Lu ig i Ein a u d i, Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Torino, Giulio Einaudi, editore. Un volume di pag. XVL-678. Prezzo lire 3000. Sommario: I. Problemi riguardanti il bilancio dello S ta to : L’annualità del
bilancio e l’art. 81. - L’unicità del bilancio. - Sovvenzioni e fondi speciali (giornali, miniere, industrie meccaniche e autotrasporti). - Spese militari e spese inutili. - Rivalutazione di attività patrimoniali. - Tariffe ferro viarie e tariffe stradali. — II. Problemi tributari: Tutte le Imposte devono affluire nelle casse dello Stato. - Imposte e federazione europea. - La distribuzione del carico tributario. - I diritti casuali. - La tassazione degli utili non distribuiti. - La tassazione dei redditi eccedenti. - Criteri legali per gli ammortamenti e i deperimenti. - La tassazione dei lucri di riva- lutazione. - Imposte sui trasferimenti e riforma fondiaria. - I dazi do ganali (tariffa doganale, critiche al materiale di studio per la modifica zione della tariffa, liberalizzazione degli scambi). —- III. Risparmio e in
vestimenti-. Il risparmio disponibile. - Politica tributaria e investimenti. -
Investimenti per la emigrazione. - Investimenti e stabilità monetaria.
Questo volume, che è il primo della seconda serie della pubblica zione delle « Opere di Luigi Einaudi », destinata a raccogliere saggi e articoli di carattere politico e attuale, pubblicati a partire dal 1894, contiene le riflessioni che furono suggerite a Luigi Einaudi, nella sua qualLà di -presidente della Repubblica, dalla lettura di proposte di legge, di rapporti e altri documenti fra il 1948 e il 1955.
Le osservazioni trasmesse — è scritto nella prefazione del volume — a proposito di proposte leggi di iniziativa governativa, non hanno avuto mai, anche quando il tono può apparire vivace, indole di critica, sibbene di cordiale cooperazione o di riflessioni comunicate da chi, an che per ragione di età, poteva essere considerato un anziano meritevole di essere ascoltato.
La pubblicazione di questa opera è quanto mai opportuna, essendo noti al pubblico soltanto quattro messaggi invitati al parlamento e alcuni scritti pubblicati altrove, nel periodo suddetto, e che, per con nessione di materia, sono inseriti nel volume.
La materia è distribuita, non per ordine cronologico, ma per grup pi di argomento, in nove libri i cui titoli sono:
1°) Problemi legislativi e costituzionali;
2°) Pace e guerra, federazione, comunità europea di difesa, ri torno di Trieste allTtalia;
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3°) Unioni, protezioni, liberazioni e monopoli di stato negli scambi internazionali;
4°) Articolo 81. imposte risparmio ed investimenti;
5°) Marina mercantile, miniere, petroli, I.R.I., E.A.M., mo nopoli industriali;
6°) Scioperi, serrate, limiti d’età, regolamenti professionali e di soccupazione;
7°) F itti urbani, riforma e contratti agrari, e lotta per il possesso della terra;
8°) Passaporti, alani e della servitù della gleba in Italia;
9°) I .silenziosi ed i vociferanti, il libro, i monumenti e il pae saggio.
Uno dei grandi pregi del volume, che si apre con una prefazione, e si chiude con una nota e con due indici dei nomi e delle cose, è che gli scritti, in esso contenuti, sono una testuale riproduzione delle riflessioni o annotazioni inviate a chi di ragione, senza ringiovanimento, perfezio namento, correzione dei punti che fossero di sostanza, ma tali e quali sono usciti dalla penna dell’A., sotto l ’impressione del fatto o del prov vedimento.
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Del libro quarto, dedicato, in special modo, al bilancio, alle imposte e agli investimenti, si riassumono, spesso sotto forma di massime, le osservazioni e le conclusioni, seguendo non l’ordine della trattazione dei capitoli, ma quello dell’affinità della materia dei problemi esami nati, tenendo anche conto di concetti esposti in altre parti del volume e trasformando gli interrogativi in proposizioni affermative o negative laddove, dal contesto delle argomentazioni, non vi è dubbio sulla inter pretazione data.
Le osservazioni critiche contenute nel volume si riferiscono a pro poste, provvedimenti, ecc. ed a quelle proposte e a quei provvedimenti, di cui espressamente, come dichiara l ’Autore in due note, non si sono volute seguire le successive vicende, perciò, accanto alla indicazione della pagina, per una migliore intelligenza della presente rassegna, è segnata anche la data in cui gli scritti sono stati redatti.
I
Pro blem i riguardanti il bilancio dello stato
Tra i principi classici, fondamentali di buona amministrazione fi nanziaria, accolti dal nostro ordinamento contabile, si annoverano l ’an nualità, l’unicità, la pubblicità del bilancio; questi principi sono ricor dati e reiteratamente difesi dall’Einaudi tutte le volte che sono sotto posti al suo esame provvedimenti nei quali essi non sono rispettati.
A nnualità del bilancio e l’art. 81. — Sull’annualità del bilancio, l ’Einaudi si occupa una volta, allorché con un disegno di legge si
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poneva la iscrizione di spese in bilanci di esercizi chiusi, e la seconda volta, in quelli di esercizi successivi, di spese per le quali mancava la copertura al momento della loro approvazione.
I due provvedimenti erano invero due espedienti rivolti al eludere l’applicazione dell’articolo 81 della Costituzione, il quale prescrive che, dopo l’approvazione dei bilanci, per le nuove e maggiori spese, si de vono indicare i mezzi per farvi fronte.
È da ricordare, a tale proposito, che quando sono sorti i primi dubbi sull’interpretazione della norma ricordata, in una lettera indiriz zata, il 13 dicembre 1948, all’allora ministro del tesoro, l’Einaudi, così si esprimeva:
« Dal punto di vista giuridico, non si può ritenere vietata la uti lizzazione delle nuove entrate in nuove e maggiori spese, prima che ad eliminazione del disavanzo del bilancio, non essendovi un esplicito di vieto ».
Diversa è la conclusione se si guarda all’opportunità di seguire tale procedimento prima di avere eliminato o diminuito il disavanzo, e al principio informatore dell’articolo 81 e alle conseguenze che ne derive rebbero.
Quando il 2° comma dell’articolo predetto stabilisce che le camere, ogni anno, approvano i bilanci, implicitamente afferma che esse appro vano un documento nel quale si constati il bilanciarsi delle entrate con le spese.
« Se si suppone che l’articolo stesso non possa disgiungersi dal con cetto di bilancio, ossia di pareggio, la conseguenza è che il legislatore costituente abbia voluto affermare l’obbligo di governi e parlamenti di fare ogni sforzo verso il pareggio. Quindi, in una condizione di disa vanzo, il costituente avrebbe ordinato a parlamenti e governi di de dicare innanzi tutto l’opera loro ad aumentare le entrate e a diminuire le spese, o a compiere una combinazione opportuna delle due azioni sì da giungere al pareggio ».
Se si parte invece dalla premessa che la norma sarebbe un divieto di non alterare in peggio l’equilibrio del bilancio, essa si ridurrebbe in nulla e il disavanzo previsto sarebbe intangibile per l ’esercizio in corso; si creerebbe così l’idolo del disavanzo iniziale (pagine da 201 a 207, 13 dicembre 1948).
II cui oggetto di culto in seguito si allarga nel tempo, prima, fa cendo proiettare i suoi effetti nel passato, poi nel futuro.
Esplica i suoi effetti nel passato, come si è sopra accenato, allor ché, con un disegno di legge, presentato nell’esercizio 1952-53, si vuole accollare una certa spesa ad esercizi già chiusi, al 1949-50 e 1950-51; 48 miliardi di oneri derivanti dalla gestione degli ammassi agricoli
(pagine 232 a 236, 27 luglio 1952).
Di qui, una nuova lettera, indirizzata nel luglio 1952, al ministro Pella, nella quale, tra l’altro, l’Einaudi osserva che il canone nuovis simo, che una legge successiva nel tempo possa attribuire ad esercizi già chiusi una determinata spesa, è pregna di pericoli imprevedibili. Posto
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il precedente, non si avrà pili freno contro il seguirsi di provvedimenti intesi ad attribuire agli esercizi precedenti spese cbe per una ragione o un’altra si possa presumere avere avuto origine in quegli esercizi passati.
In sostanza l ’Einaudi ricorda al ministro due principi, contenuti nel nostro ordinamento contabile, quello della intangibilità dei rendi conti e il principio della competenza del bilancio, per cui le spese deb bono essere iscritte nell’anno in cui sono autorizzate.
L’altro provvedimento, col quale, non più nel passato, come si è detto, ma nel futuro si vuole estendere l’intangibilità del disavanzo ini ziale, è un disegno di legge nel quale si sanciva questo principio:
la disponibilità di bilancio di un dato esercizio, per esempio 1953- 54, per la copertura di una nuova maggiore spesa, non autorizzata dal parlamento, può servire all’esecuzione della spesa stessa anche se il re lativo provvedimento è approvato, in esercizi successivi.
Questo principio non è accettabile, ammonisce l’Einaudi, perchè contrasta con l’insieme dell’ordinamento politico e legislativo dei paesi liberi.
« Gli insegnamenti del passato, la consapevolezza dei danni che pro- « vengono dalla fretta nel proporre e nell’approvare le leggi, hanno « creato un insieme di norme politiche, le quali hanno per scopo di far « passare le proposte di spesa attraverso un setaccio rigoroso. La esi- « stenza di due camere, le quali devono approvare ogni proposta di « spesa, la necessità di sottoporre le proposte medesime all’esame di com- « missioni parlamentari, il diritto del presidente della Eepubblica di « rinviare le leggi ad una nuova discussione del parlamento, tutte que- « ste norme dimostrano che, se anche ciò non è esplicitamente scritto « nella Costituzione, il sistema funziona col rallentatore ».
La divisione della gestione del bilancio in esercizi annui, gli uni indipendenti dagli altri, si aggiunge per le entrate e per le spese all’in sieme di remore poste alle deliberazioni. Il frazionamnto annuo degli esercizi finanziari ha per scopo appunto di far cadere tutto ciò che non è definito entro il 30 giugno. Non ci si deve lamentare di questa messa nel nulla, ma la si deve considerare provvidenziale.
Il sistema, quale fti creato dal legislatore costituente, è basato ap punto sul principio di far così discutere e di far creare nuovamente la copertura di tutti i provvedimenti importanti spesa (pag. 232, 23 di cembre 1953).
Unicità del bilancio. — Per questo principio, tutte le entrate e tutte le spese debbono essere iscritte in bilancio, perciò il sistema della co stituzione di fondi speciali è da condannarsi perchè, osserva l ’Einaudi, se questi sono insufficienti a coprire la spesa, nessuna economia ne viene allo stato, agitandosi gli interessati per ottenere in altri modi l ’inte grazione del bilancio; se i fondi invece sono esuberanti, sono destinati a spese inutili ed a incrostazioni parassitarle.
I fondi speciali sono sottratti al controllo degli uffici dipendenti. Per l’attuazione di questo principio, l’Einaudi, quale ministro del
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bilancio, aveva preso l’iniziativa, nel 1948, di abolire la devoluzione a favore dei musei, della metà delle tasse d’ingresso nei musei stessi, ri tenendo che lo stato deve provvedere, iscrivendo nella parte passiva del bilancio le somme occorrenti, alle spese a cui prima si provvedeva col sistema sopra indicato (pagine 626-627, 21 dicembre 1950).
Il ricorso dei fondi speciali è assai diffuso in Italia, di conseguenza tutte le volte che si è presentato un provvedimento, nel quale il fondo per provvedere al soddisfacimento di determinati servizi era costituito o si tentava di costituirlo, Einaudi ritorna a insistere, sul rispetto del principio su ricordato, con osservazioni e rilievi particolari di altra na tura inerenti al caso specifico.
Sovvenzioni e fondi speciali. — La costituzione di fondi speciali è assai agevolata dal sistema adottato di sovvenzionare servizi o attività ritenuti di interesse pubblico col provento degli incassi di tributi palesi o larvati o di altre entrate di spettanza dello stato.
Spesso questi fondi sono ignoti al pubblico, sia nel loro ammontare sia nel metodo della loro distribuzione, caso tipico il fondo dei diritti causali di cui si dirà in seguito.
Vale la pena ricordare altri casi non meno importanti.
Spettacoli. — A proposito degli spettacoli, l’Einaudi. rileva che l’attuale metodo di sovvenzionare il teatro, oltre ad essere contrario ad ogni buona regola di finanza, perchè effettuato con parte del provento degli incassi, non giova al teatro perchè sarebbe imposto dall’alto, da chi distribuisce le sovvenzioni, il consumo di certi spettacoli, la cui scelta potrebbe non essere gradita dal pubblico, il -quale è indotto a di sertare i teatri (pag. 611, 21 marzo 1949).
L’asserzione che la industria dello spettacolo è la meno sovvenzio nata è un sofisma.
Altro grossolano sofisma è che i fondi occorrenti alle sovvenzioni del teatro sono prelevati dalla imposta sugli spettacoli; lo stato non tassa lo spettacolo, come non tassa il tabacco, la birra, ecc.; come non tassa nessuno degli oggetti su cui cade l ’imposta sui consumi.
L’oggetto dell’imposta sugli spettacoli, tabacchi, ecc. è esclusiva- mente il reddito dei contribuenti, reddito che non sempre può essere col pito direttamente presso il contribuente con le imposte dirette, e lo col pisce attraverso le manifestazioni esteriori.
Se fosse vero che lo stato tassa lo spettacolo e quindi deve resti tuire allo spettacolo i denari che gli ha portato via, sarebbe vero che lo stato deve restituire le tasse sui vini ai vignaioli, le tasse sul ta bacco alle tabacchine, ecc.
Altro sofisma. — Se, a torto e con grave danno delle collettività, si sovvenzionano industrie passive, non deriva necessariamente che si debba commettere errore analogo per altre industrie.
Dalla circostanza che in un certo campo si commette un errore, non si deduce affatto che l’errore diventi verità se applicato in altro campo.
L’utilità della sovvenzione dev’essere provata con un ragionamento proprio dell’industria dello spettacolo.
Con la sovvenzione non si incoraggia il teatro, ma si crea un pri vilegio a certi enti, commissioni, a dispensare premi secondo una loro pretesa sapienza.
Sarebbe preferibile non tassare gli spettacoli e lasciare al pubblico il giudizio della bontà delle rappresentazioni (pag. 613-616, 5 giugno 1951).
Giornali. — La sovvenzione agli editori dei giornali è chiesta per non aumentare troppo il prezzo dei giornali.
È la solita grossa bugia del « costo di produzione medio », entità metafisica non mai esistita e che non esisterà mai.
Il costo di produzione dei giornali, come di qualunque altra merce, è variabilissimo e può andare da venti, o forse anche meno, a cinquanta 0 cento lire per copia.
La bugia del costo di produzione medio ha soltanto lo scopo:
a) di mettere le imprese, le quali producono giornali che nessuno legge, di vivere a spese di qualche innocente che potrebbe essere il so lito Pantalone; e 6) di fornire profitti illeciti, ottenuti ingannando il le gislatore, alle imprese le quali potrebbero vivere vendendo il giornale anche a prezzo inferiore a quello odierno.
Altra fandonia, ancora più grossa, è quella del servizio pubblico a cui i giornali adempiono.
Col sussidio si ottiene un risultato opposto, perchè si mantengono in vita giornali che non informano il pubblico ma lo ingannano, dan neggiando l’interesse pubblico.
Il giornale che informa esattamente il pubblico della verità non ha bisogno di sussidi; mantenere in vita giornali che tradiscono il loro com pito, con un sussidio, sotto forma di contributo pubblico di carta a minor prezzo, è opera antisociale e antidemocratica.
Se fossero chiaramente iscritte in bilancio le somme per i chiesti sussidi, molto probabilmente susciterebbero uno scandalo, e allora si ricorre al « contributo » sui quantitativi di cellulosa importata e pro dotta nello stato e destinata alla carta ad esclusione della carta per 1 giornali quotidiani.
Questo contributo è una vera e propria imposta, che grava sui consumatori di libri, di riviste e di pubblicazioni estranee alle rotative; pessima imposta, perchè non va a vantaggio dell’erario, ma di im prese private.
Si offende così il buon senso e la morale pubblica, affermando che i giornali quotidiani adempiono ad un fine pubblico migliore e più alto di quello cui adempiono i libri e le riviste.
Il male uso dell’istituto dell’imposta, ridotto a servitore di inte ressi privatissimi, è tanto più condannabile, perchè, in tal modo, si è evitato di andare a fondo alla questione sulle cause del caro prezzo della carta, dovuto alla situazione monopolistica delle cartiere nazio nali (pag. 617-621, 18 maggio 1952).
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Miniere. — Allorché con uno dei tanti disegni di legge si propone di costituire un fondo con i proventi delle miniere, questo fondo, l ’A. osserva, si trasformerebbe in una specie di fondo segreto a disposizione del ministero dell’industria e commercio (pag. 335, 30 luglio 1950).
« Sconcezze di questo genere si sono verificate e purtroppo si ve- « ritirano ancora nel nostro paese, ma sono venute su per accidenti, a « profitto di questa o quella classe di gente annidata in luoghi privile- « giati. I privilegi a favore dei teatranti, cinematografari, funzionari del « ministero delle finanze ecc. ecc., una volta venuti su, è diffìcile ripu- « lim e le stalle di Augia. Questa però è la prima volta che sfacciata- « mente si osa dire che un’entrata pubblica, la quale può essere di cen- « tinaia di milioni e potrà arrivare anche ai miliardi, deve andare a fa- « vore di qualche cosa che è descritta in maniera incerta con le parole « ” valorizzazione delle risorse minerarie nel settore degli idrocarburi « liquidi e gassosi ” ».
« Il che vuol dire che lo stato, dopo aver riscosso i canoni dei pozzi di petrolio e di metano, torna a ridarli alle medesime persone, allo scopo di incoraggiarle a scavare pozzi ».
Se è necessario e urgente dare ulteriori incoraggiamenti per lo scopo di cui trattasi, si appronti un disegno di legge per le erogazioni, ma costituire un fondo di dimensioni ignote per incoraggiare con somme le quali possono essere insufficienti o enormemente eccedenti il fabbisogno, è violare nella maniera più aperta, consapevolmente, il principio della unicità del bilancio; principio che non è stato inventato dai dottrinari, ma è frutto di esperienza secolare intesa a impedire la rovina finan ziaria degli stati (pag. 336).
A proposito del disegno di legge riguardante le miniere si fanno an cora rilievi sul metodo della concessione e sulla partecipazione dello stato ai proventi (pag. 332 e 333, 30 luglio 1950).
Riguardo a una norma, secondo la quale colui che ha ottenuto il permesso di ricerca su una determinata area (cinquanta ettari) ha il diritto di ottenere la concessione per tutta l ’area, se riesce a persuadere il ministero ad addivenire alla concessione prima della scadenza del triennio, l’A. osserva che la norma stessa è difettosa, sia per la eccessi vità dell’area per cui si dà il diritto di permesso, sia per quanto si riferisce alla mancanza di una obbligatoria riduzione dell’area concessa, da farsi all’atto della concessione.
Al vantaggio per il ricercatore di indicare lui quale è la parte che egli preferisce per la concessione della coltivazione, se ne aggiunge un altro, quello di monopolizzare tutta l’area di ricerca, impedendo a tutti gli altri concorrenti di effettuare nuovi scandagli.
Lo stato deve partecipare ai profitti o al prodotto lordo?
Il prodotto lordo presenta maggiore semplicità e sicurezza contro le frodi, ma, se si vuole che anche i pozzi marginali siano coltivati, è ne cessario escogitare per i medesimi qualche altro espediente.
La partecipazione ai profitti presenta l’inconveniente che i coltiva tori di metano e di petrolio presenterebbero conti falsi e farebbero scom parire gli utili.
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Il progetto adotta, osserva l ’Einaudi, in modo incongruo i due si stemi; si applicano il canone sul prodotto lordo, con criteri arbitrari, e la partecipazione ai profitti netti con le due imposte di ricchezza mobile e sull’entrata.
Ritiene l’E. che i canoni sul prodotto lordo sono bassissimi ed ar bitrari, in quanto è lasciata all’autorità amministrativa la facoltà eli ridurli notevolmente; si dovrebbe d’altra parte sempre adottare il sistema dell’incanto per le concessioni, che nel progetto è limitato ad alcuni casi (pag. 335).
Industrie meccaniche e autotrasporti. — Su due disegni di legge che prevedono la liquidazione e la soppressione di due enti, Einaudi, preli minarmente, osserva che:
a,) il fatto che una legge dichiari che un ente è messo in liquida zione non vuol dire che quell’ente sia messo in liquidazione. Tutto di pende dalle persone o gruppo di persone incaricate della liquidazione;
b) l ’ente poi che voglia assicurarsi lunga vita, non ha che da provocare un provvedimento che ne dichiari la soppressione.
Il caso a) riguarda la liquidazione del fondo industrie meccaniche. La soluzione adottata dal provvedimento predetto, osserva l ’Einaudi, non offre nessuna garanzia di liquidazione, anzi offre la sicurezza mas sima che la liquidazione non avrà luogo mai.
In sostanza si tratta di dare imponenti contributi statali ad aziende dissestate, che sarebbe preferibile lasciare perire.
Per ragióni politiche gioverà a mantenere una certa tranquillità e impiegare un dato numero di operai che altrimenti sarebbe disoccupato, può convenire a far sopportare allo stato l’onere; ma non per un pe