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PARTE 1: L’EPICA ARCAICA

1. I poemi omerici

1.4. La profezia di Tiresia a Odisseo

La più nota profezia dell’Odissea è quella pronunciata da Tiresia nel libro XI.

Odisseo, dopo una lunga permanenza all’isola Eea, chiede a Circe di lasciargli riprendere il viaggio verso casa. Lei gli ordina però di recarsi prima nelle case dell’Ade, gli fornisce minuziose istruzioni sul viaggio da intraprendere e su un rito di evocazione necromantica da compiere una volta lì giunto per interrogare l’anima del defunto indovino tebano Tiresia e farsi svelare la via del ritorno. Nel libro XI dell’Odissea, seguite alla lettera le indicazioni di Circe, Odisseo riesce a evocare il veggente. 90 95 100 105 110 115 120 125 130 ἦλθε δ΄ ἐπὶ ψυχὴ Θηβαίου Σειρεσίαο͵ χρύσεον σκᾛπτρον ἔχων͵ ἐμὲ δ΄ ἔγνω καὶ προσέειπε· διογενὲς Λαερτιάδη͵ πολυμήχαν΄ Ὀδυσσεῦ͵ τίπτ΄ αὖτ΄͵ ὧ δύστηνε͵ λιπὼν φάος ἠελίοιο ἤλυθες͵ ὄφρα ἴδᾙ νέκυας καὶ ἀτερπέα χὦρον; ἀλλ΄ ἀποχάζεο βόθρου͵ ἄπισχε δὲ φάσγανον ὀξύ͵ αἵματος ὄφρα πίω καί τοι νημερτέα εἴπω.‛ ὣς φάτ΄͵ ἐγὼ δ΄ ἀναχασσάμενος ξίφος ἀργυρόηλον κουλε῵ ἐγκατέπηξ΄. ὁ δ΄ ἐπεὶ πίεν αἷμα κελαινόν͵ καὶ τότε δή μ΄ ἐπέεσσι προσηύδα μάντις ἀμύμων· "νόστον δίζηαι μελιηδέα, φαίδιμ᾽ Ὀδυσσεῦ· τὸν δέ τοι ἀργαλέον θήσει θεός. οὐ γὰρ ὀἸω λήσειν ἐννοσίγαιον, ὅ τοι κότον ἔνθετο θυμ῵, χωόμενος ὅτι οἱ υἱὸν φίλον ἐξαλάωσας. ἀλλ᾽ ἔτι μέν κε καὶ Ὠς, κακά περ πάσχοντες, ἵκοισθε, αἴ κ᾽ ἐθέλᾙς σὸν θυμὸν ἐρυκακέειν καὶ ἑταίρων, ὁππότε κεν πρὦτον πελάσᾙς εὐεργέα νᾛα Θρινακίᾙ νήσῳ, προφυγὼν ἰοειδέα πόντον, βοσκομένας δ᾽ εὕρητε βόας καὶ ἴφια μᾛλα Ἠελίου, ὃς πάντ᾽ ἐφορᾶ καὶ πάντ᾽ ἐπακούει. τὰς εἰ μέν κ᾽ ἀσινέας ἐάᾳς νόστου τε μέδηαι, καί κεν ἔτ᾽ εἰς Ἰθάκην, κακά περ πάσχοντες, ἵκοισθε· εἰ δέ κε σίνηαι, τότε τοι τεκμαίρομ᾽ ὄλεθρον νηἸ τε καὶ ἑτάροισ᾽. αὐτὸς δ᾽ εἴ πέρ κεν ἀλύξᾙς, ὀψὲ κακὦς νεῖαι, ὀλέσας ἄπο πάντας ἑταίρους, νηὸς ἐπ᾽ ἀλλοτρίης· δήεις δ᾽ ἐν πήματα οἴκῳ, ἄνδρας ὑπερφιάλους, οἵ τοι βίοτον κατέδουσι μνώμενοι ἀντιθέην ἄλοχον καὶ ἕδνα διδόντες. ἀλλ᾽ ἦ τοι κείνων γε βίας ἀποτείσεαι ἐλθών· αὐτὰρ ἐπὴν μνηστᾛρας ἐνὶ μεγάροισι τεοῖσι κτείνᾙς ἠὲ δόλῳ ἥ ἀμφαδὸν ὀξέϊ χαλκ῵, ἔρχεσθαι δὴ ἔπειτα, λαβὼν εὐᾛρες ἐρετμόν, εἰς ὅ κε τοὺς ἀφίκηαι, οἳ οὐκ ἴσασι θάλασσαν ἀνέρες οὐδέ θ᾽ ἅλεσσι μεμιγμένον εἶδαρ ἔδουσιν· οὐδ᾽ ἄρα τοὶ ἴσασι νέας φοινικοπαρᾚους, οὐδ᾽ εὐήρε᾽ ἐρετμά, τά τε πτερὰ νηυσὶ πέλονται. σᾛμα δέ τοι ἐρέω μάλ᾽ ἀριφραδές, οὐδέ σε λήσει· ὁππότε κεν δή τοι ξυμβλήμενος ἄλλος ὁδίτης φήᾙ ἀθηρηλοιγὸν ἔχειν ἀνὰ φαιδίμῳ ὤμῳ, καὶ τότε δὴ γαίᾙ πήξας εὐᾛρες ἐρετμόν, ἕρξας ἱερὰ καλὰ Ποσειδάωνι ἄνακτι, ἀρνειὸν ταῦρόν τε συὦν τ᾽ ἐπιβήτορα κάπρον, οἴκαδ᾽ἀποστείχειν ἕρδειν θ᾽ ἱερὰς ἑκατόμβας

135 140 145 150 ἀθανάτοισι θεοῖσι, τοὶ οὐρανὸν εὐρὺν ἔχουσι, π᾵σι μάλ᾽ ἑξείης. θάνατος δέ τοι ἐξ ἁλὸς αὐτ῵ ἀβληχρὸς μάλα τοῖος ἐλεύσεται, ὅς κέ σε πέφνᾙ γήρᾳ ὕπο λιπαρ῵ ἀρημένον· ἀμφὶ δὲ λαοὶ ὄλβιοι ἔσσονται. τὰ δέ τοι νημερτέα εἴρω. ὣς ἔφατ΄͵ αὐτὰρ ἐγώ μιν ἀμειβόμενος προσέειπον· ‚Σειρεσίη͵ τὰ μὲν ἄρ που ἐπέκλωσαν θεοὶ αὐτοί. ἀλλ΄ ἄγε μοι τόδε εἰπὲ καὶ ἀτρεκέως κατάλεξον· μητρὸς τήνδ΄ ὁρόω ψυχὴν κατατεθνηυίης· ἡ δ΄ ἀκέουσ΄ ἧσται σχεδὸν αἵματος οὐδ΄ ἑὸν υἱὸν ἔτλη ἐσάντα ἰδεῖν οὐδὲ προτιμυθήσασθαι· εἰπέ͵ ἄναξ͵ πὦς κέν με ἀναγνοίη τὸν ἐόντα; ὣς ἐφάμην͵ ὁ δέ μ΄ αὐτίκ΄ ἀμειβόμενος προσέειπε· ῥηἸδιόν τοι ἔπος ἐρέω καὶ ἐνὶ φρεσὶ θήσω· ὅν τινα μέν κεν ἐᾶς νεκύων κατατεθνηώτων αἵματος ἄσσον ἴμεν͵ ὁ δέ τοι νημερτὲς ἐνίψει· ᾧ δέ κ΄ ἐπιφθονέᾙς͵ ὁ δέ τοι πάλιν εἶσιν ὀπίσσω. ὣς φαμένη ψυχὴ μὲν ἔβη δόμον Ἄϊδος εἴσω Σειρεσίαο ἄνακτος͵ ἐπεὶ κατὰ θέσφατ΄ ἔλεξεν· 90 95 100 105 110 115 120

E venne poi l’anima del tebano Tiresia,

stringendo lo scettro d’oro. Mi riconobbe e mi disse: ‚Divino figlio di Laerte, Odisseo pieno di astuzie, perché mai, infelice, lasciata la luce del sole,

sei venuto a vedere i defunti e questo tristissimo luogo? Orsù, dalla fossa allontanati, togli l’aguzzo brando, perché beva il sangue e ti dica parole veraci‛. Disse così ed io arretrando infilai nel fodero

la spada con borchie d’argento. Appena bevé il fosco sangue, mi parlò allora con queste parole l’esimio veggente:

‚Desideri un dolce ritorno, illustre Odisseo,

ma te lo farà aspro un dio. Perché credo che non sfuggirai al dio scuotiterra, che con te nell’animo è in collera, sdegnato perché gli accecasti suo figlio.

Ma anche così potresti arrivare, pur subendo sventure, se sai trattenere l’animo tuo e dei compagni,

appena avrai spinto la nave ben costruita sull’isola della Trinachia, sfuggito al mare viola, e troverete le vacche al pascolo e le greggi pingui del Sole, che vede ogni cosa e sente ogni cosa. Se queste le lasci illese e pensi al ritorno,

potrete ancora arrivare ad Itaca, pur subendo sventure; se però le molesti, allora prevedo rovina per te,

per la nave e i compagni: e tu, seppure ne scampi, tardi ritorni e male, perduti tutti i compagni, sopra una nave straniera; e a casa trovi dolori, uomini prepotenti, che ti divorano i beni, corteggiando la sposa divina e facendole doni. Ma, tornato, tu punirai la loro violenza:

e quando, nelle tue case, i pretendenti li hai sterminati, con l’inganno o a fronte con l’aguzzo bronzo,

prendi allora il maneggevole remo e va’, finché arrivi da uomini che non sanno

125 130 135 140 145 150

del mare, che non mangiano cibi conditi col sale, che non conoscono navi dalle gote purpuree né i maneggevoli remi che sono per le navi le ali. E ti dirò un segno chiarissimo: non potrà sfuggirti. Quando un altro viandante, incontrandoti,

dir| che tu hai un ventilabro sull’illustre spalla, allora, confitto a terra il maneggevole remo e offerti bei sacrifici a Posidone signore,

un ariete, un toro e un verro che monta le scrofe, torna a casa e sacrifica sacre ecatombi

agli dei immortali che hanno il vasto cielo, a tutti con ordine. Per te la morte verrà fuori dal mare, così serenamente da coglierti consunto da splendente vecchiezza: intorno avrai popoli ricchi. Questo senza errore ti annunzio‛. Disse così e io rispondendogli dissi:

‚Tiresia, l’hanno filata gli dei questa sorte; ma dimmi una cosa e dilla con tutta franchezza. Vedo qui l’anima della madre defunta,

che sta presso il sangue, muta, e non osa guardare in volto suo figlio e parlargli:

dimmi, o signore, come può riconoscere che sono io?‛ Dissi così e subito rispondendomi disse:

‚Una facile risposta posso darti e porre nell’animo: chiunque dei morti defunti tu lasci

accostarsi al sangue, ti dirà cose vere; chi invece tenessi lontano, torner| indietro‛. Detto così, andò via nella casa di Ade

l’anima del signore Tiresia, dopo che disse i responsi.

1.4.1. Tiresia ‚di cui sono saldi i precordi‛

Circe (X 493-95) parla di Tiresia come del ‚cieco indovino di cui sono saldi i

precordi: / a lui solo Persefone diede, anche da morto, / la facolt| d’esser savio; gli altri

sono ombre vaganti‛ (μάντιος ἀλαοῦ τοῦ τε φρένες ἔμπεδοί εἰσι· / τ῵ καὶ τεθνηὦτι

νόον πόρε Περσεφόνεια / οἴῳ πεπνῦσθαι· τοὶ δὲ σκιαὶ ἀἸσσουσιν). Resta incerto se le

parole della maga siano il riflesso letterario di credenze religiose reali. Un culto eroico ed

oracolare era tributato a numerose figure mitiche di μάντεις, con rituali analoghi a quelli

descritti in Odissea XI.

202

Di un santuario oracolare di Tiresia è attestata l’esistenza a

Orcomeno, anche se non se ne conosce quasi nulla,

203

e forse un oracolo della fonte si

202 Il più noto è l’oracolo di Trofonio a Lebadea (cfr. Bonnechere 2003). la cui prassi rituale presenta numerose

analogie con quella descritta nella Νέκυια. Cfr. Thomson 1914, pp. 26, 29, 84, 92 e 111-12. Famosi erano anche i santuari oracolari di Anfiarao a Oropo, di Mopso e Anfiloco presso Mallo in Cilicia; di Calcante e Podalirio sul Gargano, di Asclepio a Epidauro. Cfr. Bouché-Leclercq 1880 (T. III), pp. 321-47. Strabone (XVI 2, 39) ricollega esplicitamente l’affermazione di Circe a proposito di Tiresia con gli onori tributati ai μάντεις in vita e post mortem e le leggende di Anfiarao e di Trofonio. Cfr. Rohde (1890-94 [tr. it. 1914-16, pp.121sg. e n. 2]). Il passo in questione è però reputato spurio da Meineke (ad loc.).

203 Cfr. la dissertazione di Jaekel (1876), basata, però, esclusivamente sul passo dell’Odissea (XI 100-138);

trovava anche a Tilfusa, presso la leggendaria tomba dell’indovino.

204

Ma prassi cultuali

analoghe si riscontrano anche in altri nekyomanteia non esplicitamente legati a figure di

indovini (cfr. infra).

205

L’arte divinatoria di Tiresia, in vita, è solitamente identificata dalle fonti più tarde

con l’ornitomanzia,

206

una forma di mantica induttiva analoga a quella praticata nell’Iliade

da indovini quali Calcante ed Eleno, che si limitano a interpretare segni esteriori. Al

contrario nella Νέκυια la sua ombra sembra vaticinare in maniera spontanea, secondo una

forma di divinazione naturale.

207

Tiresia nell’Odissea è dunque una figura dallo statuto

peculiare e formula un tipo di predizione estesa e narrativa quali normalmente nei poemi

omerici pronunciano soltanto gli dei.

1.4.2. La profezia di Tiresia (Od. XI 100-149)

Tiresia, come Proteo, esordisce rivolgendosi a Odisseo per nome. L’apostrofe al

vocativo riprende un verso formulare omerico (92), ma la sua funzione rientra nella topica

oracolare. Segue una domanda, forse retorica, sul perché della visita (93sg.) e, senza attesa

di alcuna risposta, l’ordine di scostarsi e lasciar bere il sangue all’εἴδωλον (95sg.). Eseguito

l’atto rituale, Tiresia inizia a vaticinare.

Il responso vero e proprio è continuativo e, a differenza di quello di Proteo, non

contempla interruzioni dialogiche o interrogazioni da parte di Odisseo. In base agli

argomenti trattati può essere suddiviso in tre sezioni:

1. predizioni sul ritorno fino ad Itaca (100-120)

2. predizioni sull’ultimo viaggio di Odisseo (121-134)

3. profezia sulla morte di Odisseo (134-37).

4. Segue però all’unica domanda di Odisseo (139-44), un’ultima sezione, non costituita da

una prolessi profetica bensì da istruzioni pratiche sulla consultazione delle altre anime

(146-9).

Orac. 44) era ben presto fallito a seguito di una peste, ed era poi rimasto muto Clark (1968, p. 72) ipotizza

proprio un rifacimento alla prassi di quest’oracolo per la scena di consultazione mantica della Nekyia.

204 Cfr. le ricostruzioni in tal senso di Bouché-Leclercq (ibid.) e Schachter (1967, p.15). Sulla morte di Tiresia

cfr. Apollod. III 7, 3; Diod. IV 67, 1; Strab. IX 2, 36; Aristoph. Aten. II 4; Paus. VII 3, 1 e IX 33, 1.

205 Per una vecchia ipotesi riguardo la seriorit| dei νεκυομαντεῖα collettivi rispetto agli ἠρὦα oracolari di

ndovini defunti cfr. Bouché-Leclercq 1880 (T. III) pp.115sgg.

206 Apollod. Bibl III 6, 7 = Pherec. FGrHist. 3 F 16: π᾵σαν ὀρνίθων φωνὴν< συνεῖναι. Pausania(I 16, 1)

ammirava ancora a Tebe l’οἰωνοσκοπεῖον dell’indovino. Sofocle nell’Antigone (999-1015) descrive appunto Tiresia nel suo θ᾵κος ὀρνιθοσκόπος (definito πάντος οἰωνοῦ λιμήν), intento ad ascoltare lo schiamazzo degli uccelli (φθόγγον ὀρνίθων) e il rombo delle loro ali (πτερὦν... ῥοῖβδος), a contemplarne il volo attraverso gli occhi di un παῖς (laddove la cecit| gli impediva di farlo di persona) e a verificare i presagi trattine tramite l’auruspicina.

207 Si è gi| detto come nell’Iliade sia Patroclo (XVI 851-4) sia Ettore (XXII 358-60) in punto di morte predicano

la futura fine del proprio uccisore. In seguito anche l’ombra di Patroclo predice ad Achille la morte in termini chiaramente profetici (Il. XXIII 80sg.: καὶ δὲ σοὶ αὐτ῵ μοῖρα...). Ma si tratta di una predizione breve e non sviluppata, forse perché come nota Achille (103sg.) dopo la dipartita dell’amico τίς ἐστι καὶ εἰν ἈἸδαο δόμοισι / ψυχὴ καὶ εἴδωλον͵ ἀτὰρ φρένες οὐκ ἔνι πάμπαν. Diversamente sembra che al solo Tiresia sia concesso prolungare tale capacità di divinazione anche dopo le sue esequie funebri e la definitiva dipartita dal mondo dei viventi e che in tal senso egli possa narrare per esteso il futuro come forse avrebbe fatto la sua voce in un νεκυομαντείον eroico.

1.4.2.1. Istruzioni per il viaggio di ritorno fino ad Itaca (vv. 100-120)

Al principio del vaticinio vero e proprio l’indovino apostrofa nuovamente Odisseo

per nome. Premette poi in posizione enfatica lo scopo dell’interrogazione, il νόστος, che

sembra essergli gi| noto senza che l’eroe abbia proferito parola. Il vate pare quasi aprire la

narrazione al futuro con una sorta di enunciazione proemiale del tema.

La prima sezione è un’anticipazione in forma epitomatoria del restante seguito del

poema, un ‚sommario profetico‛ dell’Odissea. Il veggente interpreta gli eventi alla luce

della volontà degli dei. Esordisce identificando la causa degli ostacoli che si frappongono

al ritorno di Odisseo con la collera di Poseidone per l’accecamento del figlio. Entrambi i

temi sono espressi all’aoristo (κότον ἔνθετο... / ..ὅτι... ἐξαλάωσας...) come una profezia sul

passato di tipo esplicativo, che individua in colpe pregresse l’origine delle sventure attuali.

Vi è un riferimento retrospettivo alla richiesta di vendetta avanzata da Polifemo al padre

nel libro IX (528-35). Pregando per il naufragio di Odisseo, il Ciclope aggiungeva poi (532-

5): ‚Ma se è suo destino (οὶ μοῖρ᾿ἐστὶ) vedere i suoi cari e tornare / nella casa ben costruita

e nella terra dei padri, / tardi vi giunga e male, perduti tutti i compagni, / sopra una nave

straniera, e a casa trovi dolori‛. I vv. IX 534sg. saranno ripetuti quasi verbatim da Tiresia più

avanti (XI 114sg.): il poeta sembra creare un’intenzionale correlazione tra la supplica del

Ciclope che causa l’ira divina e le parole del veggente che ne svelano a posteriori

l’esaudimento. Sia Odisseo che il pubblico sono ora indirettamente informati che la

richiesta è stata ascoltata ma anche che i sospetti di Polifemo sulla predestinazione

dell’eroe a salvarsi e tornare in patria erano fondati.

208

Il viaggio di ritorno è condensato in rapidi cenni alla sola tappa di Trinachia (104-

15), nel corso della quale Odisseo perder| l’ultima nave e tutti i compagni. Anche stavolta

la prospettiva è quella della volont| divina: all’ira di Poseidone si aggiungerà quella di

Elios. Questa parte della profezia (vv. 104-15) è formulata in forma ipotetica (ἀλλ᾽...

ἵκοισθε, / αἴ κ᾽ ἐθέλῃς... ἐρυκακέειν... ; *1+ ..εἰ μέν... ἐάᾳς... τε μέδηαι, / καί κεν ἔτ᾽..

ἵκοισθε ; [2] εἰ δέ κε σίνηαι, τότε τοι τεκμαίρομ’... / δ᾽ εἴ πέρ κεν ἀλύξῃς, ὀψὲ κακὦς

νεῖαι...). Tiresia lascia a Odisseo la scelta, anche se il contesto fa già immaginare quale ne

sar| l’esito. Il parallelismo tra le due alternative è sottolineato sia dalle clausole

introduttive (εἰ μέν κ᾿... εἰ δέ κε...) che dalle scelte lessicali (110: ἀσινέας 112: σίνηαι ).

209

I

vv. 110-15 saranno ripetuti verbatim da Circe nel vaticinio del libro successivo (XII 137-42).

I vv. 104-15 anticipano il dettagliato racconto dell’avventura di XII 260-425.210 L’approdo a

Trinachia sarà accompagnato da puntuali richiami retrospettivi ai vaticini di Tiresia, assieme a quelli di Circe. Prima di sbarcare Odisseo ricorda ‚il consiglio (ἔπος) del cieco indovino, del tebano Tiresia, / e di Circe di Eea, che mi ammonì molte volte / di evitare l’isola di Helios che rallegra i mortali‛ (266-9)

208 Od. IX 534sg.: ὀψὲ κακῶς ἔλθοι, ὀλέσας ἄπο πάντας ἑταίρους, / νηὸς ἐπ᾽ ἀλλοτρίης· εὔροι δ᾽ ἐν πήματα οἴκῳ. XI 114sg.: ὀψὲ κακῶς νεῖαι, ὀλέσας ἄπο πάντας ἑταίρους, / νηὸς ἐπ᾽ ἀλλοτρίης· δήεις δ᾽ ἐν πήματα οἴκῳ. Cfr. Heubeck 1983, p. 269 (ad XI 104-15)

209 Come sottolinea la de Jong (2001, p. 277), questa formulazione aggiunge una dimensione morale al Fato

dei compagni di Odisseo: se periranno, sarà per loro colpa.

210 Come segnalato da Heubeck (1983, p. 270 [ad XI 109]) la definizione del Sole al v. 109 (Ἠελίου, ὃς πάντ᾽

ἐφορᾶ καὶ πάντ᾽ ἐπακούει) ritorna verbatim nel racconto post eventum della Trinachia (XII 323), ma si tratta di un verso probabilmente formulare, che ricorre a definire tale dio anche altrove (Il. III 277).

e lo fa presente pure ai compagni (271-74) ripetendo -in parte verbatim- il proprio pensiero per tentare di distoglierli dall’approdo.211 I consigli del veggente si riveleranno però del tutto inutili.

Nelle espressioni ὀψὲ κακὦς νεῖαι (tardi ritorni e male) e νηὸς ἐπ᾽ ἀλλοτρίης

(sopra una nave straniera) dei vv. 114sg. già gli scolii antichi vedevano un’allusione agli

episodi di Calipso e dei Feaci.

212

Segue un’anticipazione della lotta contro i Proci che l’eroe

dovrà affrontare una volta tornato in patria (115-20).

213

È già però preannunciato l’esito

vittorioso (118). Tali versi sembrano anticipare genericamente tutta la seconda parte del

poema, successiva al ritorno ad Itaca (libri XIII-XXIV). La doppia alternativa lasciata

aperta dall’indovino al v. 20 sulle modalit| della vendetta di Odisseo ‚con l’inganno o a

fronte con l’aguzzo bronzo (ἠὲ... ἥ...)‛, lascia in sospeso la curiosità del lettore, secondo le

modalità della suspense of anticipation omerica.

214

La diegesi dell’Odissea è ripercorsa attraverso un rapido catalogo degli episodi

fondamentali. Non sembra un caso che i nuclei tematici sono all’incirca gli stessi che si

trovano elencati nell’incipit del poema. Sia nel vaticinio di Tiresia che nel proemio

dell’Odissea è messo in evidenza il tema del ritorno (νόστος: Ι 5; XI 100). In entrambi i casi

l’unico degli ἄλγεα di Odisseo di cui si narra è l’episodio della Trinachia e delle vacche

del Sole (I 6-9 ~ XI 105-13) ritenuto evidentemente lo Standpunkt del νόστος stesso, forse

perché coincidente con il momento in cui Odisseo, persi tutti i compagni, resta solo.

215

Al

211 Od. XII 266-69 : καί μοι ἔπος ἔμπεσε θυμ῵ / μάντηος ἀλαοῦ, Θηβαίου Σειρεσίαο / Κίρκης τ᾽ Αἰαίης, ἥ μοι μάλα πόλλ᾽ ἐπέτελλε / νῆσον ἀλεύασθαι τερψιμβρότου Ἠελίοιο. ~ 271-74 : κέκλυτέ μευ μύθων κακά

περ πάσχοντες ἑταῖροι, / ὄφρ᾽ ὑμῖν εἴπω μαντήια Σειρεσίαο / Κίρκης τ᾽ Αἰαίης, ἥ μοι μάλα πόλλ᾽

ἐπέτελλε / νῆσον ἀλεύασθαι τερψιμβρότου Ἠελίοιο.

212 Schol. V Hom. Od. XI 114 (II 485, 18-20 Dindorf): ὀψὲ κακὦς νεῖαι] ἐπὶ γὰρ τ῵ τὦν βοὦν τολμήματι

ἑπτὰ ἔτη ὅλα παρὰ Καλυψοῖ διατρίβει͵ καὶ πάλιν ναυαγήσας πρὸς τοὺς Υαίακας ἐκβράττει. L’idea è stata ripresa dalla critica moderna (cfr. de Jong 2001, p. 277).

213 Alcuni analisti (cfr. Wilamowitz 1884 p.145; Focke 1943, p.203; Eisenberger 1973, p.171 n.38) hanno

espunto i versi sui Proci (116-20), ritenendoli frutto di interpolazione e sostenendo che la menzione dei Pretendenti non si adatti al contesto. Poco dopo aver interrogato Tiresia, Odisseo chieder|, infatti, all’anima della madre defunta se durante la sua assenza la sua ‚dignit|‛ (γέρας) sia rimasta nelle mani del padre e del figlio e se la sposa gli sia rimasta fedele e Anticlea non fa la minima menzione alla presenza dei Proci, risponde anzi: ‚Nessuno ha il tuo nobile ufficio, ma Telemaco amministra tranquillo le terre e partecipa ai giusti conviti...‛. Cfr. Heubeck 1983 pp. 270sg. (ad XI 121-37). Ma in realtà, la domanda di Odisseo non contraddice la consapevolezza del pericolo dei Pretendenti che lo attende, sembra anzi presupporla: proprio tale notizia dovrebbe spingerlo a informarsi sulla fedelt| della sposa. D’altra parte Anticlea descrive la situazione di Itaca al momento della propria morte, precedente l’avvento dei Proci: questi avevano iniziato a infestare il palazzo di Odisseo tre o quattro anni prima del suo ritorno (cfr. Od. II 89; XIX 152), mentre la discesa all’Ade precede il soggiorno quinquennale di Odisseo presso Calipso. Sulla cronologia della fabula dell’Odissea cfr. de Jong 2001, Appendix B, pp. 589sg. Anticlea ignora il non ancora avvenuto avvento dei Proci, che Tiresia invece gi| presagisce per arte divinatoria. L’indovino parla effettivamente al presente di come questi ‚divorano (κατέδουσι) i beni‛ (116), ma anche nella proposizione reggente usa il presente riferito al ritorno di Odisseo: ‚a casa trovi (δήεις) dolori‛ (115). Sembra trattarsi di un presente attualizzante riferito al futuro.

214 I vv. 119sg. riecheggiano parzialmente le esortazioni di Atena / Mente a Telemaco sulle modalità di

uccidere i Pretendenti nel caso Odisseo fosse morto (I 295sg.).

215 Cfr. Heubeck 1983, p. 269 (ad XI 104-15). Sulla possibilit| che l’importanza di tale tappa sia legata alla sua

antichità rispetto alla formazione del mito, che nella sua forma più antica avrebbe incluso esclusivamente Creta, la Trinachia e la Tesprozia cfr. West 1981, pp. LXXXIII-XC. Non a caso la Trinachia è menzionata anche nel falso racconto a Penelope (Od. XIX 273-77).

proemio vero e proprio dell’Odissea segue un gruppo di versi (I 11-21) che ricapitolano

alcuni antefatti e delineano la situazione in cui il poema ha inizio in medias res: si fa

riferimento, tra le altre cose,

216

al desiderio del νόστος agognato da Odisseo (I 13 ~ XI 100),

al fatto che ‚quando il tempo arrivò... / nel quale gli dei stabilirono che a casa tornasse / ad

Itaca, neanche a loro fu salvo da lotte / persino tra i suoi‛

217

(I 16-9 ~ XI 115-20), all’ira di

Poseidone contro di lui (I 20sg. ~ XI 101-3).

218

1.4.2.2. Istruzioni per l’ultimo viaggio di Odisseo (vv. 121-134)

L’indovino prosegue poi indicando a Odisseo la maniera per placare la collera di

Poseidone. Sembra forse incoerente che, essendosi Odisseo recato a chiedere ‚la via e la

lunghezza del viaggio / e il ritorno, come andrai sul mare pescoso‛ riceva ordine

dall’indovino di imbarcarsi in un secondo viaggio e compiere pratiche di espiazione

necessarie al ritorno dopo che in patria sarà già tornato.

219

Le parole del μάντις sembrano

mirare però al fine ultimo del poema: il ritorno della pace nella casa di Odisseo che sarà

possibile solo dopo la riconciliazione con il dio adirato.

220

Tale seconda sezione è una prolessi iussiva all’infinito pro imperativo (121: ἔρχεσθαι;

132: ἀποστείχειν ἕρδειν τε). Il primo verso (121) lega sintatticamente la proposizione

conclusiva della sezione precedente (119sg.) che dipende da ἔρχεσθαι nella forma di una

subordinata temporale. La formulazione è quella di un ‚comando condizionato‛

preceduto da clausola condizionale-relativa (e quando... allora... + imperativo‛: αὐτὰρ

ἐπὴν... ἔρχεσθαι δὴ ἔπειτα...). La continuità sintattica tra le due sezioni fa supporre che il

poeta non percepisse un sostanziale distacco tra prolessi interna ed esterna: non sappiamo

infatti se nella sua redazione originaria tale vaticinio prevedesse un testo dell’Odissea

analogo a quello attuale e terminante con il ritorno ad Itaca.

La sezione in questione costituisce una prolessi esterna, il cui reale compimento

esula dalla narrazione del poema. Il senso della pratica di espiazione era chiaro già ai

commentatori antichi: il massimo onore che Odisseo possa tributare al dio del mare è

recarsi a portare il suo culto fin nell’entroterra, presso popoli che non conoscano il mare, le

navi, il sale né tantomeno Poseidone.

221

Non è facile, da un responso tanto generico e

talvolta oscuro, capire a quale mito, né a quali uomini ‚che non conoscano il mare‛ e a

quale realtà geografica Tiresia si riferisca. Gli antichi sembrano avere avuto tuttavia

opinioni precise in merito. Uno scolio chiosa il v. 122 εἰς ὅ κε τοὺς ἀφίκηαι+ εἰς βυνίμαν ἥ

216 I versi introduttivi menzionano anche la prigionia presso Calipso perché quella è la situazione contingente

in cui si trova Odisseo al principio del poema. Dal punto di vista di Tiresia essa poteva non consistere invece in una tappa significativa. Ciò nonostante è possibile che il veggente vi faccia allusione (I 14sg. ~ XI 114: ὀψὲ κακὦς νεῖαι).

217 Od. I 16-9: ἀλλ΄ ὅτε δὴ ἔτος ἦλθε... / τ῵ οἱ ἐπεκλώσαντο θεοὶ οἶκόνδε νέεσθαι / εἰς Ἰθάκην͵ οὐδ΄ ἔνθα

πεφυγμένος ἦεν ἀέθλων / καὶ μετὰ οἷσι φίλοισι.

218 Cfr. Sbardella 2012, pp. 202sg.

219 Cfr. Cerri 2002 b, pp. 166sg., si veda in proposito il raffronto con le prescrizioni di Proteo a Menelao, infra

p. 89 e n. 293

220

221 Cfr. Schol. V Hom. Od. XI 121 (II 486, 3sg. Dindorf): ἔρχεσθαι δὴ ἔπειτα] ἵνα κἀκεῖνοι (scil. gli uomini che

εἰς Κελκαίαν.

222

Delle due località in questione, Kelkea non è altrimenti nota,

223

ma l’altra,

nonostante i probabili errori di trascrizione della tradizione scoliastica, può essere

identificata con Bunima, città epirotica al confine con la Tinfea, ricordata esplicitamente

come fondazione di Odisseo da Stefano di Bisanzio (Ethn. 182. 9-11), che ne ricollega per di

più la toponomastica al sacrificio del bue.

s.v. Βούνειμα: πόλις Ἠπείρου... κτίσμα Ὀδυσσέως, ἣν ἔκτισε πλησίον Σραμπύας, λαβὼν χρησμὸν

ἐλθεῖν πρὸς ἄνδρας "οἳ οὐκ ἴσασι θάλασσαν". βοῦν οὖν θύσας ἔκτισε.

s.v. Βούνειμα: citt| dell’Epiro... fondazione di Odisseo, che la fondò vicino a Trampia, avendo ricevuto

un oracolo che gli ordinava di recarsi presso uomini ‚che non sanno del mare‛. Sacrificato dunque un bue, la fondò.

Βούνειμα (‚pascoli‛) sembra un toponimo perfettamente adatto ad una localit| agro-

pastorale i cui abitanti non conoscano la navigazione e gli Epiroti saranno identificati con

gli ‚uomini che non sanno del mare‛ omerici ancora da Pausania.

224

Il mito cui la profezia sembra alludere è narrato per esteso nell’Epitome Vaticana

della Biblioteca dello Pseudo Apollodoro:

θύσας δὲ Ἅιδᾙ καὶ Περσεφόνᾙ καὶ Σειρεσίᾳ, πεζᾜ διὰ τᾛς Ἠπείρου βαδίζων εἰς Θεσπρωτοὺς παραγίνεται καὶ κατὰ τὰς Σειρεσίου μαντείας θυσιάσας ἐξιλάσκεται Ποσειδὦνα. ἡ δὲβασιλεύουσα τότε Θεσπρωτὦν Καλλιδίκη καταμένειν αὐτὸν ἠξίου τὴν βασιλείαν αὐτ῵ δοῦσα. καὶ συνελθοῦσα αὐτ῵ γεννᾶ Πολυποίτην. γήμας δὲ Καλλιδίκην Θεσπρωτὦν ἐβασίλευσε καὶ μάχᾙ τὦν περιοίκων νικᾶ τοὺς ἐπιστρατεύσαντας. Καλλιδίκης δὲ ἀποθανούσης, τ῵ παιδὶ τὴν βασιλείαν ἀποδιδοὺς εἰς Ἰθάκην παραγίνεται, καὶ εὑρίσκει ἐκ Πηνελόπης Πολιπόρθην αὐτ῵ γεγεννημένον.

Dopo aver offerto sacrifici ad Ade, Persefone e Tiresia, Odisseo attraversa a piedi l’Epiro e giunge fra i Tesproti dove, secondo la profezia di Tiresia, offre sacrifici per placare Poseidone. Regina dei Tesproti era allora Callidice, che lo pregò di restare, offrendogli il regno. Unendosi a lui, genera Polipete. Dopo il matrimonio con Callidice, Odisseo regnò sui Tesproti e sconfisse i popoli confinanti che gli avevano mosso guerra. Quando Callidice muore, Odisseo lascia il regno al figlio, e torna a Itaca dove trova che Penelope gli ha generato un figlio, Poliporte.225

L’avventura tesprotica di Odisseo era narrata nella Telegonia ciclica

226

e probabilmente in

un non meglio noto poema intitolato Tesprotide, menzionato da Pausania.

227

È difficile

222 Schol. H Od. XI 122 (II 486, 5 Dindorf). Cfr. anche Eusth. ad Od. (XI 120), 1675, 36 ed. Rom. = I 402, 27sg.

ed. Lips.: οἱ δὲ παλαιοὶ καί τινων τοπικὦν ὀνομάτων βαρβαροφώνους δούπους ἱστοροῦσι, Βουνίμαν λέγοντές τινα ἥ Κελκέαν, ἐν οἷς Ὀδυσσεὺς τὸν Ποσειδὦνα ἐτίμησε.

223 Per via epigrafica è nota la sola epiclesi di Artemide Κελκαία, riferibile forse ad area peloponnesiaca o

epirotica. Cfr. Oberhummer s.v.: ‚Kelkaia‛ in RE I 1, 1921, col.147.

224 Paus. I 12, 5: Πύρρον< τούτων ἐναντία ἐπήρθη ναυμαχᾛσαι τοῖς Ἠπειρώταις χρώμενος, οἳ μηδὲ

ἁλούσης Ἰλίου θάλασσαν οἱ πολλοὶ μηδὲ ἁλσὶν ἠπίσταντό πω χρᾛσθαι. μαρτυρεῖ δέ μοι καὶ Ὁμήρου ἔπος ἐν Ὀδυσσείᾳ· ‚...οἳ οὐκ ἴσασι θάλασσαν / ἀνέρες, οὐδέ θ᾽ ἅλεσσι μεμιγμένον εἶδαρ ἔδουσιν‛. Cfr. Tzetz. ad Lyc. Alex. 815 (262, 25 Scheer) e infra n. 253.

225 Apollod. Ep. VII 34-5.

226 La sezione finale dell’Epitome di Apollodoro sembra in effetti riprendere il Ciclo (cfr. infra p. 110 e n. 6).

Sulle rispondenze tra la profezia di Tiresia e la Telegonia cfr. cap. 2.7.

227 Paus. VIII 12, 5-6 attribuisce ‚al poema chiamato Tesprotide‛ la tradizione (menzionata pure da

Apollodoro) per cui Penelope avrebbe partorito in assenza di Odisseo Ptoliporte. Debiasi (2004, p. 254) ipotizza in tal senso un’identificazione con il primo dei due libri in cui a detta di Proclo (Chrest. 306sg. Sev. =

stabilire se la tradizione in questione fosse già nella mente del poeta della Nekyia o se

viceversa si tratti di una variante seriore creata proprio sulla base del testo omerico. In

ogni caso pare che il vaticinio sottintenda il mito di fondazione di un culto e di un centro