• Non ci sono risultati.

Le restrizioni a livello comunitario in forza della prevalenza sul diritto interno e bre

Nel documento La exit tax (pagine 39-42)

A limitare l'autonomia pattizia discendente dalle convenzioni bilaterali, sull’ordinamento italiano, in quanto Stato membro dell’Unione Europea, gravano specifici vincoli, dati dalla prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, sancita anche a livello costituzionale dall’art. 117. Il Trattato di Lisbona, di seguito “Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea”, contiene i principi fondamentali dell’Unione Europea e le regole di funzionamento degli organi comunitari, a cui ogni membro della Comunità Europea ha l’obbligo di aderire.43 Si aggiungono, inoltre, le particolari ripercussioni sugli ordinamenti interni derivanti dalle pronunce interpretative della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, le quali, non solo vincolano il giudice nazionale remittente a conformarsi alle soluzioni in esse contenute, ma hanno efficacia erga

omnes, determinando l'obbligo di un adeguamento degli ordinamenti nazionali da esse

divergenti.

Ciò premesso, l’elemento cardine dell’ordinamento comunitario si evidenzia nel complesso delle libertà fondamentali sancite dal Trattato di Roma, collegate fra loro dal principio di non discriminazione. Le quattro libertà fondamentali, considerate il lietmotiv dell’opera comunitaria di armonizzazione, s’inseriscono nel palcoscenico della fiscalità internazionale come vincolo per le legislazioni nazionali nella disciplina di quelle materie oggetto di ravvicinamento. 44

43 Sulla prevalenza del diritto comunitario su quello dei singoli Stati membri si veda la sentenza della

Corte Costituzionale 5 giugno 1984, n. 170: “le disposizioni della CEE, le quali soddisfano i requisiti

dell'immediata applicabilità, devono, al medesimo titolo, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato. Non importa, al riguardo, se questa legge sia anteriore o successiva. Il regolamento comunitario fissa, comunque, la disciplina della specie. L'effetto connesso con la sua vigenza è perciò quello, non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al Giudice nazionale. In ogni caso, il fenomeno in parola va distinto dall'abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all'interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti”.

44 Cfr. CARINCI A., Il diritto comunitario alla prova delle exit taxes, tra limiti, prospettive, e

contraddizioni, Studi Tributari Europei, 2009, 1. secondo il quale, quanto operato dalla Corte di Giustizia

europea in materia di exit tax, tramite le sentenze pronunciate nel corso degli anni, «si è trattato di

un’armonizzazione/ravvicinamento solo negativi, attuati mediante la mera rimozione di quei profili di disciplina nazionale reputati incompatibili con norme, principi e valori fondamentali del diritto comunitario».

33

Le libertà introdotte dal Trattato Ue vietano l’applicazione di normative nazionali laddove discriminino merci, persone, servizi e capitali a motivo della loro origine, nazionalità, residenza, luogo di collocamento od altro criterio di natura analoga. In particolare, in merito alla libera circolazione dei capitali, viene lasciato uno spazio di manovra agli Stati membri per l’introduzione di norme che, quand’anche prevedano un trattamento fiscale differente in ragione della residenza o del luogo di collocamento del capitale – in particolar modo per la necessità avvertita dagli Stati, soprattutto in materia fiscale, di introdurre misure che evitino violazioni delle norme interne –, non possono tradursi in mezzi di discriminazione arbitraria, né possono rappresentare delle restrizioni dissimulate al libero movimento dei capitali. Pertanto, l’introduzione di garanzie impositive per gli Stati deve trovare adeguato bilanciamento nell'impossibilità di contrastare le libertà fondamentali sancite dal Trattato.

All’interno del quadro di libertà così delineato si inserisce la libertà di stabilimento, sancita dall’art. 49 del TFUE, la quale prevede il divieto espresso per gli Stati membri all’ostacolo dell’esercizio di attività imprenditoriali che un cittadino di uno Stato membro voglia esercitare in altro Stato membro. Nata come garanzia fornita alle persone fisiche, è stata poi ampliata alle persone giuridiche dal combinato disposto degli art. 49 e 54 TFUE45. Inoltre, la nozione di libertà di stabilimento ha un’accezione molto ampia, la quale è stata più volte definita, in sede giurisprudenziale, in termini di «possibilità, per

un cittadino comunitario, di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio, integrandosi nell'economia nazionale, con l'esercizio di un'attività economica effettiva» (sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, punto 25).

Aspetto rilevante ai fini della nostra trattazione è proprio la garanzia, sancita dal filone giurisprudenziale comunitario, concessa alle società localizzate all’interno dell’Unione europea, di poter porre in essere scelte di carattere organizzativo e strutturale senza

45 Ai sensi dell’Articolo 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (ex articolo 48 del TCE)

“le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro”.

34

subire un trattamento diverso da quello sarebbe stato riservato loro, se tali operazioni fossero state implementate su scala nazionale, piuttosto che comunitaria.

Alla luce di tali principi, l’ordinamento nazionale, nell’introdurre regole specifiche, dovrebbe quindi preliminarmente effettuare una valutazione circa la compatibilità della disciplina interna con quella comunitaria, dal momento che vige la prevalenza della seconda sulla prima.

Peraltro, al fine di evitare che le restrizioni normative introdotte dagli ordinamenti nazionali subiscano le sorti dell’ammonimento comunitario, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha definito un parametro di legittimità cui gli Stati possono fare riferimento per valutare il grado di compatibilità delle discipline interne con la libertà di stabilimento. Denominato test Gebhard, dalla sentenza in cui fu meglio enucleato, prevede che la normativa interna, per essere legittima debba:

i. applicarsi in modo non discriminatorio;

ii. essere giustificata da motivi di interesse pubblico;

iii. essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito; iv. non andare oltre quanto necessario per raggiungerlo.

Tali requisiti non sono altro che l’estrapolazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, già parametri di legittimità per le questioni poste al vaglio della Corte Costituzionale italiana. Pertanto, quand’anche non fosse presente il “vincolo comunitario”, le previsioni normative nazionali dovrebbero comunque conservare una portata tale da non soccombere a tali giudizi. Eppure, lo si vedrà nel proseguo, in materia di tassazione all’uscita, l’iniziale formulazione della disciplina si poneva in evidente contrasto con i principi su enunciati.

35

C

APITOLO

II

I

L TRASFERIMENTO DELLA RESIDENZA

:

LA PERDITA DEL COLLEGAMENTO PERSONALE

Nel documento La exit tax (pagine 39-42)