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Ulteriori cenni in merito al trattamento riservato alla stabile organizzazione

Nel documento La exit tax (pagine 143-148)

l’applicabilità del regime opzionale introdotto dal medesimo decreto anche al caso in cui una stabile organizzazione italiana venga trasferita in un altro Stato membro o in uno Stato appartenente allo Spazio Economico Europeo. Come noto, ai fini della tassazione sui redditi, la stabile organizzazione di un soggetto non residente è considerata come un’entità separata e distinta dalla società che ha deciso ivi di localizzarla, tant’è che costituisce un autonomo soggetto d’imposta rispetto alla società di cui è l’articolazione. Nell’ordinamento interno, però, manca una specifica previsione in merito agli effetti fiscali che il trasferimento all’estero di una stabile organizzazione localizzata in Italia possa provocare, benché l’orientamento appalesato dall’Amministrazione finanziaria già nella risoluzione 124/E/2006 fosse stato sufficientemente chiaro. Secondo l’interpellata

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Agenzia delle Entrate, infatti, il trasferimento all’estero di una stabile organizzazione italiana comporta il realizzo al valore normale dei componenti del complesso trasferito. Per cui, anche al caso della stabile organizzazione, qualora il trasferimento avvenga in un altro Stato membro o in uno Stato aderente allo Spazio Economico Europeo, si rendono applicabili le medesime considerazioni fatte in tema di violazione della libertà di stabilimento. A fortiori, giacché anche la celebre sentenza National Grid Indus BV aveva esteso la portata dei principi ivi contenuti al trasferimento della stabile organizzazione di un soggetto non residente in un altro Stato membro. Alla luce di tali premesse, il legislatore italiano ha validamente previsto la fruibilità del regime opzionale in tale ulteriore circostanza, evitando di incorrere in una possibile lesione della libertà di stabilimento cd. secondaria.149

D’altro canto, perché si possa beneficiare del differimento della tassazione, è necessario che il complesso trasferito sia astrattamente idoneo a svolgere un’effettiva attività economica. Il semplice trasferimento all’estero di cespiti relativi al compendio patrimoniale della stabile organizzazione italiana conserva la sua natura di «evento realizzativo», poiché tale operazione recide irrimediabilmente il collegamento territoriale – presidio della potestà impositiva statale sui redditi della stabile organizzazione ivi localizzata – che lo Stato vanta nei confronti dei singoli cespiti. In aggiunta a ciò, la legittimazione della soddisfazione immediata della pretesa erariale vantata dallo Stato d’origine promana da un second’ordine di considerazioni: il trasferimento di componenti a se stanti, incapaci di essere astrattamente idonei allo svolgimento di un’attività economica, se non con l’ausilio di ulteriori cespiti che non abbiano subito le medesime sorti dei primi, non integra un’ipotesi di esercizio della libertà di stabilimento e, di conseguenza, lungi dal comportare una questione di incompatibilità tra una siffatta pretesa tributaria ed i precetti comunitari.

Di tale avviso è anche l’Assonime che nella circolare n. 5/2014 aveva condizionato l’integrazione del presupposto d’applicazione del decreto per il trasferimento all’estero della stabile organizzazione o di una sua parte, al caso in cui, da tale trasferimento, ne fosse discesa la continuazione dell’attività d’impresa nel Paese di destinazione.

149 Vd. AVOLIO D. e FORT G., “Exit tax” e trasferimento all’estero della stabile organizzazione, in

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Un ultimo aspetto concernente la stabile organizzazione italiana, questa volta considerata come sede d’affari residuale al trasferimento della residenza della società “madre”, è il non chiaro orientamento, in seno al nuovo decreto ministeriale, sul trattamento dei cd. intangible assets.

Nel corpus normativo del DM 2 agosto 2013 e, parimenti, del DM 2 luglio 2014, il MEF ha previsto che il valore dell’avviamento e quello dei rischi propri dell’impresa debbano essere inclusi nella plusvalenza latente su cui determinare la rateizzazione ovvero la sospensione dell’imposta150. Ebbene, al pari di quanto avviene per gli altri componenti interessati dall’applicazione del regime opzionale151, si dovrà verificare se detti beni non abbiano subito le sorti previste dall’esimente152 di cui all’art. 166 t.u.i.r..

Pertanto, prima di annoverare il plusvalore latente di detti beni fra quelli che concorrono alla formazione della «plusvalenza da trasferimento di residenza», si dovrà verificare se quest’ultimi non siano già confluiti nel compendio patrimoniale della stabile organizzazione che residua nel territorio dello Stato, dal momento che, in tal caso, saranno esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione.

In ictu oculi vi è la difficoltà di appurare una tale circostanza per beni come

l’avviamento o il know how che, per loro natura, non sono suscettibili di autonoma individuazione. Talché un’indagine sull’effettivo trasferimento all’estero dei beni in questione si rivelerebbe eccessivamente dispendiosa e, soprattutto, improduttiva in ordine alla certezza dei risultati raggiunti.

Alla luce di tali considerazioni, parte della dottrina, anticipando i problemi in cui sarebbe incorso il decreto attuativo, aveva ipotizzato come si potesse giungere, nell'ambito della quantificazione della plusvalenza latente, ad una "presunzione di trasferimento" per certi beni immateriali – primo fra tutti l'avviamento – dal momento

150 Primo aspetto rilevante di tale previsione è la dissoluzione di ogni dubbio in merito alla ricomprensione

dei cd. intangible assets nella base imponibile soggetta ad exit tax. Il decreto ha indirettamente confermato la rilevanza fiscale all’atto del trasferimento di detti componenti, prevedendo la possibilità di fruire del regime opzionale per l’imposta su essi gravante.

151 Le considerazioni che seguiranno possono validamente riguardare anche il tenore letterale dello stesso

art. 166 t.u.i.r.

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che la stabile organizzazione non avrebbe rappresentato più l'intero complesso aziendale, cosa che invece avveniva prima in capo alla società153.

Invero, la questione s’instaura nell'ambito di una teoria d’impronta prettamente economica, secondo cui vi è una tendenza ad ancorare fisiologicamente una determinata tipologia di beni, quali i cd. intagible assets, ai centri strategico-direzionali dell'impresa. L'assunto si fonda sul ruolo giocato dai beni in questione nel processo di creazione del valore, nonché sulla stretta correlazione esistente fra gli stessi e l'essenza dell'impresa, tali da indurre al loro accentramento nel luogo in cui si trova la sede di direzione effettiva. Prendendo le mosse da tali considerazioni, il fatto che il legislatore abbia implicitamente riconosciuto la possibilità di far convogliare tali beni nel compendio patrimoniale della stabile organizzazione italiana presuppone che il complesso aziendale localizzato nel territorio dello Stato abbia conservato un peso rilevante nella struttura organizzativa dell'impresa, tale da mantenere in Italia il valore dell'avviamento e quello delle funzioni e dei rischi propri dell'impresa.

La scelta legislativa in commento, pur trovando giustificazione nella necessità, insita nella previsione stessa e coerente con la ratio antielusiva della tassazione all’uscita, di non poter escludere un'indagine sostanziale sulle scelte operate dalla sede centrale in merito all'effettiva riallocazione dei rischi propri o dell'avviamento, ha posto le basi per l’insorgere di una serie di problemi in ordine alle possibili conseguenze da essa ritraibili. Infatti, se ad emergere è la scelta del soggetto trasferito di conservare in Italia quelli che sono gli asset strategici, si potrebbe incorrere nella creazione di una divergenza fra il luogo in cui viene a localizzarsi l'essenza dell'impresa e quello in cui la stessa ha deciso di insediare la sede.

Gli effetti di una siffatta circostanza sono riassumibili in due scenari fra loro consequenziali.

Il primo risvolto si rileva in termini di attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione. Il nostro ordinamento, compatibilmente con quanto suggerito dal modello OCSE, prevede che l'attribuzione di profitti sia influenzata dalla concorrenza di

153 MAYR S., Trasferimento della residenza delle società: i problemi che dovrà affrontare il decreto

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diversi fattori fra cui spicca la ripartizione di funzioni, attività e rischi fra la stabile organizzazione e il resto dell'impresa. Ciò significa che maggiore è il peso attribuito alla stabile organizzazione in termini di concorrenza alla creazione di utile e maggiore è la base imponibile sottesa alla giurisdizione italiana154.

Un secondo effetto, o meglio una conseguenza del primo, si rinviene nell'ipotesi estrema in cui la maggior parte delle funzioni e delle attività proprie dell'ente trasferito siano state integrate dalla stabile organizzazione. Ciò inevitabilmente implicherebbe delle riconsiderazioni in merito all'effettivo trasferimento della residenza della società e questo perché, se l'headquarter, cui generalmente sono collegati gli intangibile assets e il core business della stessa, si considera localizzato in Italia, vengono meno i presupposti per la perdita della residenza fiscale nel territorio dello Stato. In altri termini, la stabile organizzazione integrerebbe in modo più stringente i presupposti della residenza fiscale rispetto a quanto avrebbe potuto fare la società trasferita nello Stato di destinazione a parità di criteri di collegamento adottati.155

Stanti tali considerazioni, a mente del nuovo DM 2 luglio 2014, la miglior soluzione prospettabile sembrerebbe la seguente: ai fini della fruizione dell’attuale disciplina del

tax deferral, la plusvalenza su cui potrà essere esercitata l’opzione prevista dal decreto

terrà validamente conto del valore dell’avviamento e di quello dei rischi propri dell’impresa, i quali, se non diversamente disposto e provato, si dovranno considerare parte del compendio trasferito. In tal modo, gli effetti della soluzione adottata dal decreto saranno temperati, pur senza eliminare il peso delle scelte imprenditoriali compiute dal soggetto emigrato.

154 Per una disamina dei criteri utilizzati sia nell'ordinamento nazionale che a livello di convenzioni

internazionali si veda DE LUCA A. e BAMPO A., La stabile organizzazione in Italia, Milano, 2009, pag. 184 ss. secondo cui, nell'attribuzione dei profitti alla stabile organizzazione occorre considerare, oltre a quanto espressamente citato, l'attribuzione di mezzi finanziari sulla base delle attività e dei rischi demandati alla stabile organizzazione, la fissazione dei prezzi delle transazioni nel rispetto del principio di libera concorrenza, l'evidenza delle operazioni intercorse tra la stabile organizzazione e soggetti terzi ed, infine, la determinazione della comparabilità di dette operazioni con quelle effettuate sul libero mercato. Nello stesso senso, FORT G., in MAYR S. e SANTACROCE B. (a cura di), La stabile organizzazione

delle imprese industriali e commerciali, Milano, 2013, pag. 185 e ss.

155 Vedi AVOLIO D. e PEZZELLA D., Quali trasferimenti di sede all'estero possono beneficiare della

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10. L’applicabilità delle convenzioni contro le doppie imposizioni nella

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