Le Born Global e il Made in Italy
3.2. Il Made in Italy: risorse ed etichettatura
3.2.3. Quale etichettatura?
Un convegno organizzato lo scorso anno dall’Università di Padova ha avuto come punto focale il futuro del Made in Italy. Hanno partecipato personaggi importanti legati al mondo dell’industria e docenti universitari (fra cui il professor Gubitta). Il tema principale è ruotato attorno all’importanza della manifattura italiana e della sua gestione da parte delle imprese. Il Made in Italy rappresenta il DNA delle imprese italiane (è stato sostenuto anche dal magnifico rettore), specialmente per le imprese del Nordest che, con la sua grande percentuale di industria, è una delle aree maggiormente produttive della penisola.
In relazione a quanto detto finora (l’importanza dei prodotti italiani) ci si chiede sempre più spesso se sia corretto mantenere l’etichettatura “Made in Italy”. Forse sarebbe opportuno adottare dei marchi differenti, in grado sì di esaltare la localizzazione geografica di produzione ma che al contempo siano anche in grado di ricordare ai consumatori l’importanza delle qualità che la differenziano rispetto alle manifatture di altri Stati. Ci vorrebbe dunque una più forte rappresentazione del “genio italico”, che oggi viene messo molto in competizione con i prodotti asiatici per esempio, il cui prezzo è inferiore, come pure la qualità. Un’etichetta del tipo “exclusively handmade in Italy” sicuramente andrebbe a rappresentare la forte importanza della manifattura italiana: “fatto a mano esclusivamente in Italia” vuole proprio evidenziare il fatto che si tratta di un manufatto non prodotto all’estero. Questa etichettatura alternativa servirebbe a differenziare la manifattura italiana da quelle estere, perciò vale prevalentemente in un’ottica globale. Ma se si vuole pensare in termini più ristretti, nazionali per esempio, la manifattura del Veneto (che sarà oggetto di analisi particolarmente in questo capitolo) rappresenta sicuramente una delle zone più ricche di distretti industriali e va a comporre in maniera abbastanza predominante la manifattura totale italiana. Per valorizzare i prodotti derivanti dalla manifattura veneta, Gubitta (2011) ha proposto una label più specifica: “exclusively handmade in Veneto, a small region in the north east side of Italy”. Si tratta di una denominazione molto importante perché ha il potere di esaltare le caratteristiche qualitative manifatturiere e valorizzare in modo migliore i prodotti. Al contempo però presenta notevoli difficoltà di comunicazione alla clientela: potrebbe disorientare i consumatori stranieri che non conoscono la geografia italiana o che comunque non conoscono l’importanza dei manufatti prodotti nella regione in questione. A causa di questo svantaggio, sarebbe a questo punto molto più utile ed efficace l’etichettatura odierna: “Made in Italy”.
Ci sono state tuttavia altre proposte, dotate di comunicazione più immediata (sia per il consumatore nazionale e sia per i consumatori globali): “Stile Italia” è una seconda proposta di Gubitta. Rappresenta una valida alternativa anche perché il riferimento allo stile “riassume e integra in modo virtuoso le abilità artigianali e manifatturiere, le genialità creative ed estetiche, le inimitabilità culturali” (Gubitta, 2011). Questa proposta nasce dal riconoscimento del fatto che all’interno dei manufatti italiani non sono racchiuse
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solo le abilità pratiche di produzione, ma ci sono altre importanti componenti più immateriali: lo stile, il design, la cultura, la tradizione e via dicendo. Si tratta di aspetti più intangibili e meno evidenti ma è giusto riconoscere la loro esistenza e trasmetterla al consumatore.
Proprio in relazione all’importanza, non soltanto materiale, dei manufatti nazionali, sempre più spesso si stanno vendendo i marchi italiani ad investitori stranieri che credono molto nel loro successo. Questo fa comprendere come sia importante difendere la manifattura italiana da investitori esteri. Per fare ciò le aziende italiane manifatturiere dovrebbero considerare importanti componenti immateriali sui quali investire, per esempio il marketing e le modalità di distribuzione: “le competenze manifatturiere degli artigiani sono sacrosante e irrinunciabili, ma a queste si deve accompagnare una tecnica di vendita e distribuzione del prodotto, altrimenti le imprese artigiane rischiano di restare semplici subfornitrici, all’ombra di altre aziende molto più strutturate” (Franceschini, 2011). Il marketing perciò rappresenta una componente aggiuntiva che assume una forte valenza da questo punto di vista, dunque le imprese dovrebbero guardare un po’ oltre la manifattura e l’artigianato, con lo scopo non solo di difendere il marchio italiano, ma anche per ottenere introiti economici. In altre parole dovrebbero sfruttare il “Made in Italy” come leva di successo per poter ottenere crescita commerciale ed aziendale. La manifattura deve essere valorizzata in maniera creativa ed intelligente, cambiando i propri modelli di business e adattandoli alla scala globale e alla concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro. Questo lo si può attuare facendo attenzione al “Made for” oltre che al “Made in”: le imprese manifatturiere nel produrre i loro beni dovrebbero mantenere le caratteristiche qualitative che fanno della manifattura italiana una delle più celebri realtà industriali, ma al contempo la produzione dovrebbe anche produrre dei beni che siano specifici, fatti apposta per determinati consumatori, appunto il “fare per qualcuno”. Si dovrebbe “andare a caccia del cliente ed offrirgli non solo il prodotto materiale ma anche i valori, lo stile, l’arte, la cultura e quant’altro” (Morbiato, 2011). Questo per una ragione di concorrenza e di evoluzione. È essenziale dare perciò maggiore attenzione al “Made for” (mercato di sbocco) che consente di rimanere competitivi rispondendo alle necessità del consumatore, ma anche al “Made in” (mercato di approvvigionamento) che garantisce la valorizzazione della qualità dei prodotti italiani.
Ci sono poi dei marchi italiani che propongono delle etichettature differenti con lo scopo di sottolineare altri aspetti in modo strategico. Per esempio, la casa di abbigliamento Prada nel 2010 ha adottato una strategia aziendale basata sulla modifica della sua etichettatura, denominandola “Prada Made in…”. Questa label specifica evidenzia come, sebbene la maggior parte dei capi sia prodotta in stabilimenti produttivi italiani, il brand si appoggia alla manifattura estera per creare capi particolari:
“PRADA Made in India”, è la collezione di abiti ricamati in Chikan, un antichissimo ricamo indiano, caratterizzato da motivi floreali;
“PRADA Made in Scotland” viene apposto nei kilt realizzati in Scozia con le lane e i tartan scozzesi; “PRADA Made in Japan” è la collezione di denim prodotti in Giappone;
“PRADA Made in Perù” viene messo nei capi in lana di alpaca realizzati con le antiche tecniche tradizionali peruviane.
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Questa strategia fa riflettere sul fatto che oggi il Made in Italy viene trascurato da certe imprese italiane che preferiscono mostrare che alcuni dei loro prodotti specifici vengono effettivamente realizzati in luoghi diversi dall’Italia. La tecnica di etichettatura di Prada ha lo scopo di esaltare l’originalità stilistica e manifatturiera della casa di abbigliamento, non tanto l’italianità. Il legame al territorio italiano è pressoché nullo e rimane soltanto racchiuso nel marchio Prada. Viene valorizzato di più il marchio stesso anziché la territorialità originale dell’azienda.
Questo fa riflettere su una questione: nel mondo sempre più globalizzato, il “Made in Italy” è ancora un aspetto di interesse da valorizzare e da usare per essere competitivi o sta perdendo l’attenzione da parte dei produttori stessi? Probabilmente si dovrebbe avvalorare quanto viene prodotto nel territorio italiano ed esaltare certi aspetti che caratterizzano la nostra patria. Il rischio che si corre altrimenti è l’approvvigionamento del nostro marchio da parte di investitori stranieri che subentrano a causa di una maggior valorizzazione.
Nonostante tale questione, la manifattura italiana può continuare ad avere un ottimo successo nel mondo, malgrado la grande concorrenza straniera renda difficile rimanere in equilibrio.