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Relaz II.1.3 Il diritto di abitare Spazi e dignità in carcere

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 77-79)

Marella Santangelo

Delegata del Rettore per il Polo Universitario Penitenziario Università di Napoli Federico II

msantang@unina.it

La privazione della libertà personale trova nel carcere il luogo della sua esecuzione, ci sono si altre forme ma è ben noto che il carcere rappresenta la più compiuta e accettata dalla collettività, forma di esecuzione della pena, nonché in molti casi di luogo di attesa della stessa. Il carcere è uno spazio chiuso, delimitato, recintato, uno spazio sommatoria di molti spazi, che si presenta dall’esterno come un unico, spesso enorme, spazio di vita, all’interno del quale si trascorrono periodi molto lunghi, talvolta lunghi un’intera vita.

Il detenuto abita questi spazi, che divengono i luoghi della quotidianità, in una forma di abitare coatto, imposto, l’abitare il carcere è la pena, l'abitare senza possesso e senza libertà, caratterizzato anche dalla forzata condivisione di spazi minimi; nella vita libera si abita da soli o con altri, ma se si abita con altri è perché lo si sceglie, o perché si appartiene alla stessa famiglia, o per scelta d'amore, o d'amicizia; in carcere non puoi scegliere né se, né con chi vivere, un giorno si apre il “blindo” e o si entra dove già abita qualcuno sconosciuto, o vi entra uno sconosciuto. Non c'è forma di abitare più estrema, perché costretta in tutti i suoi aspetti, perché conseguenza di azioni sbagliate quindi punitiva, perché – come molti che vivono questa esperienza raccontano – non immaginabile prima di “entrare dentro”.

In questa forma lo spazio diviene esso stesso la rappresentazione di un'idea della pena, e le situazioni di privazione della libertà finiscono con il coincidere con un insieme di restrizioni che vanno al di là del contenuto intrinseco della pena, cioè la privazione della libertà. Il principio diviene quello per il quale la privazione della libertà non è la “condizione” per la pena, ma ne è il “contenuto”. Questo principio fondamentale mette ulteriormente in luce quanto l'assenza dell'architettura nel progetto delle carceri, che implica l'assenza di qualità degli spazi, possa pesare sulla quotidianità e sul destino dei detenuti. Lo spazio ha e deve avere un ruolo centrale nel processo rieducativo, vero campo di applicazione della pena, tenendo sempre al centro il dettato costituzionale secondo il quale «niente può mai autorizzare lo Stato a togliere, oltre alla libertà, anche la dignità e la speranza».

Lo spazio interno del carcere è dunque il luogo dell'abitare, si configura come un insieme di spazi interni al recinto che devono assolvere innumerevoli ruoli, devono essere interno e esterno, luoghi della estrema privacy e della totale condivisione, del lavoro e dello studio, dello sport e della preghiera. Lo spazio di per sé presuppone un'esperienza relazionale; lo spazio tra le cose è logos, relazione, connessione. Lo spazio è in sé corporeo uno stato della materia in cui siamo immersi, la sua “formalizzazione” si ha attraverso la sua stessa limitazione con gli elementi murari. E' dunque lo spazio per l'architettura oggetto reale nel quale il corpo dell'uomo si muove, misura, sente. Lo stato degli spazi carcerari italiani mostra lo sfacelo di un sistema malato, il disinteresse verso i soggetti reclusi, verso la loro sorte, per la loro dignità di persone. Il tema centrale attorno al quale ruota l'emergenza carceraria italiana è quello della carenza o mancanza di spazi per ospitare la popolazione detenuta, ma altrettanto spaventosa è l'inadeguatezza degli istituti in funzione, molti

78 dei quali operanti in strutture inappropriate e fatiscenti, talvolta nate con altra destinazione d'uso e riadattate a carcere.

Come ha detto in un'intervista Alessandro Margara: «Il carcere ha cambiato faccia. Quando in un istituto costruito per 400/500 persone vivono in mille, non è più ragionevole parlare di rieducazione o reinserimento. Tutto si ferma. L'unica attività possibile è il contenimento. Non ho nessuna difficoltà a dire che il carcere ormai è un luogo illegale. [...] La detenzione infatti comporta il massimo dell'esclusione sociale, tarpa ogni possibilità di reazione e provoca, in chi si trova a subirla, un’incapacità a comprenderne il senso».

Lo spazio, contrappeso della forma, riflette l'interiorità, rispetto all'architettura ne mette in evidenza i caratteri topologici, esperienziali e finalmente d'uso. Lo spazio, la cui percezione “dentro” è assolutamente diversa, è uno spazio sempre circoscritto e definito all'interno del quale si passano giorni, mesi, anni; i passi che misurano le distanze assumono diverse unità di riferimento, lo spazio è definito, reiterato, nelle misure e nella qualità; questo diviene la misura del percorso quotidiano della vita in galera, le celle, gli spazi comuni, i luoghi del lavoro, l'esterno anch'esso circoscritto dell'ora d'aria.

Luoghi privi di qualità si specificano attraverso le attività che vi si possono svolgere o attraverso l'immobilità della costrizione; così la pazienza diviene esercizio a cui l'uomo ristretto deve approdare per sopravvivere ad un nuovo regime, l'uomo privato della libertà entra d’altronde in un sistema di vita altro, in cui nulla è più lasciato alla propria libera scelta, il rapporto dentro/fuori che è fisico, per chi vive in regime di restrizione, è nella stessa misura mentale.

Lo spazio del carcere è costruzione fisica, materiale, concreta, tangibile di un coacervo di sensazioni, di sentimenti, di desideri, di “mancanze”, di dolore psicologico e fisico, laddove ogni istante del sentire e ogni sua sfaccettatura sono ampliati a dismisura, in una dimensione temporale e spaziale che è fatta sempre e solo di “ripetizione”. Attraverso l'architettura e lo spazio è possibile rendere visibili gli uomini invisibili, ripensare la vita costretta e, al contempo, la separazione dal fuori, fuori non si va, il fuori non si vede e non si sente, è all'interno che l'architettura ha il compito di definire e realizzare uno spazio degno di una vita seppur ristretta, di sperimentare nuove forme di socializzazione, di elaborazione, dove innescare processi concreti di rigenerazione. La disciplina dell’architettura ha ancora enorme potere di dare concretezza e forma alle visioni e ai desideri dell’uomo, anche di coloro che sono stati più sfortunati, di diventare uno dei medium formali e creativi nell’iter di modificazione della realtà all’intorno, ma anche nelle ipotesi e nelle sperimentazioni di condivisione di luoghi, azioni e vite.

79 Venerdì 14 Giugno 2019 ore 16:00-19:00, aula Segni

Sessione II.1 - DIRITTI E DOVERI IN CARCERE

Relaz. II.1.4. - Tutela dei diritti dei detenuti: il ruolo

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 77-79)

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