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Ramon Ismael Gato Moya e Angel Dennis Diaz

Capitolo 3 Sentenze e normative post-Bosman

3.3 Il filone delle sentenze italiane

3.3.4 Ramon Ismael Gato Moya e Angel Dennis Diaz

Ramon Ismael Gato Moya e Angel Dennis Diaz sono pallavolisti di origine cubana noti, oltre che per le loro eccellenti carriere, per i fatti di cronaca giudiziaria. Nell’estate 2001 scappano da Anversa, luogo dove sono in ritiro con la loro nazionale, per andare in Italia, rispettivamente a Verona e Latina, per chiedere il tesseramento presso le società locali (API Verona e Volley Latina). La squadra veronese, neo costituita militava in serie A2, mentre la squadra latinense militava nella massima serie pallavolistica.

I tesseramenti vennero bloccati dalla Federazione Italiana Pallavolo (FIPAV) su richiesta della Federation Internationale de Volleyball (FIBV) perché la federazione cubana non aveva concesso il transfert. In questi casi la FIBV aveva la possibilità di utilizzare il cosiddetto “umbrella FIBV” per sostituirsi alla federazione di origine (quella cubana in questi casi) e concedere il transfert, ma non lo fece.

Entrambi i giocatori ricorrono in giudizio nei tribunali ordinari145 contro le due federazioni ma quello che emerge è come i due diversi giudici, partendo dallo stesso caso, siano riusciti a dare sentenze opposte.

Questo caso particolare evidenzia due problemi generali che continuano a tornare più volte nel mondo sportivo e sui quali i due giudici sono in contrasto:

1) Distinzione tra mondo professionistico e mondo dilettantistico;

2) Prevalenza della norma internazionale sportiva oppure il diritto del singolo;

Rispetto al primo punto la differenza, come già detto in precedenza, è tra prendere come punto di riferimento la lega di appartenenza e quindi derivare lo status dell’atleta dallo status della lega a cui fa capo146, oppure considerare il contratto e l’impegno richiesto sottostante l’attività svolta147.

145

La FIPAV cercò di opporsi ai processi puntando su un difetto di legittimazione dei tribunali in virtù dello statuto FIPAV che obbligava gli atleti a rivolgersi ai preposti Organi di Giustizia dell’ordinamento sportivo. I giudici, questa volta in accordo, adducendo come motivazione la mancata affiliazione degli atleti alla federazione respinsero la richiesta.

146

Dott. Mario Rosario Ciancio nella sentenza di Roma del 10 Luglio 2002 “Si rileva che non sono applicabili alla fattispecie le disposizioni della L. 23.3.1981, n. 91, che prevedono il divieto di limiti alla liberta contrattuale del giocatore professionista, essendo il gioco della pallavolo qualificato dal CIO e dal CONI come sport

dilettantistico.”

147

Dott. Agnese Di Girolamo nella sentenza di Verona del 23 Luglio 2002 “Ben è possibile affermare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a danno di Ramon Ismael Gato Moya e lesivo del diritto di

La differenza la si nota in sport come la pallavolo dove la lega è dilettantistica ma lo sforzo richiesto e i compensi elargiti sono da sport professionistico. In base a questa divergenza i giudici decidono se garantire i diritti concessi dalla legge oppure no.

Il secondo punto riguarda invece la norma sportiva internazionale che prevedeva la concessione del transfert da parte della federazione dove militava il pallavolista. Può una federazione decidere di limitare il diritto al lavoro dei suoi affiliati? Qui si scontrano due diversi principi, da un parte il desiderio di tutelare il proprio patrimonio (atleti) e conseguentemente il movimento nazionale148, dall’altra parte invece la libertà del singolo di andare ad offrire i propri servizi dove ritiene più opportuno149.

Le conseguenze sui pallavolisti furono pertanto opposte, Ramon Ismael Gato Moya potè partecipare al campionato italiano a partire dalla stagione 2002/2003, mentre Angel Dennis Diaz dovette aspettare la stagione successiva dopo aver nel frattempo acquisito la cittadinanza italiana per matrimonio.

questi al lavoro (prive di pregio appaiono le considerazioni di parte convenuta circa un minor rango del dilettantismo rispetto al professionismo e circa una conseguente non inconfigurabilità e non tutelabilità di un diritto al lavoro del giocatore dilettante: le norme contenute nel D. Lgs. 286/98 non legittimano alcuna discriminazione del dilettante e, comunque, seppur formalmente dilettanti, i giocatori come l’odierno ricorrente prestano la loro attività in favore delle società sportive italiane in virtù di un rapporto contrattuale che presenta tutte le caratteristiche proprie di un rapporto di lavoro la cui esatta natura, subordinata o parasubordinata, è irrilevante nel presente giudizio).”

148 Dott. Mario Rosario Ciancio nella sentenza di Roma del 10 Luglio 2002 “La FIPAV, nel pretendere il nulla osta

della FIVB si attiene ai regolamenti della Federazione Internazionale cui essa aderisce, che prescrivono la impossibilità di tesseramento senza il consenso della Federazione della Nazione di provenienza. (…) E’ evidente la ratio di detta disposizione, nel voler lasciare l’ultima parola nel passaggio di atleti ad altre Federazioni nazionali, alla Federazione di provenienza; Vi è la volontà di impedire che, contro la volontà delle singole Federazioni Nazionali il gioco al più alto livello finisca con l’essere monopolizzato dalle Nazioni che hanno più mezzi economici; Si tratta di scelte, inserite nei regolamenti internazionali, sottoscritte da tutte le Federazioni Nazionali, che danno la preferenza, rispetto all’interesse del singolo atleta di scegliere liberamente la Nazione in cui giocare, all’interesse della Nazione di provenienza, a non disperdere il proprio patrimonio di atleti, e non vi è motivo per ritenere detta scelta né discriminatoria, né altrimenti in contrasto con norme del nostro ordinamento.

149

Dott. Agnese Di Girolamo nella sentenza di Verona del 23 Luglio 2002 “La necessaria e preventiva autorizzazione delle federazioni sportive di appartenenza, richiesta per i lavoratori sportivi extracomunitari, costituisce un ingiustificato e pertanto vietato, ai sensi degli artt. 43 dell. D) e 44 D.L.gs. 286/98, elemento di differenziazione rispetto ai lavoratori italiani ed extracomunitari tale da compromettere il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. L’autonomia dell’ordinamento sportivo non può infatti significare l’impermeabilità totale dello stesso rispetto all’ordinamento statuale quando si tratti di garantire l’osservanza ed il rispetto di valori e principi aventi fondamento in convenzioni internazionali, in norme costituzionali e in norme primarie dell’ordinamento italiano”.

Nonostante la legge italiana suddivida l’ambito professionistico da quello dilettantistico in base alla lega di appartenenza, la dottrina150 sembra evolversi verso un criterio basato sulla prevalenza dell’attività e del servizio svolto.

Un punto di accordo condiviso dalla dottrina era il bisogno di un luogo ove poter incanalare le controversie in ambito sportivo senza dover passare per i tribunali ordinari. Venne pertanto istituito il 1 agosto 2001 la Camera di Conciliazione a Arbitrato per lo Sport (il regolamento della Camera viene emesso soltanto in data 4 giugno 2003 dal CONI) con funzioni consultive, di conciliazione e di arbitrato. SI ritiene inoltre che tutte le regole adottate in sede sportiva, in contrasto con le norme internazionali, comunitarie e statali devono ritenersi illegittime e non possono trovare applicazione negli ordinamenti sportivi.

In questo paragrafo abbiamo fatto un excursus sulle sentenza che hanno riguardato i maggiori sport italiani di squadra, in ordine abbiamo visto sentenza sul calcio, sul basket, sulla pallanuoto e sulla pallavolo.

Il primo dato che emerge è che le federazioni di questi sport non vengono coordinate da un organo superiore come il Coni ma vengono lasciate a una gestione completamente autonoma e questo a mio avviso crea disparità tra gli stessi atleti. Tale fatto fa si che una sentenza che vieta la discriminazione per nazionalità nel calcio (caso 3.2) non venga immediatamente accolta anche negli altri sport di squadra.

Emerge, inoltre, il differente trattamento tra sport professionistico (calcio e basket) e quello dilettantistico (pallanuoto e pallavolo), nel primo la predominanza del fattore economico non viene mai messa in discussione, nel secondo invece nonostante emolumenti e tempo dedicato all’attività elevatissimi (culminati in partecipazioni a competizioni internazionali come olimpiadi e coppe del mondo) un eventuale esito della sentenza non è certo.

Si è visto infatti come nei casi 3.2 e 3.3 precedentemente illustrati (riguardanti lo sport professionistico) le federazioni sono state costrette a cambiare i propri regolamenti sportivi per adeguarsi alla normativa europea, mentre nei casi riguardanti gli sport dilettantistici in

150 D’Onofrio P., Manuale operativo di diritto sportivo Casistica e responsabilità, Rimini, 2007, pag. 54 dice che

“Gli unici elementi coinvolti nella distinzione tra dilettantismo o professionismo hanno natura squisitamente formale, non prevedendo per la loro costituzione nessuna verifica basata sulle reali condizioni di compimento dell’attività agonistica da parte degli sportivi tesserati.”

alcuni casi i giudici hanno dato prevalenza alla questione formale (lo status di dilettante) per appoggiare le norme della federazione, mentre in altri si è tenuto conto dell’attività economica svolta dagli atleti.

Credo che tale differenziazione debba essere rivista, lo status di dilettante non può dipendere dalla lega di appartenenza ma bisogna dare maggiore risalto all’attività svolta dall’atleta per evitare di discriminare i dilettanti, italiani o extra-comunitari, come troppe volte succede.