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Il secondo metodo, mediante il quale è completato l ’auto-accer­ tamento, consiste nell’obbligo di molti contribuenti di compilare ogni

IL SISTEMA FISCALE STATUNITENSE

6) Il secondo metodo, mediante il quale è completato l ’auto-accer­ tamento, consiste nell’obbligo di molti contribuenti di compilare ogni

anno le così dette « dichiarazioni delle imposte previste » (declarations of estimateti tax), che contengono la previsione sia del reddito come dell’imposta relativa per l’anno a venire. L’imposta sul reddito così pre­ vista deve essere pagata in anticipo in rate trimestrali. Pertanto, al termine dell’anno, quando viene compilata la normale denuncia ai fini dell’imposta sul reddito (income tax return), le somme pagate sulla base delle previsioni sono conteggiate sull’ammontare dell’imposta effet­ tivamente dovuta; e, per conseguenza, il contribuente sarà tenuto a pa­ gare una differenza ovvero avrà diritto ad un rimborso. Anche il si­ stema della « dichiarazione dell’imposta prevista » mira a proteggere il contribuente contro l’imprevidenza e il governo contro la perdita di introiti finali dovuti.

Il procedimento di accertamento (taxing process) non termina, na­ turalmente, al momento della denuncia. Tale dichiarazione, infatti, una volta compilata, viene esaminata dai funzionari dell’Internal Revenue Service. E ssi confrontano la denuncia del reddito con certi così detti Information return, s e cioè delle denuncie contenenti informazioni che devono essere presentate al Treasury Department da parte di da­ tori di lavoro ed altri soggetti, per permettere ai funzionari di stabi­ lire se i salari, gli stipendi e certi altri elementi siano stati coscien­ ziosamente denunciati dall’interessato. I funzionari incaricati del sud­ detto esame controllano inoltre se nella denuncia vi sono elementi non accusati oppure che richiedono ulteriori chiarimenti e documentazione. In tal caso, viene promossa una discussione tra il funzionario ed il contribuente. Se la questione non può essere composta in questa sede, il contribuente può conferire con funzionari governativi più elevati, dotati di maggiore esperienza, competenza ed autorità. Se questo collo­ quio non porta a risultati positivi, la questione viene trasferita dalla sede amministrativa a quella giudiziaria. I l contribuente può pagare l ’imposta nella misura accertata dall’In tern a ’ Revenue Service e quindi agire per il rimborso col procedimento giudiziario ordinario, presso la Corte federale distrettuale. Oppure il contribuente può rifiutare il pa­ gamento ed esperire un’azione presso una Corte speciale, la Tax Court of thè United States, la cui giurisdizione è limitata alle questioni fi­ scali. Benché di regola il contribuente non sia tenuto a pagare l ’impo­ sta per potere esperire l ’azione presso la Tax Court, è previsto però un procedimento particolare, denominato jeopardy assessment

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sazione per le situazioni aleatorie), in virtù del quale lo Internai Re- venne Service, se ritiene che la riscossione dell’imposta verrà messa in pericolo a causa del ritardo, può pretenderne il pagamento antici­ pato, senza pregiudicare il diritto del contribuente a proporre poi l’azione presso la Tax Court.

Sia che la controversia abbia inizio presso la Tax Court e sia presso la Corte distrettuale federale, tanto il contribuente quanto lo Internai Revenue Service possono appellarsi successivamente presso le ordinarie Corti di Appello federali (Federai Courts of Appcals) e, in taluni casi, presso la Corte Suprema degli Stati Uniti.

Desidero ora passare dalla sfera del diritto processuale a quella del diritto sostanziale, limitando però la mia esposizione alle caratte­ ristiche generalissime della legge americana sulla tassazione del reddito. Il termine « reddito » (income) è definito in guisa generalissima dal nostro Internai Revenue Code, cosicché entro detto termine vengono ricompresi non solo elementi del tutto comuni come stipendi, sa­ lari, onorari, commissioni, profitti derivanti dalla vendita o scambio di beni, ecc., ma pure elementi che si riscontrano molto meno di fre­ quente. Così, se un contribuente prende a prestito 1000 dollari e alla scadenza del mutuo il suo creditore accetta 900 dollari per la com­ pleta estinzione del debito, la differenza di 100 dollari è tassabile quale reddito ai sensi della nostra legge. Egualmente, se il valore di un bene che costava 1000 dollari sale a 1500 dollari, e il bene stesso, assicurato contro furti e incendi per 1500 dollari, è rubato o distrutto da un in­ cendio, i 500 dollari di differenza tra il costo originario e l’indennità pagata dall’assicurazione rappresentano un reddito. Vi sono molti altri casi che dimostrano l ’ampiezza della nostra definizione di «redd'to».

La nostra legge contiene però molte disposizioni che autorizzano la detrazione dal reddito di molte voci che, a stretto rigore, rientrano nella definizione generale di « reddito ». Per esempio, le indennità provenienti da assicurazioni sulla vita, le donazioni e le eredità (gifts and inheri- tances), le indennità pagate ai prestatori d’opera in caso di malattia, i pagamenti effettuati dalle assicurazioni sociali, le indennità concesse ai reduci, alcune borse di studio, e molti altri redditi sono specifica­ tamente esclusi dal reddito tassabile, per varie ragioni d’indole sociale, economica, amministrativa o politica. Come la più gran parte delle mo­ derne imposte sul reddito, anche la nostra è computata sulla base del reddito « netto », il che significa che praticamente tutte le spese riguar­ danti lo svolgimento degli affari (business expenses) sono deducibili. Così gli uomini d’affari possono detrarre il costo delle materie prime e dei beni comprati, nonché quello del riscaldamento e dell’illumina­ zione, le pigioni, l ’ammortamento, gli stipendi, i salari, ecc. Nella de­ trazione delle business expenses, si presentano molti problemi contro­ versi sia per quanto concerne la loro definizione e sia per l ’applica­ zione concreta dei relativi criteri.

Per esempio, un medico che abbia l ’ambulatorio in casa, potrà de­ durre il costo del riscaldamento, dell’illuminazione e della

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zione dello spazio occupato dall’ambulatorio medesimo, ma non potrà certo dedurre le stesse spese per quanto riguarda la parte dell’edifìcio usata quale abitazione. Un’altra illustrazione delle difficoltà che si pre­ sentano nel decidere se una spesa è personale (e pertanto non detrai- bile) o di affari (business) (e pertanto detraibile) può riscontrarsi nel­ l’ipotesi di un uomo di affari americano che faccia un viaggio in Eu­ ropa durante l’estate con la propria famiglia. Egli può occuparsi della ricerca di clienti o di fornitori di materie prime, ma, d’altra parte, egli può davvero essere in vacanza.

Sebbene, come si è indicato, le spese personali, quali i generi ali­ mentari, le pigioni, gli articoli di abbigliamento, ecc., non siano di so­ lito detraibili, vi sono alcune di queste voci che, per varie ragioni di indole generale, possono essere detratte. Così il contribuente può de­ trarre certi interessi e certe imposte da lui pagate, sebbene si riferi­ scano a spese di carattere personale e non invece a spese per l’esercizio della propria attività economica. Coloro che principalmente beneficiano di tali detrazioni sono i contribuenti proprietari della loro casa di abi­ tazione, che possono detrarre gli interessi di eventuali ipoteche accese sull’immobile e le imposte locali sulla proprietà immobiliare. Poiché il contribuente che vive in una, casa d’affitto non gode di una detrazione equivalente, la detrazione di cui sopra viene spiegata come un incen­ tivo all’acquisto di una abitazione propria. Si possono altresì detrarre i pagamenti di alimenti, le perdite subite a causa di sinistri (incendi, furti, ecc.), i crediti non recuperabili; entro certi limiti, le spese me­ diche e le offerte di beneficenza sono pure detraibili, sebbene costitui­ scano una parte del costo della vita anziché spese inerenti all’esercizio dell’attività professionale del contribuente.

Per completare il quadro, accennerò ora alle imposte riscosse dalle nostre amministrazioni statali e locali. Come ho detto in principio, i vari Stati dell’Unione nell’anno fiscale 1954 hanno prelevato circa 11 miliardi di dollari.

Le imposte, che principalmente contribuirono a tale gettito, furono: Im posta Generale s u l l e vendite .

Im poste s u i carburanti . . . . Im posta s u l r e d d i t o... Im posta di circolazione s u g l i au to­ veicoli ... Im posta s u l l e bevande alcooliche

Im posta s u l tabacco . . . .

Varie ...

(miliardi di) dollari

» » » » » » » » » » » » ■» » » » » » 25 2,0 1.7 1,0 0,5 0.5 2.8 11,0

L’imposta generale sulle vendite è un’imposta che colpisce la ven­ dita al dettaglio dei beni, di solito con una aliquota relativamente mo­ desta, come il 2 o il 3 per cento, A volte sono contemplate esenzioni pei

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prodotti medicinali, i libri, i generi alimentari ed altri beni che va­ riano considerevolmente da uno stato all’altro. L’aliquota dell imposta, naturalmente, non opera distinzioni tra i contribuenti ricchi e quelli poveri. Ciò significa che l ’imposta, che colpisce un apparecchio radio del prezzo di 20 dollari, rimane la medesima sia quando il compratore è un operaio e sia quando è il suo datore di lavoro. Ma i contribuenti delle classi di reddito più modeste spendono per i beni tassati con tale imposta una parte del loro reddito proporzionalmente maggiore a quella che spendono i contribuenti più facoltosi: questi ultimi, infatti, soli­ tamente risparmiano abbondanti parti del loro reddito, sotto forma di depositi bancari, investimenti di vario genere, assicurazioni sulla vita, ecc.: in nessuna di queste forme il reddito è assoggettato all’imposta sulle vendite.

Queste considerazioni hanno portato nei riguardi dell’imposta sulle vendite alla formulazione dell’accusa di regressività.

A questo proposito, occorre tuttavia ricordare che ben limitate sono le nostre conoscenze sulla misura in cui può aver luogo la « trasla­ zione » dei tributi dal contribuente che li paga su altri soggetti. È pos­ sibile, per esempio, che l ’imposta sulle vendite porti al conseguimento di più alti salari, cosicché l’imposta stessa non debba ritenersi così regressiva come è stato invece affermato da certi economisti. In alcune industrie, ad esempio, l ’accordo salariale tra i sindacati operai e i da­ tori di lavoro prevede specificamente un aumento dei salari proporzio­ nato all’aumento del costo della vita, cosicché, un aumento dell’impo­ sta sulle vendite che modifichi nella stessa misura il costo della vita sarebbe automaticamente seguito da un aumento dei salari.

D’altra parte non in tutti i nostri stati esiste l’imposta sulle ven­ dite cosicché, ovviamente, si riscontrano dei lim iti alla misura in cui i salari possono essere aumentati in uno stato se beni in concorrenza vengono prodotti in altro stato ove i salari non hanno invece subito aumenti. Ad ogni modo, siano o meno d’accordo gli economisti su tutto ciò, negli Stati Uniti l ’imposta sulle vendite ha acquistato la fama di imposta « regressiva ».

Le imposte di circolazione sugli autoveicoli e sui carburanti che, complessivamente, costituiscono il 30 % del gettito globale riscosso dagli stati, non sembra richieda qui una particolare illustrazione.

Le state income taxes (imposte statali sul reddito), sebbene di gran lunga meno importanti della federai income tax, tuttavia costituiscono una cospicua fonte di introiti delle finanze statali. Le imposte sul tabacco e sulle bevande alcooliche forse rappresentano un esempio della nostra tradizione puritana; come le imposte sulle vendite, esse sono spesso accusate di operare una discriminazione a danno dei contribuenti meno facoltosi.

La ricordata imposta generale sulle vendite, su cui si basa in così larga misura la nostra finanza statale, presenta alcuni complessi pro­ blemi di applicazione e riscossione a causa della così detta « clausola del commercio intestatale » (Interstate commerce clause) della Costi­

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tuzione statunitense. Questa calusola concede al governo federale il po­ tere esclusivo di regolare il commercio tra gli stati (Interstate com­ merce); ciò significa che i governi statali non possono applicare in via diretta alcuna imposta al commercio tra gli stati.

L’esame del dettaglio di codesta divisione di poteri tra i governi federale e statali si spinge al di là degli scopi del presente lavoro; è tutavia necessario osservare che una delle importanti funzioni della United States Supreme Court è quella di agire quale « arbitro del si­ stema federale » attraverso l ’interpretazione della Interstate commerce clause della Costituzione. Per quanto riguarda l ’imposta generale sulle vendite, la Interstate commerce clause va interpretata nel senso che uno stato non può direttamente istituire una imposta sull’acquisto di beni in altro stato, anche se l ’acquisto è effettuato da uno dei citta­ dini dello stato impositore.

Così, se nello stato di New York esiste una imposta generale sulle vendite e un cittadino di New York si reca ad acquistare un soprabito in un altro stato ove non esiste tale imposta, l’imposta prevista dal si­ stema fiscale dello stato di New York non si applica all’acquisto di cui sopra. Codesto fatto potrebbe costituire una grave lacuna nel sistema delle imposte generali sulle vendite, se la United States Supreme Court non avesse deciso che uno stato può, senza violare la interstate com­ merce clause della Costituzione, istituire la così detta use tax (im­ posta sull’uso) da applicarsi ai beni acquistati in altro stato al mo­ mento in cui i beni stessi varcano le frontiere dello stato impositore per essere colà usati. Per ritornare quindi al nostro esempio, non ap­ pena il soprabito sarà portato nello stato di New York per essere quivi usato, si potrà applicarvi una imposta, commisurata al valore del so­ prabito o al suo costo. Se si tratta di automobili, che debbono essere re­ gistrate dal proprietario nello stato ove egli ha la residenza, ovvero di beni di considerevole mole, quali macchinari pesanti, forniture per uffici, materiali da costruzione ed attrezzature per l’industria, la use tax può essere efficacemente applicata. Qualora si tratti invece di ge­ neri di uso personale, come i generi d’abbigliamento, gli alimentari, le sigarette ecc., il prelievo della use tax risulta in pratica ben più dif­ ficile.

Come si è visto, le amministrazioni locali, (città, contee, distretti scolastici, ecc.) hanno riscosso, nell’anno fiscale 1954, circa 11 miliardi di dollari di introiti fiscali. D i questo ammontare, circa 9,5 miliardi sono stati prelevati mediante la imposta generale sulla proprietà (ge­ nerai property tax). La sola altra imposta locale di una certa impor­ tanza è la imposta sulle vendite, che ha dato un pò meno di mezzo mi­ liardo di dollari. In questi ultimi anni, alcune amministrazioni citta­ dine hanno istituito anche una imposta sul reddito, il cui gettito è irrile­ vante. Infatti, quando vengono applicate dalle amministrazioni citta­ dine, l’imposta sulle vendite e, in misura minore, l’imposta sul reddito, presentano la pericolosa tendenza ad incoraggiare lo spostamento degli

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affari nelle aree confinanti ove non vige lo stesso sistema di imposi­ zione tributaria.

La imposta generale sulla proprietà (general property tax), die co­ stituisce da lungo tempo la linfa vitale delle nostre amministrazioni lo­ cali, è una imposta annuale da computarsi sulla base del valore delle proprietà situate entro i confini segnati dalla sfera di competenza delle autorità che istituiscono il tributo. Di solito l’imposta non colpisce la intangible property, e cioè i depositi bancari, le azioni, le obbliga­ zioni o le polizze di assicurazione. In quelle località, del resto poco nu­ merose, ove pure la intangible property è assoggettata all’imposta, l ’evasione fiscale è infatti assai frequente e le autorità non compiono un serio sforzo per esigere l’imposta. Ugualmente, la proprietà mobi­ liare di beni di uso personale, quali generi di abbigliamento, mobilio, gioielli ed altri oggetti dello stesso tipo, non è assoggettata all’imposta.

(Talvolta però sono tassate con quest’imposta le automobili, che es­ sendo iscritte negli appositi registri, sono facilmente accertabili).

L’imposta sulla proprietà, in altre parole, è principalmente (e in molti luoghi unicamente) una imposta sulla proprietà immobiliare, cioè, sulla proprietà del suolo e di quanto è ad esso incorporato. Essa è pre­ levata annualmente sulla base dell’accertameto del valore della pro­ prietà; l’aliquota varia considerevolmente da una città e da una con­ tea all’altra, una misura frequente è quella del 2 o 3 per cento sul va­ lore accertato. Il valore accertato dovrebbe corrispondere ad un onesto valore di mercato delle proprietà in questione. Negli ultimi anni, però, poiché la valutazione ai fini fiscali non ha subito sostanziali varia­ zioni, nonostante la notevole inflazione nei prezzi della proprietà ru­ stica e urbana, il valore fiscalmente accertato rappresenta in realtà solo una frazione, forse il 50 per cento o meno, del reale valore di mer­ cato. Se un proprietario terriero ritiene che il valore della sua pro­ prietà sia stato accertato in una misura eccedente il reale valore della stessa, ovvero se lamenta una sleale discriminazione a suo danno nel processo di valutazione, può proporre appello ad una commissione am­ ministrativa e. avverso la decisione di questa, presso le corti ordinar1 e. In periodi normali, l ’imposta è facilmente riscossa, in quanto l’ob- bligazione tributaria è assistita da un privilegio (lien) sul bene di cui si tratta, e in caso di mancato adempimento, può essere oggetto di ese­ cuzione forzata mediante la vendita del bene ad una pubblica asta.

Durante i periodi di forte depressione nel valore delle proprietà immobiliari, tuttavia, l ’amministrazione cittadina può incontrare con­ siderevoli difficoltà nel riscuotere le imposte mediante la vendita di pro­ prietà deprezzate, poiché può verificarsi l ’ipotesi dell’assenza di acqui­ renti.

Sebbene in questi ultimi anni il prelievo del tributo non abbia dato luogo a particolari difficoltà, molte amministrazioni hanno espresso il timore che l ’imposta generale sulla proprietà possa spingere fuori dei confini della città sia gli stabilimenti industriali e commerciali che le case di abitazione. Yi sono naturalmente altre forze, nel quadro della

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vita americana, che contribuiscono a questa « emigrazione » dal centro della città verso la « periferia », ed è pertanto difficile delimitare i con­ fini della responsabilità, in proposito, della imposta generale sulla pro­ prietà. Tuttavia, codesto timore che l’imposta possa costituire un fat­ tore importante nel senso sopra citato, ha indotto molte amministra­ zioni cittadine alla ricerca di altre fonti di gettito. In particolare, si è cercato di introdurre delle imposte che potessero raggiungere le per­ sone che vivono al di fuori della città ma che percepiscono il loro red­ dito entro i confini della città stessa. Così, alcune amministrazioni cit­ tadine, hanno istituito una imposta sul reddito, talvolta limitata ai salari percepiti entro i confini della città. Tuttavia, queste fonti locali di entrate fiscali sono ancora del tutto irrilevanti e la imposta gene­ rale sulla proprietà rimane di gran lunga la più importante imposta locale.

I governi statali versano sussidi di vario genere alle città e alle altre amministrazioni locali, sopratutto per favorire la costruzione e il mantenimento di istituti scolastici; si nota, inoltre, una crescente pressione volta ad ottenere simili contribuzioni anche da parte del go­ verno federale.

Questa forma di aiuti, tuttavia, incontra un’opposizione causata dal timore che gli aiuti stessi siano accompagnati, o seguiti da una supervisione del governo federale sul sistema scolastico: ambito che, negli Stati Uniti, è stato tradizionalmente considerato di competenza dei poteri locali.