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Il trasferimento della residenza nella seconda parte del periodo d’imposta

Nel documento La exit tax (pagine 109-114)

6. Il trattamento delle perdite relative ai periodi d’imposta antecedenti il trasferimento

6.4 Le implicazioni dell’elemento temporale in tema di riporto delle perdite

6.4.2 Il trasferimento della residenza nella seconda parte del periodo d’imposta

Pur non comportando la creazione ai fini fiscali di una stabile organizzazione iniziale, anche le circostanze generatesi con il trasferimento della residenza nella seconda parte del periodo d'imposta, meritano alcuni chiarimenti.

Fin qui è emerso che, se il trasferimento della residenza si realizza civilisticamente nella seconda parte del periodo d'imposta, ai soli fini fiscali, si assumerà avvenuto al primo gennaio del periodo d'imposta successivo. In questo caso, la plusvalenza da perdita di residenza si realizza in capo alla società e, sempre al primo gennaio del periodo d'imposta successivo, rileverà fiscalmente la stabile organizzazione nel territorio dello Stato nella quale confluiranno i componenti dell'attivo e del passivo che non hanno subito il trasferimento. La società trasferenda, nel realizzare la plusvalenza che poi andrà a confluire nel reddito imponibile dell'ultimo esercizio di residenza, potrà utilizzare le perdite pregresse nel limite della parte del compendio patrimoniale trasferito – questo nell'ipotesi che trovi applicazione prima l'art. 181 t.u.i.r. –. Alla plusvalenza da perdita di residenza, come più volte osservato, non saranno applicabili i limiti di cui all'art. 84 t.u.i.r., limiti che invece troveranno applicazione per quelle ulteriori perdite residue riportabili dalla stabile organizzazione nei periodi d'imposta successivi. La non operatività delle regole di cui all'art. 84 t.u.i.r. è sostenuta dall'Assonime che, nella

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Circolare 33/2011, precisa come nell'ultimo esercizio di un’impresa, la limitazione dell'80% delle perdite riportabili non deve trovare applicazione, potendo le stesse essere riportate illimitatamente, nel limite del reddito imponibile.

Il punctum pruriens, in questo caso, si rileva nel fatto che la società, per valorizzare la plusvalenza, dovrà considerare il valore normale di componenti già confluiti all'estero e per i quali potrebbe essersi già realizzato il presupposto impositivo nello Stato di destinazione e quindi atti a generare fenomeni di doppia imposizione.

Per quanto finora esposto, le finzioni operanti ai soli fini fiscali creano evidenti difficoltà applicative che ristagnano in uno scenario caratterizzato da molti effetti distorsivi. Le problematicità scaturenti dall'applicazione della disciplina del riporto delle perdite potrebbero essere risolte da un ordinamento che, diversamente da quello domestico, preveda la possibilità di operare il cd. split year. Previsione, peraltro raccomandata anche dalla Corte di Giustizia europea, la quale più volte ha ribadito, in materia di trasferimento della sede all'estero mediante l'istituto della trasformazione transfrontaliera, la necessaria sussistenza di una successione in continuità dallo Stato di origine allo Stato di destinazione. Se l'ordinamento italiano prevedesse la coincidenza fra l'aspetto fiscale e quello civilistico, la plusvalenza da perdita di residenza potrebbe essere compensata con le perdite residue al momento del trasferimento e verrebbero meno i problemi evidenziati nel cd. "periodo intermedio".

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C

APITOLO

III

I

L REGIME OPZIONALE PREVISTO DALL

ORDINAMENTO DOMESTICO AL FINE DI DIFFERIRE IL PAGAMENTO DELLA EXIT TAX ITALIANA

1. L’introduzione dei regimi opzionali per l’assolvimento degli oneri fiscali derivanti dal trasferimento della residenza all’estero. La ratio della previsione normativa contenuta nell’art. 166 commi 2-quater e 2-quinquies t.u.i.r.

I connotati transnazionali della disciplina della tassazione all’uscita hanno determinato l’insorgere di una serie di problemi che, a tutto concedere, sono riconducibili ai due diversi momenti rilevanti dell’operazione, ossia il momento della perdita della residenza fiscale nello Stato di partenza e quello dell’acquisizione della residenza fiscale nello Stato d’arrivo. Le due distinte fasi, a causa della mutazione della potestà statuale piena afferente i redditi di cui il soggetto migrante è titolare, divengono terreno fertile per la lesione di quei diritti a lungo dibattuti nelle pagine precedenti. La ricerca di una soluzione ai problemi che il trasferimento della residenza fiscale comporta ha condotto gli Stati, in primis gli Stati aderenti all’Unione europea, ad individuare due possibili rimedi, uno sul fronte dello Stato a quo e l’altro sul fronte dello Stato ad quem.

Più precisamente, in capo allo Stato d’origine è stata riconosciuta la necessità [recte l’onere incombente sugli stessi se trattasi di Stati membri] di differire il pagamento dell’imposta fino al momento dell’effettivo realizzo, limitando così le eccessive conseguenze fiscali afferenti le scelte imprenditoriali di impronta transnazionale. Sul versante dello Stato di destinazione, invece, essendo vivido il problema della valorizzazione dei beni in arrivo, il rimedio auspicato, anche se allo stato attuale è di difficile riscontro normativo, è stato quello di affiancare alla continuità giuridica riservata all’operazione in questione, una continuità dei valori fiscali da riservare ai beni oggetto di trasferimento.

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Tuttavia, entrambi i rimedi non sono di semplice attuazione sia per la riluttanza palesata dagli Stati nel differire il soddisfacimento di una pretesa fiscale per cui sono venute meno le garanzie ordinariamente ritraibili dalla qualifica di residente fiscale sia per la reticenza degli ordinamenti, primo fra tutti quello italiano, nell’accantonare, nella valorizzazione dei beni, il concetto di costo storico a favore di un valore e non documentato, come di converso avviene per il valore storico, e determinato secondo altrui regole fiscali.

Tralasciando per il momento quest’ultima considerazione, possiamo entrare nel merito di ciò che l’ordinamento italiano ha previsto per far fronte ai problemi originatisi nella circostanza in cui assuma le vesti di Stato d’origine e, soprattutto, se la soluzione testé adottata possa effettivamente sortire l’effetto auspicato.

Posto che l’ordinamento italiano, al pari di quanto avvenuto negli ordinamenti nazionali degli altri Stati membri, abbia dovuto adeguare la disciplina della exit tax, contenuta nell’art. 166 t.u.i.r., all’ormai consolidato orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di esercizio della libertà di stabilimento, l’opera di «comunitarizzazione» della disciplina della tassazione all’uscita italiana ha subito un ulteriore sprone dalla recente procedura di infrazione ex art. 258 TFUE n. 2010/4141 con la quale si è rilevata la manifesta contrarietà alla libertà vantata dagli operatori domestici di trasferire in un altro Stato membro componenti strutturali della propria impresa.122 Pertanto, al fine di arginare gli effetti scaturenti dalla procedura di infrazione avviata su iniziativa dell’Associazione italiana Dottori Commercialisti, il legislatore domestico ha recentemente introdotto la disciplina della sospensione degli effetti della

exit tax italiana.

Invero, antecedentemente all’introduzione del regime opzionale, al soggetto italiano esercente impresa commerciale che avesse deciso di trasferire all’estero la propria residenza fiscale, si prospettava il seguente scenario: all’atto del trasferimento il soggetto in questione avrebbe dovuto pagare le imposte sulle plusvalenze latenti negli assets aziendali determinate sulla base del valore normale, pagare le imposte sui fondi in sospensione d’imposta e vedere azzerate le perdite pregresse non compensate alla data

122 Cfr. Procedura di infrazione n.2010/4141 ex art. 258 del TFUE, La exit tax italiana, in documenti

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del trasferimento. Tutto ciò rappresentava un evidente ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento.123 Sicché, l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano è stato quello di

introdurre una previsione ad hoc che ponesse rimedio a tale incompatibilità, pur salvaguardando la pretesa impositiva domestica.

Come premesso nella trattazione del corpus normativo dell’art. 166 t.u.i.r., i commi 2- quater e 2-quinquies del medesimo articolo hanno previsto l’introduzione di un regime opzionale che sospendesse gli effetti della tassazione all’uscita, demandando al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’adozione delle modalità attuative di tale regime.

In risposta alla specifica previsione normativa, il MEF ha, dapprima emanato il D.M. 2 agosto 2013 disciplinante il regime fiscale opzionale del trasferimento della residenza di soggetti esercenti impresa in un altro Stato UE o SEE. Dopodiché, il 2 luglio 2014, ha emanato un nuovo decreto ministeriale, abrogando le disposizioni contenute nel precedente decreto.

Il D.M. 2 luglio 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 luglio 2014, n. 156, ha parzialmente modificato quanto previsto nel primo decreto, chiarendo alcuni aspetti ritenuti per certi versi lacunosi124 ed introducendone di nuovi.

Per comprendere la portata di tali modifiche sarà necessario procedere ad una trattazione comparata, analizzando prima le previsioni contenute nel “vecchio” DM 2 agosto 2013 e, successivamente, le modalità attuative della disciplina de qua, in vigore a partire dal periodo d’imposta 2015.

Ad ogni buon conto, già nel DM 2 agosto 2013, l’evento realizzativo scaturente dal distoglimento dei beni d’impresa dalla giurisdizione impositiva statale si compiva all’atto del trasferimento della residenza, seppur posticipando il momento in cui gli importi si consideravano dovuti. Per far sì che ciò avvenisse, il DM 2 agosto 2013 aveva

123Così esordiva la denuncia dell’Associazione italiana Dottori Commercialisti «Illegittimità comunitaria

della tassazione per il trasferimento all’estero della residenza da parte di soggetti che esercitano imprese commerciali» del marzo 2009.

124Cfr. GALASSI C. e MIELE L., Disciplinate le modalità di differimento della riscossione della «exit

tax», in Corriere Tributario, 2013, 33, p. 2598. AVOLIO D. e PEZZELLA D., Quali trasferimenti di sede

all'estero possono beneficiare della «exit tax», in Corr. Trib. n. 8/2014, pag. 616 e MICHELUTTI R. e

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previsto due modalità con cui il contribuente avrebbe potuto differire la tassazione: la sospensione o la rateizzazione dell’imposta dovuta.

L’alternabilità dei due regimi è stata poi preservata anche nel DM 2 luglio 2014, seppur mutando la portata degli adempimenti richiesti nonché le modalità di esercizio delle opzioni stesse. Pertanto, l’esercizio del regime opzionale non determina la sospensione degli effetti realizzativi del trasferimento della residenza fiscale ma, solamente, il differimento della riscossione, in modo da evitare che la migrazione societaria comprometta la solidità finanziaria dell’ente trasferito.125

2. I soggetti che possono beneficiare del regime opzionale introdotto dal

Nel documento La exit tax (pagine 109-114)