Da ultimo, rimane da chiarire come disciplinare gli atti di disposizione che siano compiuti dalle parti, successivamente all’eliminazione della condizione.
Non si pongono, invece, particolari problemi nel caso in cui gli atti di disposizione siano posti in essere nel periodo di pendenza: l’eliminazione della condizione non è ancora intervenuta, e quindi troverà applicazione la normale disciplina del contratto condizionato.
- 180 - Per quanto riguarda la condizione sospensiva, abbiamo visto che
l’eliminazione della condizione si comporta come un contratto modificativo, per cui gli effetti traslativi della proprietà sono prodotti subito dopo la rimozione della clausola condizionale, senza soluzione di continuità. In tal caso, non c’è uno iato, né temporale né giuridico, tra l’eliminazione della condizione e il prodursi degli effetti traslativi in capo al compratore.
Quest’ultimo acquista subito la proprietà al momento dell’eliminazione della condizione, e non sarà possibile per il venditore trasferire ulteriormente ad altri la proprietà della cosa, che è già passata nella titolarità del primo compratore.
Nessun problema sorge, invece, nel caso sia stato l’acquirente a trasferire a terzi la propria posizione di aspettativa.
Anche per la condizione risolutiva si ripropone il problema degli atti di alienazione compiuti dal venditore successivamente all’eliminazione della clausola condizionale, ma tale ipotesi presenta maggiori difficoltà rispetto alla condizione sospensiva.
Nel caso di eliminazione della condizione risolutiva, infatti, abbiamo visto esserci uno iato tra l’eliminazione della condizione e il passaggio della proprietà in capo al compratore, che si realizza attraverso un ulteriore e successivo atto di trasferimento. Da un lato, la proprietà risolubile si esaurisce al momento dell’eliminazione della condizione, perché è venuta meno la precarietà; dall’altro lato, il contratto originario, che era stato programmato per realizzare uno schema di trasferimento del diritto del tutto particolare, vede definitivamente compromessa la possibilità di realizzare gli effetti traslativi in assenza della condizione. Il passaggio della proprietà piena in capo al compratore sarà quindi affidato ad un successivo contratto, dal contenuto identico al primo, ma non più condizionato: tra le more del secondo contratto, il venditore potrebbe trasferire la proprietà ad un terzo, e in tal caso troveranno applicazione le normali regole che disciplinano il conflitto tra più aventi causa dallo stesso autore.
- 181 -
8. L’eliminazione della condizione nei contratti ad effetti obbligatori
Le conclusioni raggiunte in merito all’eliminazione della condizione nei contratti ad effetti traslativi non possono essere applicate ai contratti ad effetti obbligatori.
Da un lato, il concetto di proprietà risolubile non è riferibile ai contratti che hanno ad oggetto prestazioni a carattere non traslativo; dall’altro lato, in questa tipologia di contratti, la stessa apposizione della condizione viene ad assumere un significato peculiare.
Se iniziamo l’analisi prendendo a modello la condizione risolutiva, si può notare che l’eliminazione della condizione andrebbe ad operare su un contratto che, durante la pendenza della condizione, non solo ha già prodotto effetti, ma ha visto il rapporto stesso ormai esaurirsi239. In caso di condizione risolutiva, infatti, se il contratto è stato eseguito correttamente, si realizza l’adempimento già durante la fase della pendenza della condizione risolutiva, estinguendo di conseguenza l’obbligazione. Si capisce quindi che l’adempimento, se avviene prima del verificarsi dell’evento, va a frustrare la stessa funzione della condizione risolutiva, in quanto il rapporto si è già estinto a seguito dell’adempimento, e non può essere più risolto.
L’adempimento, che si realizza prima del verificarsi della condizione, mal si concilia con lo stesso meccanismo condizionale, perché, di fatto, va a togliere rilevanza all’evento; inoltre, dal punto di vista strutturale, lascia aperto un interrogativo, che è quello di domandarsi come possa
239 In senso analogo si richiama (Costanza, 1997) p. 130 “Le considerazioni svolte in relazione alla c.d. proprietà risolubile non sono, però, suscettibili di generalizzazione e, soprattutto, di estensione alle situazioni creditorie, che si estinguono con l’esecuzione della prestazione. Rispetto ai contratti ad effetti obbligatori e ad esecuzione istantanea l’avveramento della condizione risolutiva non può determinare la caducazione di un rapporto che si è ormai esaurito, con l’adempimento. L’efficacia immediata dell’atto sottoposto a condizione risolutiva comporta l’esigibilità della prestazione e quindi l’obbligo di attuare gli impegni assunti. Se interviene la risoluzione, la prestazione non può essere eliminata; essa, al più, può essere restituita perché viene meno la sua ragione giustificativa.
Ma l’insussistenza della causa giustificativa non può che essere riferita al momento dell’avveramento.” L’Autrice prosegue prendendo una posizione rispetto alla quale, come si vedrà, ci si discosta “Perché possa sussistere una condizione risolutiva, occorre, perciò, che il rapporto contrattuale sia destinato a durare nel tempo. Se questa è la sola situazione che connota la condizione risolutiva, viene meno ogni problema di retroattività. Il 2°
comma della norma in esame stabilisce espressamente che nei contratti di durata l’avveramento della condizione risolutiva non intacca le prestazioni svolte. Si può quindi affermare che la condizione risolutiva e non la sua efficacia retroattiva, trovano un limite operativo nel caso di contratti obbligatori non di durata.”
- 182 - un’obbligazione, che si è estinta mediante l’adempimento, continuare a
sopravvivere per quanto riguarda la condizione.
Le difficoltà sopra segnalate, rispetto all’operare della condizione risolutiva nei contratti ad effetti obbligatori, non dipendono dal fatto che, in questa tipologia di contratti, non possa dispiegarsi l’effetto retroattivo della condizione risolutiva. Non sarebbe infatti corretto distinguere i rapporti obbligatori istantanei da quelli di durata, solo per il fatto che nei primi, estinguendosi il rapporto nel momento dell’esecuzione, non sarebbe possibile far retroagire gli effetti della condizione, mentre, nei rapporti di durata, è lo stesso codice a disciplinare gli effetti della condizione, facendo salve le prestazioni già eseguite. Un simile ragionamento presuppone di considerare i contratti obbligatori istantanei come sempre rientranti nella categoria di quei contratti rispetto ai quali “per la natura del rapporto, gli effetti […] della risoluzione debbano essere riportati ad un momento diverso” dalla loro retroazione (art. 1360 c.c.).
Si deve, invece, osservare che la retroattività delle prestazioni già eseguite trova di fatto un ostacolo solo laddove la prestazione abbia ad oggetto un facere, ossia un comportamento esecutivo, materiale, rispetto al quale non è sempre possibile un contro−operare nel senso di porre in essere lo stesso comportamento, ma di segno opposto. Se questo è vero, nulla però esclude che le restituzioni, che sono materialmente impossibili, possano comunque trovare luogo, se si considera il valore economico dell’operazione compiuta:
in tal caso, rinunciando ad un concetto di restituzione, per così dire, “in natura”, si potrà invece sempre restituire il valore di mercato di quanto è stato materialmente eseguito da una delle parti240.
240 Si ripropone, in modo sostanzialmente analogo, la riflessione svolta da (Gabrielli, Recesso e risoluzione per inadempimento, 1974) p. 735, per contestare chi sostiene che nei rapporti di durata la risoluzione debba necessariamente operare in senso irretroattivo “Né maggior pregio ha l’affermazione […] secondo cui la natura stessa delle prestazioni dedotte in alcuni tipici rapporti di durata escluderebbe la possibilità di quegli effetti restitutori che la retroattività inter partes, genericamente attribuita dalla legge alla risoluzione, di necessità comporta. Si è detto, per esempio, che il locatario non potrebbe comunque restituire il godimento tratto dalla cosa nonostante l’inadempimento del locatore; donde, in pratica, l’irretroattività della risoluzione. Ed è chiaro che un’ugual argomentazione potrebbe prospettarsi con riguardo alla prestazione di lavoro. Ma deve subito obiettarsi che l’impossibilità di restituire in natura l’ormai avvenuta fruizione di certe prestazioni lascia sussistere la possibilità di una restituzione per equivalente, la quale è parimenti idonea a rimettere ciascuna parte nella situazione economica in cui sarebbe stata, se, a partire da un certo momento, non si fosse verificato l’inadempimento.” Per un approfondimento sul
- 183 - Intesa in questo senso, la retroattività non incontra ostacoli nemmeno nei
contratti obbligatori istantanei e, in tal modo, si capisce che la difficoltà di pensare la condizione risolutiva rispetto ai contratti obbligatori non dipende dall’operare retroattivo della condizione.
Aiuterà a far chiarezza su questo punto, allontanarci dalla condizione risolutiva ed osservare il modo in cui la condizione sospensiva opera nei contratti ad effetti obbligatori.
La condizione sospensiva, come noto, determina l’inesistenza dell’obbligazione e del corrispondente diritto di credito durante lo stato di pendenza241: il credito sottoposto a condizione sospensiva non è né esigibile né compensabile, in quanto è inesistente242.
Possiamo quindi osservare che durante il periodo di pendenza, da un lato, il credito sottoposto a condizione risolutiva è esistente e, essendo esigibile, potrebbe essere già stato adempiuto; in modo opposto, il credito sottoposto a condizione sospensiva è inesistente e quindi anche inesigibile. Da ciò si deduce che lo stato di pendenza della condizione, qualunque essa sia, non vada ad incidere sul modo di conformarsi del diritto di credito, il quale o è esistente nella sua forma piena e definitiva, come avviene in caso di condizione risolutiva; oppure è inesistente, come avviene in caso di condizione sospensiva.
Nei contratti ad effetti obbligatori, le difficoltà legate alla condizione, sia essa sospensiva o risolutiva, non riguardano la possibilità di far retroagire gli effetti, ma quanto piuttosto il fatto che non si possa predicare l’incertezza rispetto alla posizione di creditore o di debitore.
Mentre rispetto ai diritti reali si può trasmettere una situazione di titolarità precaria come la proprietà risolubile; al contrario, non è possibile ammettere una situazione di precarietà rispetto ai diritti di credito, perché in questi l’obbligazione determina la misura dell’impegno richiesto al debitore, e si
l’operare della irretroattività nei contratti di durata si rinvia alla riflessione di (Pagliantini,
2006), p. 61 ss.
241 Si veda (Amadio, 1996) p. 462.
242 (Bianca, Le obbligazioni, 1990), p. 484, parla di incertezza del credito, più che di inesistenza: “il credito incerto è solo quello sottoposto a condizione sospensiva. La condizione risolutiva invece non influisce sulla certezza attuale, ma casomai solo sulla sua certezza futura.”
- 184 - può solo ammettere che un soggetto sia obbligato o che non lo sia, non
invece che sia “quasi obbligato”.
Questo non significa che non si possa apporre la condizione ai contratti ad effetti obbligatori, ma che si dovrà tener conto del diverso modo di operare della condizione in questo tipo di contratti, rispetto a quelli traslativi.
Il fatto che nei diritti di credito non si riesca ad individuare una situazione giuridica diversa dalla piena titolarità del credito, viene dimostrato richiamando i modi di esercizio del diritto di credito durante la fase di pendenza.
Nei contratti obbligatori, la disciplina fissata dal codice per la fase di pendenza trova applicazione solo rispetto all’art. 1357 c.c. relativo agli atti di disposizione del diritto, come ad esempio la cessione del credito condizionale; mentre le norme previste in merito all’esercizio del diritto e al comportamento delle parti nello stato di pendenza (artt. 1356 e 1358 c.c.) incontrano un ostacolo proprio in relazione al principale modo di esercizio del diritto di credito, ossia l’adempimento.
Se il debitore si offre di adempiere un credito sottoposto a condizione risolutiva, e il creditore accetta, ci si domanda come sia possibile accettare l’adempimento e, allo stesso tempo, “conservare integre le ragioni dell’altra parte” (art.1358 c.c.). La risposta a questa domanda la si ricava pensando alla stessa funzione dell’adempimento come modo di estinzione dell’obbligazione, per cui l’adempimento, anche se si svolge durante la fase di pendenza della condizione, è pienamente idoneo a condurre il rapporto alla sua estinzione, negandosi in radice la possibilità di configurare un
“adempimento precario”.
Il fatto che in caso di condizione risolutiva si ritenga ammissibile la disciplina dell’indebito, non inficia la validità dell’adempimento ad estinguere l’obbligazione, ma rivela piuttosto un’incongruenza, che consiste nel consentire al meccanismo condizionale di funzionare anche quando l’obbligazione, cui è apposta la condizione, è stata estinta per adempimento.
Non si può, peraltro, fare a meno di notare che la disciplina dell’indebito non è prevista dal codice in materia di condizione, per cui il ricorso all’indebito altro non sarebbe che un’applicazione alla condizione risolutiva della disciplina prevista per il caso di risoluzione per impossibilità
- 185 - sopravvenuta (art. 1463 c.c.) che, come noto, non è invece applicabile alla
risoluzione per inadempimento. Questo rilievo contribuisce a rafforzare i dubbi in merito alla possibilità di applicare la disciplina dell’indebito in caso di condizione risolutiva.
L’unico modo per superare queste difficoltà è quello di considerare la condizione operante solo rispetto ad un rapporto non ancora esaurito243: non importa quindi se il rapporto obbligatorio sia istantaneo o di durata, ma è necessario invece che l’adempimento non si sia ancora realizzato244.
Questa conclusione può portare ad un’ulteriore riflessione, relativa al fatto che, se il debitore offre di adempiere il debito risolutivamente condizionato, e il creditore accetta l’adempimento, la volontà delle parti si muove nel senso di produrre gli effetti e di renderli definitivi, ossia di considerare il contratto come se non fosse più condizionato.
L’adempimento del contratto assume il significato di eliminazione della condizione, dal momento che, nei contratti obbligatori, la condizione apposta, sia essa sospensiva o risolutiva, impedisce in ogni caso la produzione degli effetti nello stato di pendenza.
Per quanto riguarda la condizione sospensiva, infatti, abbiamo visto che, durante la sua pendenza, il vincolo è inesistente, perciò il credito non potrà essere esigibile, finché non si avvera la condizione.
Nella condizione risolutiva, sebbene il credito sia esistente ed esigibile, si deve considerare che, se le parti vogliono che il contratto si risolva a seguito del verificarsi dell’evento condizionale, allora è logico che non potranno eliminare il rapporto mediante il suo adempimento. Se vogliono far sì che la sorte del contratto dipenda dalla condizione, dovranno astenersi dall’eseguire il contratto245, finché l’evento non sia verificato o mancato.
243 Si segnala la vicinanza del tema rispetto al recesso convenzionale, in relazione al quale
“la stessa norma generale dell’art. 1373 c.c. preveda, nell’ultimo comma, la possibilità di pattuire l’esercizio del recesso re non integra, anche dopo, cioè, che il contratto abbia avuto compiuta esecuzione”: la citazione è di (Gabrielli, 1985), p. 94. E’ comunque da rilevare la differenza che intercorre tra il contratto che abbia avuto un principio di esecuzione e quello invece che sia stato adempiuto.
244 Questa conclusione trova conferma nella disciplina prevista all’art. 1360 c.c. per i rapporti di durata, rispetto ai quali la condizione non opera per le prestazioni che sono già state eseguite.
245 Abbiamo visto però che la condizione risolutiva non impedisce di porre in essere atti di disposizione del diritto, che non implicano però la sua esecuzione, come la cessione.
- 186 - In entrambi i casi, quindi, la condizione ostacola la produzione degli effetti
del contratto durante la fase di pendenza: ne segue che la volontà che il contratto produca effetti e, a maggior ragione, l’adempimento, assumono il significato di eliminare la condizione precedentemente apposta. Si potrà quindi in questi casi eliminare la condizione per fatti concludenti, semplicemente attraverso l’esecuzione del contratto, senza bisogno di alcuna ulteriore pattuizione.