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progettazione di processi inclusivi e di reinserimento rivolti a soggetti in esecuzione di pene e misure limitative della libertà

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 149-152)

Giuseppina Boeddu

Direttore Ufficio Locale Esecuzione Penale Esterna, Nuoro Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, Ministero della Giustizia

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Il sistema delle esecuzione delle pene in Italia è figlio di un'evoluzione che a partire da un'impostazione retributiva della pena si è modificato in ri-educativo riabilitativo e, ultimamente, parrebbe tendere verso un'impostazione riparativa, impostazione che crea una connessione valoriale tra il reo e la comunità, che grazie a comportamenti ed attività di restituzione del primo a beneficio della comunità, intesa in senso ampio, si può eccepire attraverso la scelta del reo di dare un contributo concreto, la volontà di questo a voler intraprendere condotte socialmente positive modificando, quindi, comportamenti e scelte devianti.

Questo legame tra persona condannata e comunità, seppur già presente nell'Ordinamento Penitenziario del 1975, trova una sua espansione e ridefinizione con le recente riforma Orlando che a partire dall'emanazione della L.67/2014 - sospensione del processo penale e messa alla prova per gli adulti- pone la comunità stessa come teatro privilegiato dell'esecuzione penale, all'interno della quale le pene, le misure (compreso il probation con la messa alla prova) e sanzioni devono potersi realizzare in un dialogo di senso e contenuto definito con una attenzione ai componenti: persona, sistema penale/probation, comunità, vittima. La pena, quindi, diventa da diretta e centrata sul reo a centrata sul reo e diretta verso la comunità e la vittima, coinvolgendo questi due attori fondamentali, non solo nella definizione di attività riparatorie, ma anche e soprattutto nella fase di riflessività e revisione, propedeutica e necessaria per la persona perché ci sia il passaggio di reificazione del fatto reato compiuto.

Il servizio sociale rimane, come già definito a partire dall'O.P. del 1975 – norma nella quale si creano i Centri di Servizio Sociale per Adulti, oggi Uffici di Esecuzione Penale Esterna- , principale protagonista di attività professionali volte a raggiungere le finalità individuate dal legislatore, che a partire dalle esperienze fatte in ambito minorile, ha costruito nel tempo una definita metodologia dell'intervento all'interno delle codifiche etiche e metodologiche tipiche della disciplina del servizio sociale. La centralità del professionista di servizio sociale si esplica in un quadro pluri- professionale, all'interno del quale le altre figure professionali previste dalla norma, completano e arricchiscono il lavoro con e per le persone, in un'ottica di complementarietà e utilizzo efficace dalle diverse prospettive disciplinari.

La tensione professionale parte sempre dalla centralità della persona - peraltro sempre richiamata dal sistema etico, nazionale e sovranazionale – e si pone come punto di partenza a seguito del quale tutti gli interventi sia quelli diretti, sia quelli indiretti (costruzione di reti di sostegno, interventi con altri servizi..) devono essere definiti sulla specifica situazione, con la persona attiva nella definizione e costruzione di processi inclusivi.

150 La dimensione dell'intervento che parte sempre da una dimensione individuale, ma che può realizzarsi anche nelle forme plurali come quella di gruppo e di comunità, non prescinde da un momento di condivisione in quelle che sono le fasi conoscitiva, valutativa ed operativa. La persona condannata o imputata - come nel caso della messa alla prova- deve poter fare le proprie valutazioni sull'adeguatezza della conoscenza sulla sua storia personale-familiare-sociale che l'operatore ha costruito, sull'adeguatezza delle ipotesi valutative dell'operatore e, infine, sul percorso riabilitativo e inclusivo e le attività a questo necessarie.

Il principio etico fondamentale, del rispetto della persona, deve essere richiamato soprattutto nei confronti delle persone condannate, in virtù della limitazione della libertà che potrebbe rendere soggiacenti a scelte altrui, per una confusa idea che la limitazione della libertà personale coincida con una limitazione del diritto di scegliere il proprio percorso di recupero.

Preliminare appare, quindi, l'attenzione al contesto prescrittivo in cui si apre la relazione d'aiuto, sia della persona in carcere, sia in libertà. Si tratta di operare perché da un contesto che non lascia al libero arbitrio della persona se espiare una pena/misura, oppure no, si intraveda e si possa costruire quello spazio adeguatamente strutturato in cui la persona scelga di collaborare e di farsi parte attiva in tutte le fasi nel processo d'aiuto. Significa riportare con prassi metodologica la centralità della persona con la quale va costruito un contesto collaborativo e nel quale viene condiviso il contenuto del come e attraverso quali passi realizzare il percorso, all'interno della cornice giuridica che ne definisce il titolo, i limiti e le possibilità della forma in espiazione.

La struttura metodologica dell'attività del servizio sociale, si definisce secondo il metodo scientifico del servizio sociale che nella sua particolare composizione processuale in fasi, consente al professionista di applicare in termini di coerenza gli interventi e le attività necessarie; a questo l'operatore affianca una possibile scelta di un modello interpretativo ed operativo (es: psicodinamico, sistemico) del quale applica tecniche e strumenti, all'interno della propria pratica professionale.

La necessità che nell'operatività del servizio sociale della giustizia, vi debba essere un rigoroso rispetto del metodo, lo si può evincere indirettamente, andando ad analizzare quelli che sono i risultati dell'attività condotta, attraverso l'analisi della recidiva, elemento che indirettamente può essere utilizzato per la valutazione ex post dell'attività effettuata dagli UEPE. Le ricerche finora condotte – se ricorda Santoro E., Tucci R., 2006; Leonardi F., 2007- , dimostrano infatti che i tassi sulla recidiva delle persone che espiano le pene in misura alternativa, sono intorno al 20% versus il 60% delle persone che espiano le pene all'interno del carcere. Tra i vari elementi che non possono qui essere trattati, vi è il lavoro con la persona e con il contesto comunitario che accoglie la persona. E' un lavoro che parte dalla persona e che si sostanzia in uno dei principali interventi del servizio sociale quale la consulenza psico- sociale, attività essenziale per portare all'evidenza quelle dimensioni problematiche che si presentano come ostacoli a realizzare condizioni favorevoli allo sviluppo armonico della persona, in tutte le sue componenti. La consulenza psico-sociale rappresenta uno dei più complessi interventi, ma è ciò che sostanzia e garantisce un'attività utile a definire processi di consapevolezza e – nella migliore delle ipotesi- di cambiamento. Rappresenta l'intervento necessario per ipotizzare il contenuto del trattamento intra ed extra murario, e consente di costruire non solo con la persona, ma con tutto il contesto esterno, famiglia e comunità, quali azioni ed attività possono creare reali condizioni di reinserimento e inclusione, passando da percorsi di consapevolezza e auto-determinazione.

151 condannata/imputata è il lavoro con la comunità, da sempre presente nell'intervento nel servizio sociale, sia come dimensione in sé, sia come attore con il quale si strutturano collaborazioni per favorire percorsi inclusivi. A testimonianza di questo si può osservare la capacità degli Uffici Epe nell'attuare in tempi brevi la norma della messa alla prova, all'indomani della sua entrata in vigore. Relazioni da sempre costruite e strutturate nelle forme più adeguate con il territorio, hanno trovato il terreno favorevole perché si potessero realizzare esperienze di giustizia di comunità. La norma ha consentito di portare alla luce in modo formale, quella capacità di costruire relazioni e scambi non solo con i servizi rivolti alla persona, ma con il volontariato, con le aziende e cooperative del terzo settore. Le esperienze operative anche dell'ULEPE di Nuoro raccontano uno scenario in cui si sono realizzate una serie di possibilità progettuali, anche nella dimensione di gruppo dove la comunità ha un ruolo protagonista che cura parti del trattamento delle persone in carico all'ufficio. Si porta l'esempio dell'attività di gruppo “T.E.R.R.A“ realizzato con la collaborazione del Servizio Territoriale Ispettorato Ripartimentale di Nuoro rivolto a soggetti condannati-imputati di reati ambientali e del progetto di formazione “LICANZAS” rivolto a giovani affidati in prova al servizio sociale, realizzato con la coop. Lariso che ha consentito la formazione di base come aiuto cuoco e che si è concretizzata nell'offerta lavorativa dei soggetti coinvolti.

152 Sabato 15 Giugno 2019 ore 10:30-13:30, aula Cossiga

Sessione III.2 – DINAMICHE INDIVIDUALI E SOCIALI DEI PERCORSI DI REINSERIMENTO DOPO LA DETENZIONE

Relaz. III.2.4 - Obiettivo inclusione sociale: come e quanto

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 149-152)

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