La tesi che si è proposta, configurando la prestazione in luogo dell’adempimento attraverso un meccanismo di tipo condizionale, ha negato l’appartenenza della figura al concetto di contratto modificativo, fornendo una risposta a molte delle criticità che hanno costituito il punto di partenza di questa indagine.
In primo luogo, si è posto un atto di rottura rispetto alla vicinanza, più o meno esplicita, rispetto alla novazione. La prestazione in luogo dell’adempimento non costituisce una modifica dell’oggetto del contratto, e questa presa di posizione elimina alla radice il problema di capire se la modifica posta in essere rappresenti o meno una novazione.
I risultati fin qui raggiunti ci permettono di affermare la distanza tra il contratto modificativo e la prestazione in luogo dell’adempimento, dal momento che quest’ultima ha una struttura lontana dal binomio novazione-contratto modificativo. L’art. 1197 c.c. contempla una fattispecie autonoma, con una propria disciplina specifica, che non può essere appiattita sulla figura della novazione.
La distanza dalla fattispecie modificativa ha consentito di ottenere dei primi risultati importanti, riaffermando la libertà delle parti di prevedere, come
- 97 - prestazione in luogo dell’adempimento, qualsiasi tipo di comportamento. Si
evita in tal modo di trasferire sull’art. 1197 c.c. la logica del modificativo dell’oggetto: se per quest’ultimo ha senso il limite di non realizzare delle modifiche non accessorie, a pena di attrazione nel campo della novazione, questo limite perde di significato se applicato all’art. 1197c.c., restringendo in modo arbitrario quell’ampiezza di decisione che invece il codice consente.
Un ulteriore risultato è stato raggiunto in relazione al secondo comma, perché riconoscere, come evento dedotto in condizione, la seconda prestazione integrata dalla garanzie, ha fornito una lettura unitaria di tutte le parti della norma. L’alternativa concessa al creditore, a fronte dei vizi o dell’evizione della seconda prestazione, di chiedere a sua scelta le garanzie oppure l’adempimento della prestazione originaria, non è più vista come l’accostamento di rimedi risalenti a due opposte concezioni della norma, ma assume coerenza, se spiegata attraverso il meccanismo dell’avveramento o del mancamento della condizione. In tal modo, si è sottratto il secondo comma dell’art. 1197 c.c. dal campo dei rimedi per l’inadempimento, rispetto al quale se ne è dimostrata l’estraneità, mancando sia la possibilità di ricondurlo alle forme di tutela predisposte dall’ordinamento per i casi di inadempimento, sia lo stesso presupposto di attivazione di questi rimedi, ossia l’inadempimento.
Questa impostazione ci ha consentito di affrontare diversamente il concetto di realità, che tende ad unificare l’effetto proprio della seconda prestazione con quello estintivo dell’obbligazione. Il meccanismo condizionale, invece, riesce a spiegare il realizzarsi di questa duplicità di effetti, creando un nesso qualificato che consenta l’estinzione dell’obbligazione nel momento in cui si verifica l’evento dedotto in condizione.
Da ultimo, si è affermata l’appartenenza dell’art. 1197 ai modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, consentendo così all’obbligazione di conservare la sua identità originaria, anche dopo l’esecuzione della diversa prestazione.
Cambiando prospettiva, arriviamo ai punti problematici della teoria che interpreta la prestazione in luogo dell’adempimento come una condizione, notando che si presta ad essere criticata per il fatto di concedere al debitore
- 98 - una condizione meramente potestativa136, durante la pendenza della quale il
creditore resta in balìa della volontà del debitore di eseguire o meno la diversa prestazione.
Si osserva che la condizione di cui all’art. 1197 c.c. è potestativa, ma non meramente potestativa, in quanto anche il debitore ha interesse ad eseguire la diversa prestazione, per potersi liberare dal vincolo con il creditore.
Quest’ultimo, infatti, ha concesso alla controparte una chance in più per estinguere l’obbligazione, perché verosimilmente sono poche le probabilità che il debitore riesca ad adempiere alla prestazione dovuta, che è quella originariamente pattuita. Il rischio di sottostare alla volontà del debitore per tutta la durata della condizione è inoltre neutralizzato dal fatto che il creditore possa richiedere la prima prestazione, e così rendere definitivamente inoperante la condizione.
Un aspetto interessante è quello di notare che anche in base alla tesi, da cui ci siamo allontanati, è possibile riconoscere l’elemento della potestatività in capo al debitore: la tesi della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo dell’oggetto, infatti, si sviluppa come concessione al debitore del potere unilaterale di modificare l’oggetto dell’obbligazione originaria137. La configurazione come potere unilaterale enfatizza al massimo il rischio che il creditore resti assoggettato alla decisione del debitore.
D’altra parte, l’elemento della potestatività non è eliminabile se, come si crede di aver dimostrato, l’art. 1197 c.c. consente al debitore di poter estinguere l’obbligazione attraverso l’adempimento, anche dopo aver pattuito la prestazione in luogo dell’adempimento: in altre parole, la potestatività è insita nell’attribuzione stessa al debitore della scelta di eseguire la diversa prestazione o quella originariamente pattuita.
136 (Sicchiero, 3/2002) p. 1385 “Deve allora ritenersi possibile configurare un accordo nel quale si convenga che la diversa prestazione non estingua la precedente se non nella misura in cui risulti utile al creditore, salva solo la necessità di fissare indici idonei ad evitare che l’accordo risulti indeterminato o afflitto da condizione meramente potestativa.”
137 (Zaccaria, 1987) p. 13.
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