- giava molto con ironia su queste forme, che si accaparravano il diritto di essere considerate, se non superiori, almeno eguali alle società non europee, e fra queste gli irochesi. Confronto non suffragato da comportamenti collet- tivi adeguati.
Indubbiamente nella ricchezza di questo argomentare, con quella finezza psicologica che anima la pagina di Voltaire, non manca la sottile presenza di Erasmo, ed in particolare quella terribile immagine, che più volte compare
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nelle sue pagine, della manus nigra, quella mano che colpisce ed uccide. Voltaire nel percorso del 1750, senza citare Erasmo, ne riprende lo spirito, ed ancora una volta, soffermandosi sulla Quaresima, pone in luce il carattere beffardo della chiesa cattolica, la quale afferma, per poi negare ciò che aveva affermato: “Preti idioti e crudeli! A chi ordinate la quaresima? Forse ai ricchi? Ma loro si guardano bene dall’osservarla. Forse ai poveri? Ma fanno quare- sima per tutto l’anno. Lo sventurato bracciante non mangia quasi mai carne, non ha di che comprare pesce. Pazzi che siete, quando correggerete le vostre assurde regole?”. Lo sdegno di Voltaire è quindi profondo, ma lo si può as- sumere come un emblema per comprendere i meccanismi delle società euro- pee e delle società del Mediterraneo fra ‘400 e ‘500, quei meccanismi la cui importanza non sfugge a Braudel. È all’interno di queste società aristocrati- che e borghesi e curiali che si colloca l’umanesimo, attraverso le quali po- tenzia la sua presenza culturale ed economica e giuridica. Eppure queste so- cietà sono attraversate dalle razzie che gli eserciti compiono, dall’uso dei soldati mercenari, all’interno dei quali può emergere un capitano con doti di intellettuale, simile ad un umanista che guida i suoi uomini, come un papa simile a Giulio II guida le sue truppe. Si possono aggiungere incameramenti indebiti di ricchezze: in altri termini la ricchezza spesso indebita è l’obiettivo di queste società, che tendono a trasformarsi in altrettanti imperi nel corso del ‘500. La domanda che alcuni storici si pongono, e Braudel sotto altra forma, è riuscire a capire quale sarà e quale è la patria dell’umanesimo, per- ché ogni movimento ha una sua patria e non si può non sottolineare l’impor- tanza di queste società come patria dei movimenti umanistici europei almeno fino e oltre Voltaire. Questo ripiegamento dell’umanesimo possiede delle conseguenze non marginali: una di queste è la incapacità di trasformare la storia europea in una storia rivoluzionaria, come reazione ai soprusi della ricerca della ricchezza e come reazione all’ammirazione incondizionata della stessa. Tuttavia esiste un tornante, una svolta importante in questo processo plurisecolare: essa è costituita dall’utopismo di Erasmo e Tommaso Moro, per i quali la giusta ragione non alberga fra le fonti dell’ingiustizia, fino a proporsi come autentica patria di coloro che desiderano il rinnovamento, l’aprirsi alle “società rivoluzionarie” che nel corso del ‘700 di Voltaire ini- ziano a fare presente la loro azione. È una stupenda prospettiva, che unisce il ‘700 dei lumi fino alle società contemporanee, e dalla incipiente richiesta di un transumanesimo e di una transpolitica, che si accrescono sotto la grande
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egida rinascimentale. La discussione, avviata in un tempo lontano, ha rag- giunto tutto ciò che si muove nel suo aspetto innovatore nell’uomo contem- poraneo e nella sua ricerca di nuove patrie ideali, ove collocare il suo pen- siero. Nei riguardi dello spirito volterriano questo ha offerto un termine che ha lentamente liberato il campo da tutte le paure e le angosce: il termine bi- sogno, che per un lungo tempo oscilla con il termine umanista, per poi pro- porsi come ideologia economica e politica. Nel sottolineare l’importanza di questo termine, non si può non rilevare l’importanza dello spirito dei lumi nell’accrescersi delle sue finalità. Percorrendo queste idee, o come affermava Benedetto Croce questi concetti, risultava sempre più agevole individuare quelli che erano i destini delle società, perché per Braudel, e non solo per Croce, la ricerca dei destini diviene uno degli aspetti più innovatori del la- voro dello storico, il quale non assume la veste di un medico ideale, quanto la veste di un intellettuale che ricerca i movimenti dei bisogni. Ed allora con questa prospettiva cambia la visione di uno stesso manuale di storia, in quanto è l’uomo del quotidiano, l’uomo che commercia nel quotidiano, l’uomo delle piazze, del mercato, ad avere una maggiore importanza nell’analisi delle “congetture sociali” (Braudel). E non è forse questo l’uomo, sulle cui spalle si colloca il peso dei bisogni e della loro fruizione, in attesa di un mutamento sociale. Braudel è sempre molto ricco di concetti nuovi nelle sue pagine dedicate al Mediterraneo: e fra questi concetti se ne presenta un altro, affascinante ed importante, “l’immaginazione rivoluzionaria” di un secolo oppure di un organico periodo storico. Siamo quindi ormai nel pieno cuore della modernità, e della organizzazione progressiva dello stato mo- derno, proposto, costruito e talvolta distrutto, per sostituirlo con forme uto- piche distruttive dello stesso. A questo punto le argomentazioni hanno rag- giunto una loro ampiezza di osservazioni, fino al punto che il ricordo di quella laguna di Venezia è diventato sinonimo di una raffigurazione nascosta dentro i suoi movimenti, dei quali un grande organizzatore diventerà insieme ad Andrea Palladio Tiziano, il colore di Tiziano e l’illuminismo, già presente in Andrea Palladio, illuminismo inteso come capacità di proporre riforme ed un modello di città che doveva corrispondere ai bisogni dell’uomo.