• Non ci sono risultati.

La terza fase del riporto delle perdite

Nel documento La exit tax (pagine 101-107)

6. Il trattamento delle perdite relative ai periodi d’imposta antecedenti il trasferimento

6.3 La terza fase del riporto delle perdite

L’ultima delle tre fasi dispone le modalità di trattamento delle eventuali perdite non utilizzabili per l’incapienza delle plusvalenze da trasferimento di residenza. L’ultimo periodo del comma 4, art. 1 , prevede che “per le eventuali perdite ancora residue , resta

ferma l'applicazione dell'art. 166, comma 2-bis, del t.u.i.r.”.

L’espresso richiamo alla norma d’origine implica la computabilità in diminuzione del reddito della stabile organizzazione ai sensi dell'art. 84 t.u.i.r. e alle condizioni e nei limiti indicati nell'art. 181 t.u.i.r., per le perdite generatesi fino al periodo d'imposta anteriore a quello da cui ha effetto il trasferimento all'estero della residenza fiscale, non compensate con i redditi prodotti fino a tale periodo.

116 MICHELUTTI R. e PRAMPOLINI A., Riporto delle perdite nella«exit tax», in Corriere Tributario,

2013, p. 3655-3662, seguendo questa seconda interpretazione, sono dell’avviso che la previsione di due distinte fasi per la compensazione delle perdite, nonché la generica formula letterale adottata dell’art. 1, comma 4, del decreto, lascerebbero intendere la possibilità di utilizzo integrale delle perdite a fronte della plusvalenza da perdita di residenza, ogniqualvolta non sia configurabile alcuna stabile organizzazione fin dall’inizio del periodo d’imposta di non residenza e l’intero patrimonio della società che trasferisce la sede all’estero deve quindi considerarsi liquidato ai fini fiscali italiani.

95

Pertanto, il legislatore ha previsto, per le eventuali ulteriori perdite, la possibilità di fruirne nell’ambito della determinazione del reddito imponibile afferente la stabile organizzazione residuale al trasferimento. Tale facoltà è, però, subordinata all’applicazione di un duplice vincolo. Da un lato, infatti, si prevede l’applicazione dei limiti di cui all’art. 181 t.u.i.r., disciplinante il trattamento delle perdite per i soggetti non residenti, e dall’altro, l’applicazione degli ordinari criteri sanciti dall’art. 84 t.u.i.r., ossia il recupero quantitativamente limitato delle perdite nei diversi periodi d’imposta.

Ne risulta che, nei periodi d’imposta successivi al trasferimento della residenza, la stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato potrà procedere al riporto delle perdite in proporzione e nei limiti della differenza tra gli elementi dell’attivo e del passivo ad essa effettivamente connessi e, contemporaneamente, potrà dedurre dal reddito imponibile, una quota delle stesse così determinate nel limite dell’80% del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta. Tutto ciò, è in ogni caso subordinato alla condizione che la stabile organizzazione superi il cd. “test di vitalità”, ossia che l’ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e l’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 c.c., sia superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media del biennio precedente.

La proporzione da operare sui componenti dell’attivo e del passivo afferenti la stabile organizzazione, deve avvenire a partire da quelli risultanti dal primo periodo di non residenza. Ciò coerentemente con la ratio di una norma che vuole, prioritariamente, definire quale debba essere la quota di perdite utilizzabile dalla stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato.

Secondo la normativa interna, infatti, la stabile organizzazione di un soggetto non residente, quale “modulo” tramite il quale viene localizzata nel nostro territorio l’attività della società madre, deve essere considerata, ai soli fini fiscali, un soggetto indipendente e, come tale, assoggettato a tassazione. Mentre la struttura imprenditoriale del soggetto non residente, non essendo ancorata al territorio dello Stato, non soddisfa i criteri di collegamento personale e territoriale e, pertanto, non può essere ivi tassata. Una siffatta impostazione risponde alla volontà di ripartire la potestà impositiva e di impedire alla società estera di utilizzare duplicemente le perdite prodotte dalla stabile organizzazione,

96

una prima volta in capo alla stabile organizzazione ed una seconda volta in capo alla società stessa.

Pertanto, la previsione introdotta nel nostro ordinamento, in merito all’utilizzabilità delle perdite afferenti la stabile organizzazione localizzata nel territorio dello Stato, collega fisiologicamente l’utilizzo delle stesse alla proporzione di quegli elementi dell’attivo e del passivo che hanno subito la forza attrattiva della stabile organizzazione.

Un elemento che già in passato aveva creato dubbi interpretativi, e che, con il DM 2 luglio 2014, non sembrerebbe aver trovato soluzione, è la sequenzialità di quanto previsto nell’ultima fase di utilizzo delle ulteriori perdite pregresse.

In particolare, non è pacifico se il riproporzionamento fra elementi dell’attivo e del passivo confluiti nella stabile organizzazione di cui all’art. 181 t.u.i.r., debba avvenire al netto oppure al lordo delle plusvalenze da perdita di residenza. In altre parole, è incerto se la fase di compensazione prevista fra la plusvalenza da perdita di residenza e le perdite maturate fino all’ultimo periodo di residenza in Italia debba avvenire prima o dopo aver ancorato i componenti dell’attivo e del passivo alla stabile organizzazione. Il comma 2-bis al riguardo prevede che la compensazione debba avvenire per le perdite inutilizzate, maturate fino al periodo anteriore a quello di perdita di residenza, quindi, coerentemente con il filone interpretativo fin qui seguito, il periodo anteriore a quello di perdita della residenza dovrebbe coincidere con quello in cui si realizza la plusvalenza da perdita di residenza, in quanto, a partire dal primo giorno del periodo d’imposta successivo il soggetto non sarà più fiscalmente residente. Inoltre, dalla lettura dell'art. 166 non emerge alcun elemento chiarificatore. Sul punto, neppure il decreto attuativo ha apportato novità, infatti, il riferimento è fatto unicamente ad eventuali perdite ancora residue, senza specificare quali.

Le modalità con cui deve essere posta in essere quest’ultima fase riflettono la possibilità o meno concessa al soggetto trasferito di utilizzare in toto i benefici fiscali maturati in capo allo stesso negli anni di residenza. La circostanza per cui la decurtazione ex art. 181 cit. venga operata successivamente alla compensazione con la plusvalenza da non residenza, implica che il valore di una parte delle perdite sofferte di cui sopra vada vanificato ai fini fiscali. Situazione che non si verificherebbe nel caso in cui il

97

riproprorzionamento in capo alla stabile organizzazione sia effettuato prima della compensazione.

La compensazione integrale delle perdite maturate appare essere la strada interpretativa maggiormente percorribile e questo in linea con la ratio sottesa alla norma, in base alla quale si renderebbe necessaria una scissione fra l’entità trasferita all’estero e quella che, grazie alla sussistenza della stabile organizzazione, permane in Italia. Attraverso l’applicazione prioritaria delle regole di cui all’art. 181, si da la possibilità al soggetto non più residente di utilizzare le perdite scaturenti da quella parte dell’attività distolta dal territorio dello Stato per compensarne i plusvalori latenti. Mentre, per le perdite afferenti gli elementi che vanno a confluire nella stabile organizzazione, si dà la possibilità di scomputarle in proporzione al patrimonio netto ascrivibile alla stabile organizzazione. Dopo aver attuato una tale ripartizione, sarà scomputata la plusvalenza da perdita di residenza.

Per rendere inconfutabile la posizione di favore che il non residente assumerebbe nella prima ipotesi, si voglia prestare attenzione al seguente esempio numerico. Si assuma che la società che opta per il trasferimento della residenza all’estero abbia delle perdite maturate fino al periodo d’imposta antecedente il trasferimento e non ancora utilizzate pari a 150 e un patrimonio netto di 300. Se il trasferimento della residenza si perfeziona civilisticamente il 15 novembre 2014, ai fini fiscali si presume avvenuto fin dall’inizio del periodo d’imposta 2015, per il quale, il soggetto in questione si considera fiscalmente non residente. Si ipotizzi che nel periodo d’imposta 2014 abbia prodotto un utile di 40, al netto della plusvalenza da perdita di residenza di 70. Il 70% del patrimonio netto di cui sopra, all'1 gennaio 2015 è, inoltre, confluito in una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Attuando la prima fase prevista per il riporto delle perdite, il soggetto, nella determinazione del reddito imponibile per il periodo d’imposta 2014, potrà utilizzare le perdite pregresse nel limite dell’80% dell’utile prodotto nell’ultimo esercizio di residenza. Quindi l’ammontare di perdite che residua dalla prima fase sarà pari a 118 (150-(40*80%)).

98

Compensato prioritariamente il reddito dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia, si presenteranno due alternative. Nel caso in cui si proceda prima alla decurtazione della plusvalenza da perdita di residenza e successivamente alla valorizzazione delle componenti del patrimonio netto confluite nella stabile organizzazione, lo scenario profilato sarà il seguente: l’ulteriore perdita residua di cui alla seconda fase sarà pari a 48 (118-70) e, considerando che solamente il 70% dei componenti aziendali è confluito nella stabile organizzazione, potrà essere utilizzata nel limite di 33,6, ossia il 70% di 48. Il restante 30% non potrà essere più utilizzato, né dalla stabile organizzazione, in quanto relativo a componenti in essa mai confluiti, né dalla società, per il venir meno del collegamento reale con l’ordinamento domestico che ne legittimava il riporto. 117

Alternativamente a questa situazione, si ha la circostanza in cui si procede prima al riproporzionamento dei componenti aziendali in capo alla stabile organizzazione e solo successivamente alla compensazione della plusvalenza da perdita di residenza. In tal caso, le perdite utilizzabili dalla stabile organizzazione saranno pari al 70% di 118, ossia 82,6, alle quali verrà decurtata la plusvalenza da trasferimento di residenza, ottenendo un ammontare di ulteriori perdite utilizzabili dalla stabile organizzazione pari a 12,6.118 È evidente come, in questa seconda ipotesi, la società potrà usufruire dell’intero “beneficio fiscale” accantonato negli anni antecedenti.

117 Giova sottolineare che l'utilizzabilità delle perdite residue non compensate per tramite del meccanismo

introdotto dal legislatore potrebbe non essere compromessa dal trasferimento. Difatti, La recente sentenza della Corte di Giustizia UE 21 febbraio 2013, causa C-123/11, ha previsto la possibilità di utilizzo delle stesse nello Stato di destinazione. La Corte ha dichiarato che «gli articoli 49 TFUE e 54 TFUE non ostano, nelle circostanze del procedimento principale, ad una normativa nazionale che esclude che una società controllante, che procede ad una fusione con una società controllata stabilita nel territorio di un altro Stato membro e che ha cessato l’attività, abbia la possibilità di dedurre dal suo reddito imponibile le perdite subite da tale controllata negli esercizi fiscali anteriori alla fusione, quando invece detta normativa nazionale ammette tale possibilità se la fusione è realizzata con una controllata residente. Siffatta normativa nazionale è tuttavia incompatibile con il diritto dell’Unione se non consente alla società controllante di provare che la sua controllata non residente ha esaurito le possibilità di contabilizzare tali perdite e che non vi è la possibilità che queste ultime siano contabilizzate nel suo Stato di residenza a titolo di esercizi futuri, né dalla società stessa né da un terzo».

118 In questo caso la differenza non andrà persa e potrà essere utilizzata dalla stabile organizzazione in

99

La predilezione per la seconda interpretazione trova giustificazione, non solo nella coerenza legislativa119, ma, soprattutto, nel fatto che, adottando una tale impostazione si evita una probabile ripercussione sulla compatibilità fra la normativa italiana e il diritto comunitario.120

Inoltre, va osservato che ipotizzare una progressione di quest’ultimo tipo, in cui si attribuisce in primis all'ente situato nel territorio dello Stato, la porzione di patrimonio netto in esso convogliato e, solo in un secondo momento, si procede alla compensazione con l'eventuale plusvalenza da trasferimento di residenza, provoca, in termini sostanziali, gli stessi effetti scaturenti da un'operazione di scissione, seguita da un'operazione di conferimento di ramo d'azienda in una newco non residente.

In sostanza – come evidenziato da attenta dottrina121 – si tratterebbe di presumere, ai soli fini dell'applicazione dell'art. 1, comma 4, del decreto, la previa scissione della società trasferenda con l'attribuzione ad una beneficiaria di nuova costituzione della porzione di patrimonio netto non ricostituito in capo alla stabile organizzazione residua, per poi ammettere, da un lato, la compensazione integrale, a fronte della plusvalenza da «perdita di residenza», della frazione di perdite proporzionalmente attribuite a detta società neocostituita in base alla regola dell'art. 173, comma 4, del t.u.i.r. e, dall'altro

119 MICHELUTTI R. e PRAMPOLINI A., Riporto delle perdite nella«exit tax»,op. cit., al riguardo

ritengono che, posto che le regole di cui all'art. 181 t.u.i.r. siano di natura sistematica, la compensazione integrale per valori assoluti delle perdite del soggetto residente che residuano dopo la «prima fase» (cioè dopo la compensazione con il reddito ordinario dell'ultimo periodo d'imposta) a scomputo della plusvalenza da «perdita di residenza» non appare sistematicamente corretta nel caso in cui detta plusvalenza riguardi solamente una parte dei beni della società che trasferisce la residenza, confluendo la restante parte in una stabile organizzazione in Italia. In tale ipotesi, infatti, in Italia viene mantenuta un'attività d'impresa in capo alla stabile organizzazione residua, cui le perdite vengono trasferite, di talché l'utilizzo integrale delle perdite non potrebbe trovare giustificazione nell'assimilazione alla già ricordata fattispecie di «cessazione integrale» dell'attività di impresa.

120 Per approfondimenti vd. supra par. 1.3, relativo alla compatibilità fra normativa interna e diritto

comunitario, con riferimento ai limiti che una exit tax può apporre alla libertà di stabilimento nel caso in cui il soggetto in questione trasferisca la residenza fiscale in un altro stato membro.

121 Cfr. MICHELUTTI R. e PRAMPOLINI A., Riporto delle perdite nella«exit tax»,op. cit..

FASI DEL RIPORTO DELLE PERDITE SOLUZIONE A SOLUZIONE B

prima fase 118 118

seconda fase 48 118

terza fase 33,6 82,6

pe rdite re sidue utilizzabili dalla SO 0 12,6

100

lato, il trasferimento completo delle perdite proporzionalmente attribuibili alla scissa in capo alla stabile organizzazione in Italia che ne riproduce l'intero patrimonio.

In questa prospettiva, la deroga al principio generale che riconnette le perdite al soggetto piuttosto che all'attività troverebbe giustificazione in un'esigenza di coerenza sistematica con la regola dettata dall'art. 181 del t.u.i.r., che prevede appunto una defalcazione delle perdite a fronte della riduzione dell'attività esercitata in Italia, pur in presenza di una continuità soggettiva.

Nel documento La exit tax (pagine 101-107)