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Le riforme più recenti e le conseguenti problematiche che hanno interessato il distretto

4. Tribunale e Uffici di Sorveglianza

4.1 Le riforme più recenti e le conseguenti problematiche che hanno interessato il distretto

Fig. 18 riepilogo giustizia penale in Corte di appello

4. Tribunale e Uffici di Sorveglianza

4.1 Le riforme più recenti e le conseguenti problematiche che hanno interessato il distretto

La legge n. 3/2019, oltre a modificare l’art. 47 O.p. e 179 c.p. in relazione alle pene accessorie perpetue, ha modificato l’art. 4 bis O.p. inserendo tra i reati assolutamente ostativi alla concessione dei benefici penitenziari (se non in presenza di collaborazione attiva ex art. 58 ter O.p e 323 bis c.p. ovvero in caso di collaborazione inesigibile di cui al comma 1 bis dell’art. 4 bis O.p.), i reati contro la Pubblica Amministrazione di cui agli artt. 314 primo comma, 317,318,319,319 bis, 319 ter, 319 quater primo comma, 320, 321 322, 322 bis c.p.

Tale modifica legislativa non ha comportato finora effetti rilevanti (aumento delle istanze dallo stato detentivo), anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2020 che ne ha

dichiarato l’illegittimità costituzionale se interpretata nel senso che si applichi anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della legge.

Si segnala tra le novità legislative inoltre, l’entrata in vigore della Legge 19 luglio 2019 n. 69, recante disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere (c.d.

Codice Rosso), che in materia di esecuzione ha disposto: 1) l’introduzione del nuovo comma 1 bis dell’art. 659 c.p.p., che prevede che “Quando a seguito di un provvedimento del giudice di sorveglianza deve essere disposta la scarcerazione del condannato per uno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, nonché dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale, il pubblico ministero che cura l'esecuzione ne dà immediata comunicazione, a mezzo della polizia giudiziaria, alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore”; 2) la modifica dell’art. 13 bis della Legge n. 354/1975, oggi rubricato “Trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori”, che prevede: “1. Le persone condannate per i delitti di cui agli articoli bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-quater, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, nonché agli articoli 572, articolo 583-quinquies, 609-bis, 609-octies e 612-bis del medesimo codice, possono sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno. La partecipazione a tale trattamento è valutata ai sensi dell'articolo 4-bis, comma 1-quinquies, della presente legge ai fini della concessione dei benefici previsti dalla medesima disposizione. 1-bis. Le persone condannate per i delitti di cui al comma 1 possono essere ammesse a seguire percorsi di reinserimento nella società e di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, organizzati previo accordo tra i suddetti enti o associazioni e gli istituti penitenziari”. Si tratta di novità legislative che, sul solco delle modifiche già apportate dai decreti legislativi dell’ottobre 2018, pongono in primo piano la vittima del reato, e, soprattutto, introducono un trattamento penitenziario specifico, sia di tipo psicologico che di reinserimento esterno, per gli autori di determinate categorie di reati.

Di grande rilievo per la materia dell’esecuzione penale, anche per le ricadute concrete delle medesime sul lavoro degli Uffici e del Tribunale, sono le novità giurisprudenziali: si fa riferimento, in particolare, alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Prima Sezione del 13.06.2019 (Viola vs. Italia), che ha affermato una violazione dell’art. 3 della Convenzione con riferimento all’ergastolo c.d. ostativo, in quanto pena non riducibile che limita eccessivamente la prospettiva di liberazione dell’interessato e la possibilità di riesame della sua pena: la Corte di Strasburgo ha riaffermato che la personalità di un condannato può evolvere durante la fase di esecuzione della pena, come prevede la funzione rieducativa e di risocializzazione, che permette all’individuo di rivedere in maniera critica il proprio percorso criminale e di ricostruire la sua personalità e che la “dignità umana, che si trova al centro stesso del sistema messo in atto dalla Convenzione, impedisce di privare una persona della sua libertà

in maniera coercitiva senza operare nel contempo per il suo reinserimento e senza fornirgli una possibilità di recuperare un giorno tale libertà”. In tal senso lo Stato Italiano dovrà mettere a punto una riforma della pena dell’ergastolo, che garantisca la possibilità di riesame della pena nel momento in cui è accertata una evoluzione della personalità del reo, e che preveda la possibilità di dimostrare la dissociazione dall’ambiente mafioso, anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia e dall’automatismo attualmente vigente. La Grande Camera della Corte EDU, con sentenza del 9.10.2019, ha respinto il ricorso proposto dall’Italia.

Con sentenza in data 22.10.2019 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 4 bis comma 1 O.P. dalla Suprema Corte con ordinanza del 20-11-2018, nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premio; e dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia con ordinanza del 23-05-2019, nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo per delitti commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione a delinquere ex art. 416 bis c.p. della quale sia stato partecipe, possa essere ammesso alla fruizione di un permesso premio. Con la prima delle indicate ordinanze la Suprema Corte si è occupata del caso di un concorrente esterno in associazione mafiosa, e rileva come la preclusione assoluta di cui all’art. 4 bis O.p. non distingue tra affiliati di un’organizzazione mafiosa e gli autori di delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. e che la scelta di non collaborare da parte del detenuto non è univocamente dimostrativa dell’attualità della pericolosità e della volontà di rimanere legato al sodalizio mafioso di provenienza, potendo dipendere anche da valutazioni che prescindono dal percorso rieducativo, quali il rischio per l’incolumità propria e dei familiari, il rifiuto di rendere dichiarazioni di accusa nei confronti di un congiunto, o il ripudio di una collaborazione utilitaristica.

La Corte Costituzionale ha, quindi, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis comma 1 dell’O.p. “nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata”, a condizione che il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo. La Corte, peraltro pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti, ha sottratto la concessione del solo permesso premio, e quindi non anche delle misure alternative alla detenzione, alla generale applicazione del meccanismo “ostativo”, che comporta attualmente l’impossibilità di accedere a tutti i benefici penitenziari (fatta eccezione per la liberazione anticipata) se non in presenza di una condotta di collaborazione con la giustizia ovvero di un accertamento di collaborazione c.d. impossibile e/o inesigibile; dunque, in virtù della pronuncia della Corte, “la presunzione di “pericolosità sociale”

del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle

relazioni del Carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”.

La valutazione caso per caso da parte del magistrato di sorveglianza, al quale la Corte ha riconosciuto piena discrezionalità, dunque, dipenderà oltre che dai pareri della Procura antimafia o antiterrorismo, del Comitato provinciale per l’Ordine e la sicurezza pubblica, da quanto riferito dalle relazioni del Carcere sul percorso detentivo del condannato. si spera, al fine di dare effettività a quanto affermato dalla Corte, che tale pronuncia comporti adeguamenti negli organici e nelle presenze negli Istituti penitenziari degli educatori -figure fondamentali nell’osservazione della personalità del condannato- che sono attualmente del tutto insufficienti sia in relazione al numero dei detenuti loro affidati che alla delicatezza del compito di osservazione della personalità che, inevitabilmente necessita di una conoscenza approfondita del condannato da parte degli operatori penitenziari, che possano così utilmente delineare e documentare nella redazione della relazione di sintesi l’eventuale cambiamento registrato nel tempo dai medesimi.

Tale pronuncia ha avuto delle indubbie ricadute sul lavoro del Tribunale di Sorveglianza che ha visto ridursi in modo rilevante le complesse istanze di cui agli artt. 4 bis e 58 ter O.p. per l’accertamento della collaborazione attiva o impossibile, passate da n. 67 a n.31, con una riduzione dunque superiore al 50 %.

Un cenno deve farsi alla normativa dettata in periodo di emergenza sanitaria da Covid-19: si tratta di riforme che hanno, da un lato, tentato di ridurre il sovraffollamento carcerario, al fine di evitare una massiva diffusione del contagio da coronavirus, e, dall’altro, regolamentato in maniera più stringente la concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute in favore di soggetti condannati per delitti di particolare gravità.

Con riferimento al primo aspetto, si segnalano, in primo luogo, le novità introdotte dal Decreto Legge n. 18 del 17.03.2020, convertito nella Legge n. 27 del 24.04.2020, ed in particolare: a) l’art. 123 D.L. 18/20, che ha introdotto una nuova forma di esecuzione della pena presso il domicilio, con deroghe alle previsioni di cui all’art. 1 Legge n. 199/2010, misura concedibile dal 30.04.2020 sino al 30.06.2020, con applicazione del c.d. braccialetto elettronico in caso di pene di durata non inferiore a sei mesi, e fatta eccezione per taluni reati di rilevante gravità e particolare allarme sociale; b) l’art. 124 D.L. n. 18/20, che ha previsto la possibilità per il magistrato di sorveglianza di concedere ai detenuti ammessi al regime di semilibertà – che quotidianamente escono dall’istituto e vi fanno rientro – licenze premio con durata sino al 30.06.2020, all’evidente scopo di evitare il possibile contagio all’interno degli istituti, ma anche tenuto conto del blocco totale delle attività lavorative durante il periodo di lockdown.

Si tratta di innovazioni legislative che, nel distretto, non hanno sortito un rilevante effetto sotto il profilo delle avvenute scarcerazioni: infatti nel periodo 30.04.2020 – 30.06.2020 risultano iscritte

presso l’ Ufficio di Pescara n. 35 istanze ai sensi dell’art. 1 L. 199/2010 (nell’ambito delle quali sono comprese anche le richieste ex art. 123) e definiti n. 72 procedimenti (di cui n. 20 concessioni, n. 14 rigetti, n. 18 declaratorie di inammissibilità ed altro): nel corrispondente periodo del 2019 erano state iscritte n. 54 istanze ex art. 1 L. 199/2010, e definiti n. 72 procedimenti (di cui n. 9 concessioni, n. 12 rigetti e n. 14 declaratorie di inammissibilità).

Risultano, inoltre, iscritte n. 16 istanze di concessione di licenza a soggetti semiliberi e definiti n.

15 dei relativi procedimenti (n. 11 concessioni), a fronte di n. 30 istanze sopravvenute nel periodo 30.04.2019-30.06.2019, e di n. 24 relativi procedimenti definiti (n. 13 concessioni).

Presso l’Ufficio di L’Aquila nel periodo indicato ( 30-04-2020/30-06-2020), sono state iscritte n.

87 istanze ai sensi dell’art. 1 della legge n. 199-2010 ( art. 123 D.L. 18-2020) e definiti n. 50 procedimenti ( di cui 3 concessioni, n.8 rigetti, e n. 39 declaratorie di inammissibilità); nel corrispondente periodo del 2019 erano state iscritte n.22 istanze ex art. 1 della legge n. 199-2010:

se da un lato dunque, le istanze si sono quadruplicate presso l’Ufficio di L’Aquila, soltanto 3 sono state le concessioni. Per quello che riguarda le licenze ex art. 124 del D.L. 18-2020, sono state iscritte n.12 istanze di concessione di licenza a soggetti semiliberi, a fronte di n. 5 istanze iscritte per il periodo corrispondente dell’anno precedente.

Quanto al secondo profilo, l’art. 2 lett. b) D.L. n. 28 del 30.04.2020, convertito nella Legge n. 70 del 25.06.2020, ha introdotto il comma 1 quinquies dell’art. 47 ter O.P., che statuisce la necessità, prima di provvedere in ordine al rinvio dell'esecuzione della pena con applicazione della detenzione domiciliare, nei confronti di detenuti per uno dei delitti c.d. ostativi, di richiedere il parere del Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, anche quello del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto; si è imposto, inoltre, al magistrato di sorveglianza l’obbligo di non provvedere prima del decorso di un determinato termine.

Nel periodo 30.04.2020/30.06.2020, sono pervenute presso l’Ufficio di Pescara n. 59 istanze (n.

39 di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p e n. 20 di differimento nelle forme della detenzione domiciliare), a fronte di n. 139 già pendenti (accolte n. 14; rigettate n. 78).

Invece presso l’Ufficio di L’Aquila nel periodo indicato, sono state iscritte n. 265 istanze di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena ex art. 147 c.p.; definite n. 125 di cui solo n.16 accolte.

Ancora, con riferimento ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, successivamente al 23.2.2020, ed in favore di condannati e internati per i delitti c.d. ostativi, l’art.

2 bis D.L. n. 28 del 30.04.2020, convertito nella Legge n. 70 del 25.06.2020, ha imposto al magistrato di sorveglianza ed al tribunale di sorveglianza di valutare, acquisito il parere del

Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati e internati già sottoposti al regime di cui al predetto articolo 41-bis, sentita l'autorità sanitaria regionale sulla situazione sanitaria locale e acquisite dal DAP informazioni in ordine all'eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui ricoverare il condannato o l'internato ammesso alla detenzione, la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile.

I magistrati di sorveglianza dell’Ufficio di Pescara hanno svolto la prescritta nuova valutazione unicamente in n. 2 casi, adottando n. 2 provvedimenti di revoca delle detenzioni domiciliari già disposte per motivi di salute.

I magistrati dell’Ufficio di L’Aquila hanno svolto la nuova valutazione per n. 16 casi, adottando n. 3 provvedimenti di revoca.

Il Tribunale ha deciso in via definitiva sulle istanze già decise dal Magistrato di sorveglianza in via provvisoria, rigettando n. 9 delle 16 sospensioni della pena concesse dal Magistrato di sorveglianza di L’Aquila e confermandone solo 2.

Vanno, infine, segnalate le seguenti novità legislative, sempre legate alla fase di emergenza sanitaria: 1) art. 2 lett. a) nn. 1) e 2) D.L. n. 28/2020, conv. in L. n. 70/2020, che ha previsto, ai fini della concessione di permessi ex art. 30 O.p. in favore di detenuti per uno dei delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del c.p.p., la richiesta del parere del Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna o ove ha sede il giudice che procede e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, anche quello del Procuratore Nazionale Antimafia in ordine all'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto, nonché l’impossibilità, salvo esigenze di motivata eccezionale urgenza, di concedere il permesso prima di ventiquattro ore dalla richiesta dei predetti pareri, con obbligo di informare il P.G presso la Corte d'appello, nel caso, di permessi concessi a detenuti per delitti richiamati, le comunicazioni alle Autorità inquirenti; 2) art. 2 quater D.L. n. 28/2020 che ha previsto, al fine di consentire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie idonee a prevenire il rischio di diffusione del COVID-19, negli istituti penitenziari, a decorrere dal 19 maggio e fino al 30 giugno 2020, la possibilità di svolgere a distanza i colloqui con i congiunti mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti o mediante corrispondenza telefonica; 3) art. 2 quinquies D.L. n. 28/2020, che ha introdotto la possibilità per il giudice di autorizzare la corrispondenza telefonica oltre i limiti di legge, in caso di urgenza o di trasferimento del detenuto.