• Non ci sono risultati.

responsabilità sociale in un’ottica di giustizia riparativa

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 163-167)

Laura Boy

Responsabile di Area II^ - Misure e sanzioni di Comunità Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna, Cagliari Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, Ministero della Giustizia

laura.boy@giustizia.it

Una delle questioni più dibattute nella storia del diritto penale è quella che riguarda le funzioni della pena, fermo restando che in ognuno di noi tale concetto è associato quasi immediatamente ad un’idea di punizione o di un castigo inflitto a chi si sia reso responsabile di un fatto illecito. Tuttavia il punto di partenza per capire perché la pena sta assumendo, o potenzialmente può assumere, una connotazione differente, è l’attribuzione del significato della punizione in un’ottica non univoca, ma polivalente.

Questo significa che la pena è soggetta alle influenze che ci sono tra società, modello di Stato e fenomeno punitivo, ed assume sempre diversi significati, mai uno univoco.

Il sistema penale costituisce il fondamentale ed insostituibile strumento necessario ad assicurare la convivenza sociale e, di conseguenza, la pena deve essere intesa come il principale strumento di controllo sociale, anche se nel corso dei secoli e con il succedersi delle varie culture, ha subito un continuo mutamento in relazione alle esigente storico-culturali, sebbene la funzione rimane sempre quella di fornire una reazione ad una violazione ad una “norma”.

E’ agli inizi del XX secolo e in particolar modo dopo la seconda guerra mondiale, che prese corpo l’elemento di radicale innovazione rappresentato dal superamento della concezione prevalentemente retributiva della pena e dall’introduzione del principio di trattamento rieducativo e risocializzante del reo.

Lo spostamento dell’attenzione dal reato al reo è stato un cambiamento rilevante, dal quale presero spunto i modelli che tutt’oggi ispirano le politiche penali degli Stati Europei ed Occidentali, in quanto il paradigma riabilitativo ha introdotto l’assunto per il quale è impossibile punire se non c’è rieducazione. Si trattava, cioè, di fare in modo che, attraverso uno specifico trattamento, il condannato fosse in grado di tornare a vivere all’interno del contesto sociale di provenienza. Il principio innovativo senza dubbio maggiormente rilevante è stato la considerazione della pena come individualizzabile.

Gli assetti attuali dei sistemi penali e penitenziari nei paesi occidentali sono, quindi, finalizzati sia ad assicurare sicurezza alla collettività, sia a responsabilizzare l’autore di reato rispetto all’atto deviante compiuto. L’essenza della pena, attraverso le sue molteplici funzioni, si è delineata nella concezione moderna attraverso le funzioni di: retribuzione, relativamente all’azione antisociale posta in essere dal reo, attuata attraverso una riduzione della sfera giuridica del soggetto sotto il profilo della proporzione tra entità e tipo di pena e la gravità dell’offesa arrecata; preventiva, suddivisa in prevenzione speciale, percorso rieducativo per evitare che il soggetto ricada in futuro

164

nel reato, e preventiva generale, in cui la sanzione ha la funzione di prevenire i delitti mediante l’efficacia intimidatoria che le è inerente; infine, e soprattutto, rieducativa, che, come già detto, inquadra la pena in un’ottica di reinserimento del reo nella società, per favorire il progresso civile. Negli ultimi anni, in Europa, il modello di giustizia si sta orientando verso la riparazione e la

mediazione, nel tentativo di ricercare pene più efficaci. Tale nuovo approccio pone l’attenzione non

solamente alla sofferenza dell’autore di reato, ma, soprattutto, ai danni che interessano la persona offesa e la comunità. Il concetto di riparazione è strettamente connesso a quelli di rieducazione e riabilitazione, perché supera la logica del castigo e vede nel reato la causa della rottura di relazioni personali e sociali, in quanto l’offesa non è solo contro lo Stato, ma soprattutto nei confronti delle persone e della collettività.

La giustizia riparativa è un modello teorico di giustizia che si sposa con l’introduzione nel 2014, anche in Italia, della messa alla prova e che ha concretizzato il primo vero modello di Probation, inteso come sospensione del processo. Gli attuali modelli di riparazione stanno dando nuova vita al processo di rieducazione del reo, in quanto si vuole dare più spazio alla vittima, all’autore di reato ed alla comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso ed ha inoltre lo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e soprattutto la sicurezza della collettività.

Nel corso del tempo il legislatore italiano è più volte intervenuto in materia penitenziaria, spesso in riferimento a fonti riferibili all’ordinamento sovranazionale ed internazionale, oltre che a lavori normativi nazionali. Il percorso verso la riforma penitenziaria, ha trovato la sua concreta attuazione con la Legge n.354 del 1975 di “Riforma dell’Ordinamento Penitenziario” con cui si è data significativa attuazione al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, del rispetto della dignità umana, attraverso l’introduzione nel nostro sistema sanzionatorio delle misure alternative alla detenzione.

L’epocale introduzione nel nostro sistema penale delle misure alternative alla detenzione ha espresso il carattere rivoluzionario della legge, in quanto ha simboleggiato il superamento concreto del concetto meramente retributivo della pena, nonché il fallimento del monopolio detentivo nella prospettiva di risocializzazione del detenuto, per abbracciare una finalità rieducativa della pena, in accordo con il dettato Costituzionale in cui l’art.27 sancisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il termine “pena” declinato al plurale (pene) indica un orientamento volto a prevedere una pluralità di sanzioni che consentano di tenere conto della specificità e individualità del condannato, in una logica di personalizzazione del percorso rieducativo e risocializzante, che favorisca la piena espressione della personalità.

Il significato di ritorsione insito nel concetto di pena viene superato in relazione ad una chiave di lettura della devianza e della criminalità in termini di problematica sociale: è stata riconosciuta una corresponsabilità sociale al prodursi del reato che non investe solo le carenze di socializzazione, ma soprattutto le condizioni strutturali della vita sociale che creano spazi fertili per la vita criminosa. L’evoluzione normativa che sta portando l’Italia verso una maggiore caratterizzazione del

Probation nel nostro sistema penale, ha introdotto la recente Legge n.67 del 2014, che ha

impiantato anche per gli adulti l’istituto della “messa alla prova”.

Questa legge s’inserisce perfettamente nel percorso verso l’affermazione dell’esecuzione penale esterna come modalità rieducativa e come opportunità di reinserimento sociale. La legge si può inquadrare attraverso il tentativo di integrazione del principio di rieducazione con quello della

165

giustizia riparativa, in quanto, determina una sospensione del processo e quindi opera in un momento di pre-condanna e mira ad un’effettiva riconciliazione riparatoria con la parte offesa. Un’attenzione particolare nelle intenzioni del legislatore è stata dedicata alla vittima del reato, alla riparazione e alla mediazione penale, permettendo, così, all’istituto di inserirsi nel solco della giustizia riparativa, ossia di quel modello di giustizia più mite e meno repressivo, alternativo al processo e basato su un paradigma rieducativo, riabilitativo e conciliativo. In quest’ottica l’autore del reato non viene considerato solo il semplice destinatario passivo della sanzione penale, ma anche e specialmente il soggetto attivo nell’impegno all’eliminazione del danno patito dalla vittima. Lo svolgimento di attività a beneficio della collettività è un concetto cardine più volte avvalorato dal nostro Legislatore per rinforzare quel percorso rieducativo della pena sancito all’art. 27 comma 3 della Costituzione e ripreso dalla legge n. 354/75 che, all’art.47, prevede che il soggetto in regime di misura alternativa “si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato”. Tuttavia, non sempre tale vittima è contattabile o individuabile. Quando ciò non è possibile, l’agito antigiuridico commesso ed il “danno” causato deve essere in qualche modo “ripagato” alla società.

Le politiche dell’esecuzione penale hanno avviato un radicale mutamento di prospettiva che ha portato a concepire come prioritaria, rispetto alla detenzione in carcere, la risposta punitiva da scontare sui territorio.

In tale direzione si colloca la recente riforma del 2015 che istituisce il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità, creando un sistema di esecuzione penale di comunità finalizzato alla costruzione di un "probation system" in linea con gli standard europei in cui confluiscono misure che attenuano il ricorso al carcere, sia in fase di custodia cautelare che nella fase esecutiva della pena, riconducendo quest'ultimo ad effettiva “extrema ratio”.

L'evoluzione normativa e il processo di mutamento istituzionale in atto impongono, dunque, un ripensamento delle modalità di attuazione della collaborazione istituzionale tra il settore detentivo e quello delle pene di comunità.

Nel sistema penitenziario attuale le misure alternative alla detenzione rappresentano l’evoluzione dell’intero sistema dell’esecuzione penale, non solo ai fini deflattivi, ma soprattutto per dare completa attuazione al dettato Costituzionale.

In tale prospettiva il carcere smette di essere considerato come un'istituzione “terminale” in cui il condannato viene abbandonato a consumare passivamente la sua pena, senza che nulla possa modificare il suo stato, ma diventa una struttura cui è affidata un'azione attiva e tendenzialmente provvisoria in una fase dell'esecuzione penale. Quest'ultima può variare secondo il variare dei comportamenti e delle situazioni soggettive che si realizzano nel corso della pena con trattamenti penitenziari differenziati.

Il rapporto con la comunità diventa un elemento di fondamentale importanza nel sistema penitenziario nel momento in cui, si arriva a comprendere che la soluzione del problema va cercata in un ambito molto più ampio di cui la comunità stessa fa parte.

Un’etica del care basata sulla comunità, volta a reintegrare i rei sulla base dei loro diritti di cittadinanza, probabilmente riesce a favorire maggiori cambiamenti di lungo termine rispetto alla prospettiva secondo cui non si può recuperare nulla, una volta che una persona ha commesso un crimine. Il lavoro sociale, allora, deve mirare a stabilire relazioni di reciprocità in cui vengano presi in considerazione sia la responsabilità individuale sia quella sociale, per assicurare che le cause strutturali del crimine vengano affrontate al pari di quelle personali. In questo modo, gli interventi

166

di rieducazione si radicano nella nozione della giustizia sociale, in una giustizia che va oltre la condanna e la punizione di uno specifico comportamento deviante.

Nasce l’esigenza di elaborare risposte efficaci e costruire modalità operative che pongano le basi per nuove politiche sociali di sviluppo che assumano la dimensione della cooperazione come componente imprescindibile per promuovere lo sviluppo dei servizi per la comunità, col rafforzamento del proprio ruolo di advocacy.

Tale approccio metodologico di co-costruzione delle politiche sociali mira a perseguire la promozione dell’empowerment e del welfare generativo, con il coinvolgimento della società civile nei processi decisionali per facilitare lo sviluppo di politiche organiche sul territorio, per favorire la nascita d’idee e di strumenti operativi in una logica di collaborazioni o partenariati fra operatori dei servizi pubblici, privati, profit e no profit.

La sfida al cambiamento è rappresentata dal superamento di un orientamento settoriale e frammentario attraverso la partecipazione coordinata e sinergica di soggetti differenti e complementari per l’attuazione di progettualità congiunte in una logica di sistema. L’impostazione strategica di fondo si basa sulla partecipazione della società civile che è innanzi tutto soggetto attivo di cambiamento oltre che destinatario delle politiche di welfare.

In questo senso diviene necessario sostenere la naturale disposizione all’aiuto reciproco della comunità, del territorio e della società, attraverso l’attento ascolto ed il confronto tra le parti istituzionali e gli attori sociali, anche sulla scorta di significative esperienze, maturate in diversi contesti, per favorire lo scambio e il trasferimento di buone pratiche, volte ad incrementare e migliorare la qualità dei servizi.

Le attuali politiche sociali, consapevoli del ruolo cardine assunto dalla società civile, sono perciò orientate a riformare le modalità di rapporto della politica con la società, ridisegnando un nuovo sistema del welfare che ponga al centro la comunità, nella sua capacità di organizzarsi intorno ad un interesse comune e di sentirsi parte attiva e responsabile, ove il principio di sussidiarietà trovi concreata realizzazione tra l’agire dello Stato e quello delle formazioni intermedie. Un welfare mix delle opportunità, ove la produzione di beni e servizi destinati alla collettività sia garantita non esclusivamente dallo Stato ma da più soggetti, Istituzioni e non, che agiscano in situazione di complementarietà attraverso interventi co-progettati che promuovano le potenzialità della persona e della comunità.

La promozione dell’approccio partecipativo è volto a massimizzare le sinergie con il territorio e valorizzare la presenza consapevole della cittadinanza nel rapporto con le istituzioni locali con il fine di definire modelli d’intervento secondo schemi innovativi che permettano lo sviluppo di nuove modalità di partecipazione trasformativa e welfare generativo.

167 Sabato 15 Giugno 2019 ore 10:30-13:30, aula Mossa

Sessione III.3 – L'ATTIVITÀ DI REINSERIMENTO E INCLUSIONE DEGLI UFFICI EPE, DENTRO E FUORI IL CARCERE. TESTIMONIANZE E PROFILI OPERATIVI

Relaz. III.3.2 - La multiprofessionalità nell’incontro tra pretese

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 163-167)

Outline

Documenti correlati