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Relaz II.1.1 Povertà, diritto e diritti dei detenuti oltreoceano: lezioni americane

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 72-74)

Elisabetta Grande

Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze Politiche Economiche e Sociali Università del Piemonte Orientale

elisabetta.grande@uniupo.it

Negli Stati Uniti il diritto (nel senso di politiche legislative e giurisprudenziali) non solo si incarica di creare povertà, nonostante la crescente ricchezza del paese, ma provvede altresì a incarcerare le masse di poveri che ha creato, per modo da estrarre dal più debole due volte. Una prima volta consentendo il furto del ricco a danno del debole e la crescita non solo delle disuguaglianze, ma della povertà. Una seconda volta incarcerando il povero che nell’era del corporate capitalism diventa molto più redditizio se incarcerato, piuttosto che se lasciato in libertà. La mass incarceration, che prende significativamente l’avvio nel momento in cui vengono inaugurate le politiche legislative volte a creare povertà a vantaggio del ricco, non ha quindi per scopo solamente la sostituzione dello stato sociale con lo stato carceriere a fini di controllo sociale, ma, secondo una logica di pura predazione, soprattutto di estrarre ricchezza dal corpo incarcerato a vantaggio del più forte. Non solo la privatizzazione delle carceri (nelle sue forme tanto di gestione diretta degli istituti quanto soprattutto di fornitura di beni e servizi da parte dei privati nelle carceri pur gestite dal pubblico), ma anche le tante altre vie attraverso cui le corporation lucrano sui corpi incarcerati o minacciati di carcerazione, attraverso per esempio il bail system, la supervisione del parole o del probation, o ancora la riscossione debiti (convertibili in prigione) da parte di agenzie specializzate, rappresentano infatti altrettanti modi attraverso cui il povero incarcerato o da incarcerare diventa fortemente redditizio se inserito nel circuito penale.

I modi attraverso cui il diritto penale incarcera soprattutto il povero a fini estrattivi sono spesso sorprendenti. L’incarcerazione del più debole non si perpetra solamente, sul piano processuale, a causa di indagini selettive o delle enormi difficoltà incontrate in una difesa impari rispetto all’accusa quando non si hanno mezzi. E neppure, sul piano del diritto penale sanzionatorio, ciò accade solamente per via dell’uso di un sistema di tipo incapacitante, volto cioè a escludere dalla società per il più lungo tempo possibile chi appare socialmente pericoloso, dove la pericolosità sociale coincide spesso con lo status di marginalità. Il diritto criminalizza il povero anche sanzionando penalmente le sue attività di mera sopravvivenza (dormire per strada, chiedere l’elemosina), o accusandolo di truffa per il suo tentativo di arrotondare il misero sussidio sociale con l’aiuto economico di un amico o con la vendita non dichiarata del proprio sangue. Lo sanziona inoltre penalmente, per esempio, per violazioni a regole di tipo amministrativo (violazioni del codice della strada, attraversare a piedi in modo irresponsabile, non avere i fari della bicicletta…) con pene pecuniarie che si gonfiano a causa delle mille spese a vantaggio di corti di giustizia squattrinate e che si convertono con grande facilità in pene detentive. La pena detentiva, inoltre, comporta debiti crescenti verso il sistema di giustizia, che prima o poi finiranno per riportare nuovamente in carcere chi non riesce a pagarli, intrappolando il povero in una spirale di incarcerazione senza fine.

73 Se dunque il binomio diritto-povertà costituisce l’imprescindibile prisma di lettura per comprendere le ragioni della mass incarceration, povertà e ricchezza definiscono apertamente anche i diritti dei detenuti.

Innanzitutto definiscono chi sta in carcerazione preventiva e chi no, attraverso il sistema del bail, che nel tempo, da diritto di tutti alla libertà prima di una condanna in primo grado per approntare la propria difesa, si è trasformato in un diritto esercitabile solo dai ricchi. La minaccia di custodia cautelare per tempi lunghi, con buona pace di un diritto allo speedy trial troppe volte non rispettato, è poi un fortissimo incentivo per chi non ha mezzi a dichiararsi colpevole, anche se innocente, con conseguente caduta nella spirale di una sempre maggiore povertà e ulteriore carcere.

Ricchezza e povertà definiscono anche il diritto del detenuto ad avere un trattamento umano. Il c.d. sistema “pay to stay”, che consente al ricco di pagare per non essere indicibilmente maltrattato in carcere, da un lato permette, infatti, solo al ricco di godere del diritto a non essere torturato quando detenuto e, dall’altro, in qualche misura legittima il maltrattamento in carcere per il povero.

Senza diritto ad avere un difensore in gratuito patrocinio oltre il primo appello, il detenuto povero - troppo spesso sottoposto a trattamenti disumani in carceri sovraffollati, privatizzati e con un rapporto agenti detenuti altissimo- può far conto solamente sul pro bono di avvocati dalle buone intenzioni o su associazioni non profit dedicate. Anche quando riesce ad intentare delle azioni legali per ottenere tramite class action un mandamus o un prohibition contro la struttura carceraria che lo maltratta, il risultato è spesso limitato nel tempo. Ad una fase di supervisione giudiziaria dell’eventuale accordo siglato fra struttura e associazioni che ne determina il rispetto, fa infatti sovente seguito un ritorno alla situazione precedente.

I disincentivi a migliorare le condizioni carcerarie non passano neppure per le azioni legali individuali, che troppo spesso danno luogo a transazioni fra parte pubblica e detenuto o parenti della vittima detenuta, che proprio perché poveri si accontentano di poco. Neanche la possibile azione penale attiva poi meccanismi virtuosi nei confronti degli agenti o dei responsabili delle strutture carcerarie torturanti. Il principio di discrezionalità assoluta dell’azione penale, unito ai meccanismi di omertà che ben conosciamo anche noi, rendono sterile infatti la minaccia del suo esercizio. Quale lezione trarre in conclusione dall’esperienza nord-americana in fatto di diritto, diritti e carceri?

L’Italia, così come gli Stati Uniti, dalla metà degli anni ’90 ha messo in atto politiche legislative che, al pari di quelle implementate negli States, producono povertà. I nostri poveri, per quanto già criminalizzati in quanto tali (e si pensi al Daspo urbano), non sono però ancora redditizi quando incarcerati. Tuttavia il ventilato anche se non confermato sbarco di Amazon nelle carceri torinesi e romane o l’attuazione di un partenariato pubblico/ privato nella costruzione e gestione dei servizi no core del carcere di Bolzano, per fare qualche esempio, stanno gettando i semi per lo sviluppo anche da noi di una simile prospettiva, nell’ottica di un falso risparmio per lo Stato. Una volta che quei semi avranno trovato modo di germogliare il pericolo di una mass incarceration pilotata dal corporate power diventerà concreto. Pensiamoci prima che sia troppo tardi e facciamo buon uso di ciò che negli Stati Uniti abbiamo visto accadere.

74 Venerdì 14 Giugno 2019 ore 16:00-19:00, aula Segni

Sessione II.1 - DIRITTI E DOVERI IN CARCERE

Relaz. II.1.2. - I diritti dei detenuti nella riforma

Nel documento Università degli Studi di Sassari (pagine 72-74)

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