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Evoluzione della disciplina in Italia in attuazione delle Direttive europee

5. Le condizioni di liceità

5.1 Profili general

Come abbiamo visto, il legislatore, mediante d.lgs. 67/2000, non si è limitato ad introdurre la definizione di pubblicità comparativa, ma ne ha stabilito le condizioni di liceità54. Ricordiamo

che la nozione di pubblicità comparativa, intesa come “qualsiasi

pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente” è comprensiva di tutte le

fattispecie di questa forma di comunicazione. In particolare, per comparazione “in modo esplicito” dovrebbe intendersi quella diretta o

per relationem, per comparazione “in modo implicito” quella indiretta

o superlativa55. Appurato ciò, possiamo individuare quali siano le

54 L’art. 3 bis inserito con il d.lgs. 67/2000 recita: <<Per quanto riguarda il

confronto, la pubblicità comparativa e' lecita se sono soddisfatte le seguenti condizioni: a) non e' ingannevole ai sensi del presente decreto; b) confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi; c) confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi; d) non ingenera confusione sul mercato fra l'operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell'operatore pubblicitario e quelli di un concorrente; e) non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente; f) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione; g) non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti; h) non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati>>.

Come accennato in precedenza, questi requisiti sono ad oggi confermati dall’art. 4 del d.lgs. 145/2007.

55 FUSI-TESTA-COTTAFAVI in Le nuove regole per la pubblicità comparativa,

Christian Marinotti s.r.l., Milano, 2000, pag. 106 ss. Affinché possano essere applicate le condizioni di liceità previste dalla legge statale e dal codice di autodisciplina, è necessario tenere a mente quale sia la soglia minima entro cui si possa parlare di pubblicità comparativa. Poiché non è sufficiente un’esaltazione generica a fini promozionali, non possiamo includere in questa definizione la magnificazione generica o iperbolica, ma non vi è dubbio che anche la superlazione relativa o l’affermazione di primato possano costituire delle fattispecie comparative. Infatti, come le altre, queste ultime possono: costituire “un mezzo legittimo per

informare i consumatori nel loro interesse” (5ºconsiderando direttiva 97/55/CE);

contribuire “a mettere oggettivamente in evidenza i pregi dei beni e servizi

comparabili” e a “stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori” (2º considerando); quindi, rientrare nel “concetto

condizioni che una simile pubblicità debba rispettare per essere lecita. Prima di analizzare i singoli requisiti, però, merita precisare che:

- il confronto è elemento costitutivo dell’advertising comparativo. Infatti, l’art. 3 bis stabilisce le condizioni necessarie “per quanto riguarda il confronto”, affinché la pubblicità comparativa sia lecita56.

- le condizioni di liceità di cui all’art. 3 bis del novellato d.lgs. 74/92 non devono essere interpretate come eccezioni ad un divieto generale di comparazione. Al contrario, esse costituiscono dei presupposti in mancanza dei quali la pubblicità comparativa, in generale lecita, deve considerarsi illecita57. Le condizioni sono cumulative, devono essere rispettate contemporaneamente, ed è sufficiente la violazione

generale di pubblicità comparativa” elaborato dal d.lgs. 67/2000 in attuazione del 6º

considerando della direttiva 97/55/CE. Inoltre, ad esse sarebbero applicabili le condizioni di liceità stabilite al fine di determinare “quali prassi in materia di

pubblicità comparativa possono comportare una distorsione della concorrenza, svantaggiare i concorrenti ed avere un’incidenza negativa sulla scelta dei consumatori” (in attuazione del 7º considerando della medesima direttiva):

56 In attuazione di quanto disposto nel 7º considerando della direttiva 97/55/CE. E’

grazie al confronto e non all’identificazione del concorrente che possono essere messi in evidenza i pregi dei vari prodotti e che i consumatori possono essere informati. Inoltre, se per poter parlare di pubblicità comparativa fosse sufficiente la mera menzione o riconoscibilità del concorrente e non fosse indispensabile la comparazione, si dovrebbe parlare non di advertising comparativo, ma di pubblicità su conto altrui. In realtà, la pubblicità comparativa è solo una specie di pubblicità su conto altrui e il d.lgs. 67/2000 ha voluto riferirsi solo a questa specifica categoria.

57 AUTERI, in La pubblicità comparativa secondo la direttiva 97/55/CE, in Contr. e

Imp. Eu., 1998, pag. 601 ss., al contrario, sosteneva che la pubblicità comparativa

fosse, in generale, vietata. Questa tesi, tuttavia, può essere confutata considerando: l’inesistenza di un divieto generale di comparazione nel nostro ordinamento (che peraltro dovrebbe essere, invece, garantita dall’art. 41 Cost. e, secondo alcuni, dall’art. 21 Cost.); la liceità dell’individuazione/individuabilità dei concorrenti, salvo i casi di usurpazione, confusione o comportamento parassitario (come risulta anche dalla disciplina sui segni distintivi e la concorrenza sleale); il divieto nei confronti delle notizie o apprezzamenti denigratori, e la differenza tra comparazione e denigrazione; le condizioni di liceità stabilite proprio per limitare un comportamento in linea di principio lecito, includendo regole previste in generale per l’attività concorrenziale, in generale lecita. Inoltre, anche il nuovo art. 15 C.A.P. conferma la liceità della comparazione. Per questi aspetti si richiama l’approfondimento svolto nei precedenti paragrafi 2, 3, 4.

di un requisito perché la comunicazione in questione sia illecita58.

Il primo appunto è importante per stabilire la differenza tra ciò che è comparativo e ciò che non lo è, e, di conseguenza, per individuare l’oggetto dell’applicazione delle condizioni di liceità. L’esistenza di un confronto e la verifica del rispetto delle suddette condizioni sono, perciò, due aspetti tra loro collegati. Non deve essere dimenticato, inoltre, che il confronto può riguardare non solo beni o servizi, ma anche le imprese (modalità di gestione, affidabilità ecc.).

Le condizioni di liceità sono otto (di cui cinque dettate attraverso una formula in positivo e tre in negativo), rappresentano il frutto di un compromesso raggiunto tra i sostenitori e i detrattori della pubblicità comparativa e sono state definite come “una pregevole

sintesi delle opposte fazioni”, nonché “il fulcro fondante della riforma comunitaria”59. L’elenco di cui all'art. 3 bis è eterogeneo e contiene: divieti generali già esistenti (non ingannevolezza, non confusione, non denigrazione); requisiti specifici della comparazione (omogeneità dei beni, obiettività del confronto); regole presenti in materie distinte dalla concorrenza (denominazioni d’origine)60. E’ opportuno sottolineare,

58 L’ 11º considerando della direttiva 97/55/CE, infatti, sottolinea che “le condizioni

della pubblicità comparativa devono essere cumulative e soddisfatte nella loro interezza”.

59 Così, OLIVIERO in La pubblicità comparativa con casi risolti, Maggioli Editore,

2013, pag. 38.

60 Il richiamo ai presupposti, modalità e oggetto del confronto da una parte e principi

e regole generali dall’altra è presente anche nel nuovo art. 15 C.A.P. Infatti, il c.1 parla di comparazione “utile ad illustrare sotto l’aspetto tecnico ed economico

caratteristiche e vantaggi di beni e servizi utilizzati” e, successivamente, richiama i

presupposti e le modalità oggetto del confronto sanciti anche dal decreto (confronto obiettivo, su caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative di beni o servizi che soddisfano uguali bisogni o perseguono gli stessi obiettivi); il c. 2 ricorda le regole secondo cui la comparazione deve essere leale, non ingannevole, non deve generare rischi di confusione, non deve essere denigratoria e non deve trarre un vantaggio indebito dall’altrui notorietà. Secondo il Giurì 2/2000, inoltre, lo speciale art. 15 sarebbe direttamente applicabile senza dover richiamare le regole generali e sono da considerarsi applicabili anche le norme sulle denominazioni d’origine e la presentazione di un prodotto come imitazione di un altro (contenute nel decreto e nella direttiva 97/55), anche se non espressamente richiamate. Quindi, la disciplina statuale coinciderebbe con quella autodisciplinare (aspetto già sottolineato nel par. 3 v. supra).

altresì, che, sebbene i requisiti possano interagire tra loro (ad es., un messaggio ingannevole sarà sicuramente non obiettivo) e sia possibile un cumulo di violazioni (per ipotesi, un messaggio che evidenzi solo gli svantaggi del prodotto del concorrente sarà non obiettivo, ingannevole e denigratorio) ciascuna delle condizioni previste è autonoma e la violazione di un singolo requisito determina l’illiceità della pubblicità.

Un’ultima precisazione deve essere fatta in riferimento alle eccezioni che si possono configurare rispetto alle condizioni di liceità. Come sappiamo, l’obiettivo del legislatore comunitario era quello di realizzare un regime uniforme tra gli Stati membri per consentire e favorire la pubblicità comparativa e, in linea di principio, essi non avrebbero potuto stabilire confini più ampi o più ristretti entro i quali ammetterla. Tuttavia, la liceità dell’advertising comparativo, anche nel rispetto di queste condizioni, non è assoluta, ma esistono delle deroghe, stabilite dal legislatore europeo e da quello italiano, che, vietando la pubblicità di alcuni prodotti (farmaci etici, prodotti da fumo ecc.), ne escludono anche la comparazione61.

61 La direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, agli artt. 7-8,

lasciava agli Stati membri la possibilità di imporre dei divieti per prodotti specifici o particolare mezzi di comunicazione, per alcuni beni o servizi e per i servizi professionali. Essendo la non ingannevolezza un requisito della pubblicità comparativa è ovvio che la disciplina della pubblicità ingannevole inciderà anche su di essa. In particolare, in Italia sono state introdotte delle disposizioni particolari agli art. 5-6 del d.lgs. 67/2000 per i <<prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori>> e a quelle destinate ai bambini o adolescenti e che impiegano bambini o adolescenti. Ad oggi, queste disposizioni sono state confermate dagli artt. 6-7 del d.lgs. 145/2007 che, rispettivamente, recitano:

- art. 6: “É considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti

suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che essa raggiunge, omette di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza.” La disposizione impone un obbligo

informativo, a carico degli operatori pubblicitari, per: prodotti che pur non essendo di per sé pericolosi potrebbero diventarlo se utilizzati trascurando le normali regole di prudenza o vigilanza; prodotti la cui pericolosità è connessa all’uso normale e tipico del prodotto o con quello per il quale il prodotto è pubblicizzato. Restano esclusi i rischi derivanti da un utilizzo improprio del bene o da quello di prodotti notoriamente pericolosi.

- art. 7 c. 1: “É considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi