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Il nostro ragionamento si fonda sulla constatazione che, chia­ mando tributo in senso giuridico un certo prelievo, si attribuiscono ad

E SUL SIGNIFICATO DELL’ART. 23 DELLA COSTITUZIONE

12. Il nostro ragionamento si fonda sulla constatazione che, chia­ mando tributo in senso giuridico un certo prelievo, si attribuiscono ad

esso certi effetti giuridici generali e particolari che altri prelievi che non sono tributi non hanno (10). Non ci importa qui se questi « altri pre­ lievi » a loro volta incidono nella sfera patrimoniale privata di più o di meno dei tributi. A noi basta stabilire che ogni grande classe di pre­ stazioni coattive, patrimoniali e personali, ha una sua propria disci­ plina giuridica. Questa constatazione infatti è sufficiente, per affermare

(10) Ofr. il paragrafo 2.

che l’a rt. 23 della Costituzione, richiedendo p er le p restazio n i coat­ tive una base nella legge, esige che il fondam ento legislativo vi sia non solo p er quel che concerne l ’en tità della prestazione, ma p u re per le sue c a ra tte ristich e essenziali, che sono molto varie, p er i v a ri tip i, che com­ p o rtan o conseguenze giuridiche m olto diverse.

Una volta stabilito che la qualità di tributo deve avere base nella legge, così come il quantum della prestazione coattiva, ci è agevole fis­ sare il principio che, in assenza di espressa denominazione legislativi! di un prelievo, come tributo, occorre confrontarlo con i prelievi tribu-1 tari normali. Se esso è dello stesso tipo, allora sarà un tributo, altri­ menti no. Quali siano i requisiti caratteristici del prelievo tributa­ rio normale, lo abbiamo visto. Che essi siano quelli da noi indicati e non altri, ci sembra che possano avvalorarlo sia la constatazione em­ pirica della maggior frequenza, sia la considerazione ermeneutica delle vane leggi esistenti, sia l’indagine dell’evoluzione storica e dei prin­ cipi politici ed economici che caratterizzano, ancora attualmente, il

tri-In particolare, la dicotomia riscontrata nelle nostre leggi (11) fra! nbuti e prelievi pubblici coattivi che, pur servendo per fornire mezzi P spese di enti pubblici, non sono prelievi, ci conforta nell’affermare che la nozione normale di tributo va costruita restrittivamente e che degh enti pubblici non territoriali, almeno di massima, non sono tributi (beninteso salvo espressa indicazione legislativa in con alio se non altro m quanto derogano al principio della universalità del bilancio dell ente pubblico territoriale.

n Non baf a .l,erò fermarsi al nome «tributo» usato dalla legge, orre, con indagine sistematica, considerare se il legislatore ha in-m i Z n \ q m0d° ’ dl dar VÌta a un * tributo » oppure ha solo usato questo termine, sporadicamente, nel corso delle varie norme, con palese improprietà. In particolare se il prelievo denominato «tributo» non appare legitimo come «tributo», ma lo è come contributo non tribu­ tano, si ha un sicuro elemento per stabilire che il legislatore ha usato la parola in modo improprio, volendo introdurre una contribuzione non tributaria, valida. Il legislatore può denominare un prelievo, anziché « ributo », « imposta ». Poiché il significato di questo termine è univoco, potremo tranquillamente considerare quel prelievo come facente parte el sistema tributario (purché beninteso lo confermi l’interpretazione rolaC°«da?mai h ' Lo «tesso possiamo dire quando venga usata la pa- rola «dazjo», e ie da tempo immemorabile è il termine con cui si desi­ gnano le imposte di consumo prelevate in occasione del passaggio di una celta linea di demarcazione territoriale.

Lo stesso invece non possiamo dire quando il legislatore parla di lu tto», «diritto speciale», «contributo», «contribuzione», «contri­ buto speciale». Questi termini infatti non sono riservati al solo campo

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dei tributi. Sia il legislatore, come lo studioso di scienza delle finanze e di economia, il giurista e anche Furano della strada, li usano in una molteplicità di sensi: e li usano anche per indicare entrate percepite ciai privati, nella sfera del diritto privato.

La parola « tassa » lascia maggiormente perplessi. È vero che essa ricorre tanto spesso nella dicotomia « imposta e tassa » ed è vero che, nel linguaggio comune, essa è usata anche come equivalente della pa­ rola imposta, a preferenza anzi di essa e del termine tributo (persino una pubblicazione propagandistica del Ministero delle Finanze, diffusa all’epoca della prima dichiarazione annuale unica dei redditi, recava il titolo «Avevi paura delle tasse!»). Ma è anche vero che la fortuna della parola « tassa » è ancora più vasta. Essa sta molte volte per ta­ riffa, e vale per corrispettivi di prestazioni di imprese pubbliche o private, che cedono i loro beni o servizi, sulla base di criteri uniformi precostituiti.

14. Nel caso dei prelievi già dell’Ente Metano, ora dell’ENI, per il servizio bombole, il legislatore parla di «corrispettivo». La parola « corrispettivo » da uno studioso insigne di scienza delle finanze e di­ ritto finanziario, quale il Griz'otti, è esplicitamente usata per indicare le entrate finanziarie extratributarie, in contrapposto ai tributi (12).

Ma a parte ciò, è da notare che il termine corrispettivo non è af­ fatto proprio del diritto finanziario. Si parla di « corrispettivo » am­ piamente nel diritto civile. L’art. 1470 codice civile per es., noto­ riamente, definisce la vendita come il « contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo ». Il prezzo, diventa un corrispettivo, per il diritto civile. Lo stesso legislatore tributario, nell’art. 1 della legge fondamentale dell’imposta entrata, usa il ter­ mine corrispettivo, con riferimento alle entrate conseguite dai privati, nelle loro attività contrattuali.

Nulla quindi, nel campo del diritto finanziario, del diritto civile, della scienza delle finanze autorizza a pensare che il legislatore, par­ lando di corrispettivo, voglia usare un termine equivalente a quello di « imposta » o « tassa ». Caso mai vi è una presunzione del contrario.

Non ci sembra che si possa giungere ad affermare che un’entrata chiamata dal legislatore «corrispettivo» non debba essere un tributo in senso giuridico, quando ne possegga tutti i requisiti normali.

Il legislatore infatti, con la parola corrispettivo, può intendere di riferirsi al fatto che l ’entrata prelevata per comando unilaterale dell’ente pubblico, è in corrispondenza di una prestazione che l’ente pubblico fa al privato: ossia che si verifica la fattispecie della im­ posta speciale o del contributo speciale o di certe tasse. Si può infatti appi opi ¡atañiente parlare di entrate tributarie corrispettive, per di­ stínguele quelle che colpiscono una fattispecie che rivela un vantag- 12

(12) Cfr. Griziotti, Il principio del corrispettivo e sue applicazioni, in Saggi, p. 318 ss.

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gio particolare conseguito per effetto dell’attività pubblica, da quelle elle colpiscono una generica capacità contributiva.

Ma poiché la parola corrispettivo può servire tanto per indicare"1 certe qualità di un tributo, quanto una entrata pubblica extratribu­ taria o un prezzo privato, quando il legislatore la usa, noi possiamo attribuire al prelievo in questione la qualifica di tributo solo se esso presenta tutti i caratteri del tipo normale del tributo e non se gliene difetta qualcuno. Infatti, in questa seconda ipotesi, manca ogni base legislativa per affermare che siamo di fronte a tributo. ^

15. Coloro che affermano che ogni prelievo coattivo degli enti pub­