Fabrizia Francabandera
Presidente della Corte di Appello di L'Aquila
RELAZIONE
SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA NEL DISTRETTO DELLA CORTE D'APPELLO DI L'AQUILA
Fabrizia Francabandera Presidente della Corte di Appello di L'AquilaRELAZIONE SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA NEL DISTRETTO DELLA CORTE D'APPELLO DI L'AQUILAAssemblea Generale L'Aquila, 30 gennaio 2021
Foto di Roberto Grillo scattata il 21/3/2020 - ore 12.26
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Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città, si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante che paralizza ogni cosa.
Meditazione di Papa Francesco
Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020
di Roberto Grillo scattata il 12/3/2020 - ore 12.35
Fabrizia Francabandera
Presidente della Corte di Appello di L'Aquila
RELAZIONE
SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA NEL DISTRETTO DELLA CORTE D'APPELLO DI L'AQUILA
Assemblea Generale - L'Aquila, 30 gennaio 2021
Relazione sull’amministrazione della giustizia nel distretto della Corte di Appello di L’Aquila
1° luglio 2019 - 30 giugno 2020
Intervento in aula del Presidente della Corte di Appello Fabrizia Francabandera
Quest’anno la cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario si svolge in un clima ben diverso dal consueto. La nostra grande Aula Magna è pressoché vuota; sono presenti solo alcune delle Autorità civili, religiose e militari nostre abituali ospiti, quelle che hanno sede nel capoluogo; le ringraziamo, unitamente ai rappresentanti del CSM e del Ministero della Giustizia, per avere voluto, ancora una volta, testimoniare interesse e partecipazione ai temi e ai protagonisti della Giurisdizione. Mancano le altre Autorità, i Consiglieri della Corte d’Appello e i Sostituti Procuratori Generali, i dirigenti e i magistrati di Tribunali e Procure, i Presidenti dei Consigli dell’Ordine diversi da quello distrettuale e degli altri organismi forensi, i magistrati onorari e le loro associazioni, l’ANM, i dipendenti amministrativi, i giornalisti, che negli anni passati hanno sempre affollato questo Palazzo e che ringraziamo per il loro lavoro, se ci seguono in streaming; mancano i cittadini, infine, e mancano da molto tempo in questo Palazzo, dove pure si pronunciano, da tempo rigorosamente a porte chiuse o “da remoto”, sentenze in nome del Popolo Italiano.
Sul cerimoniale, sulle consuetudini, sulla essenziale natura pubblica di una cerimonia che ha il suo fulcro nel rendiconto che la giurisdizione ordinaria -rappresentata dalle donne e dagli uomini che l’amministrano nel Distretto- deve alla comunità del territorio -rappresentata dai vertici delle istituzioni- prevale oggi, e non può essere altrimenti, l’osservanza del “distanziamento interpersonale”, formula divenuta di uso quotidiano che, nella sua burocratica brutalità, ci dice che per salvaguardare la salute di ognuno di noi e di tutti, per evitare pericolosi focolai di contagio di una malattia insidiosa, dobbiamo rinunciare a un bene prezioso: il calore del contatto umano, fatto di presenza, strette di mano, sguardi che si incrociano, sorrisi, abbracci.
La pandemia che da quasi un anno ha coinvolto il mondo intero, scatenando la crisi socio- economica più grave del dopo guerra, ci ha costretto a contare ogni giorno i nostri morti, ormai decine di migliaia, molti tra le persone più anziane e fragili, rimaste spesso sole proprio nel momento del distacco. A questa generazione decimata, cui dobbiamo ciò che siamo, va il nostro
commosso ricordo.
Un pensiero grato rivolgiamo al personale sanitario che le ha assistite con abnegazione, riuscendo a salvare tante altre vite, così come alle forze dell’ordine che non hanno mai spesso di operare sul territorio, con l’impegno a ricordarne il prezioso operato anche quando la tempesta sarà passata.
Ma la pandemia ha segnato fortemente anche i nostri ragazzi, privati per un tempo mai più recuperabile della socialità e del confronto nelle istituzioni educative, forse dello stesso diritto allo studio che la Costituzione garantisce a tutti; ha aumentato intollerabilmente le disuguaglianze emarginando ancor più chi già era indietro, i lavoratori precari e in nero, soprattutto i giovani e le donne; ha cambiato repentinamente il quotidiano di ognuno di noi, evidenziando la vulnerabilità del nostro stile di vita.
Ci ha tolto molto, ma dobbiamo credere che ci abbia anche offerto l’occasione imprevista di una pausa di riflessione, quasi un esperimento sociale, e così la possibilità di capire se davvero vogliamo soltanto tornare alla pretesa e insoddisfacente “normalità di prima”, o se, obbligati dagli eventi, possiamo provare non solo a fare tesoro di ciò che in fretta abbiamo dovuto imparare, perché altre eventuali emergenze non ci trovino impreparati, ma anche a perseguire davvero quel cambiamento che da sempre a parole invochiamo.
Questi temi, declinati -sia pure in poche battute- nel nostro mondo di amministratori e utenti della Giustizia, sono l’oggetto di queste brevi riflessioni, precedute da un richiamo alle parole del Papa, solo sul sagrato di San Pietro, vestito di bianco, in un giorno di pioggia del marzo scorso; parole che scolpiscono questo tempo collettivo, bizzarro e sospeso, come le immagini, scattate in pieno lockdown, di luoghi simbolo di questa bella e dolente città, impegnata tuttora nel duro lavoro necessario per sanare le ferite inferte dal terremoto del 2009.
Ma prima, consentitemi un ringraziamento e un saluto -necessariamente cumulativo- ai molti che quest’anno, in un Palazzo silente, sono andati in pensione: penso al dott. Pietro Mennini, fino al maggio scorso Procuratore Generale, al culmine di una carriera densa di soddisfazioni, che con grande professionalità, equilibrio e riservatezza ha operato per tanti anni in questo distretto; penso ai molti dipendenti amministrativi, “colonne” della nostra piccola comunità, ai quali è stato sottratto il consueto affettuoso omaggio e il calore di chi ha condiviso con loro esperienze importanti di lavoro e talvolta di vita. Omaggio e saluto che dobbiamo anche alla memoria dell’avv. Attilio Cecchini, galantuomo e decano dell’avvocatura aquilana, che ci ha lasciato da poco, cittadino e professionista esemplare stimato da tutti.
Diamo il benvenuto, invece, al Procuratore Generale, dott. Alessandro Mancini, che da qualche giorno ricopre il prestigioso incarico, al quale auguriamo di cuore buon lavoro.
Come si è detto, la cerimonia inaugurale, lungi dall’essere mera manifestazione di apparato, quest’anno in tono minore, è l’occasione per “rendere il conto”, con trasparenza e responsabilità;
le molte pagine che seguono, sintesi dei contributi dei Presidenti di Sezione, dei dirigenti degli
Uffici Giudiziari, dei magistrati formatori e dei referenti per l’informatica, cercano, appunto, di offrire un quadro del lavoro fatto, nella convinzione che il servizio che rendiamo ai cittadini, al territorio, alle altre istituzioni, possa e debba essere valutato ed anche “misurato” tramite le statistiche, strumenti indispensabili di descrizione e comprensione di dati complessi. Con la dovuta, e persino ovvia, premessa che dare conto dei flussi complessivi di lavoro dei nostri Uffici non ci trasforma affatto in “aziende” tese al mero “produttivismo”, come taluno afferma per opporre al dovere di rendiconto la specificità del lavoro giudiziario. Perché ogni giudice sa che, sebbene i nostri moduli organizzativi facciano giornalmente i conti con la complessità delle tante
“storie” che arrivano sui nostri tavoli, tutte uniche e diverse, la risposta che dobbiamo ad ognuna di esse non può essere di qualità se non è tempestiva. Ed è proprio la necessità di tempi ragionevoli, senza i quali non c’è giustizia che tenga, che ci impone di organizzarci al meglio perché quella risposta sia non solo “giusta”, ma anche efficace, perché il nostro lavoro, difficile e appassionante, corrisponda davvero ai valori della Costituzione e al progetto di emancipazione delle persone che è sempre il suo cuore pulsante.
In tale ottica di responsabilità vuole collocarsi il rendiconto del lavoro svolto nell’anno giudiziario 2019/2020.
Cominciamo, quindi, dai carichi di lavoro, necessariamente espressi in numeri, che hanno interessato il Distretto, con particolare focus sugli otto tribunali ordinari e sulla Corte d’Appello, nelle principali branche del settore civile/lavoro e di quello penale, mentre delle altre materie e del lavoro degli Uffici e del Tribunale di Sorveglianza oltre che degli Uffici minorili trattano ampiamente i par. 2, 3, 4 e 5 e le statistiche allegate. È l’occasione, anche, per cogliere i primi effetti della sospensione e della riduzione dell’attività giurisdizionale che hanno fatto seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza e all’adozione dei primi provvedimenti legislativi dell’era Covid-19, sia pure limitatamente ai dati del primo semestre del 2020. Solo il prossimo anno, con l’auspicio che entro il 2021 possa rientrare del tutto l’allarme sanitario, sarà possibile un bilancio complessivo più meditato delle conseguenze che la grave e inedita crisi epidemiologica avrà avuto sull’esercizio della giurisdizione, nel nostro distretto e nel Paese.
Nel settore civile/lavoro (par.2), che anche quest’anno registra gli effetti deflattivi pressoché nulli della mediazione civile obbligatoria (con dati addirittura inferiori a quelli già insignificanti degli scorsi anni, essendo stato definito in tal modo poco più dell’1% delle controversie), sono stati iscritti presso gli otto Tribunali del Distretto 31.370 nuovi procedimenti, in evidente riduzione (-15%) rispetto ai 36.921 dello scorso anno, a conferma di un trend decrescente osservato ormai da tempo, cui si sommano i primi effetti della pandemia.
Gli uffici di primo grado ne hanno definiti pochi di più, 32.018 (ma il 14% in meno dello scorso anno: 37.175), così garantendo la stabilità della pendenza totale, pari a 31.545 procedimenti (31.902 lo scorso anno), risultato non scontato in tempo di pandemia a conferma della tenuta complessiva della giurisdizione nel Distretto.
In Corte d’Appello, i procedimenti di nuova iscrizione sono diminuiti di poco rispetto allo scorso anno: 2.432 (di cui 1.377 affari civili contenziosi; 662 giudizi in materia di lavoro e previdenza, e 404 procedimenti di volontaria giurisdizione) a fronte di 2.713 dello scorso anno; le sezioni Civile e Lavoro ne hanno definiti 3.177 (di cui 2078 affari civili contenziosi, 686 in materia di lavoro e previdenza, 413 procedimenti di volontaria giurisdizione), in riduzione, rispetto ai 3.820 dello scorso anno nonostante l’ampio ricorso, ove possibile, agli strumenti processuali straordinari apprestati dal legislatore dell’emergenza; anche in questo periodo anomalo, tuttavia, è stato assicurato l’obiettivo di progressiva riduzione della pendenza, scesa a 5.283 processi (di cui 4476 affari civili contenziosi; 697 giudizi in materia di lavoro e previdenza, e 110 procedimenti di volontaria giurisdizione), quindi del 12%, rispetto ai 6.010 dello scorso anno.
Nel settore penale (par.3) il bilancio è meno positivo, e ciò è senz’altro attribuibile alla minore incidenza degli innovativi moduli processuali introdotti in fase di emergenza nel garantire il consueto svolgimento delle udienze, sospese quasi del tutto nei mesi del lockdown, ridotte fortemente nei mesi successivi.
I Tribunali hanno visto anche quest’anno, in linea con un trend che sembra consolidarsi, il calo generalizzato delle nuove iscrizioni, pari a 9.029 (10.831 lo scorso anno), di cui 8.667 con rito monocratico e 362 con rito collegiale. Gli uffici, tuttavia, non hanno potuto garantire un numero di definizioni adeguato a fronteggiare la sopravvenienza: queste sono diminuite in misura significativa, da 11.399 a 7.467 (7.124 nel monocratico, 343 nel collegiale), con l’inevitabile risultato di determinare un aggravamento della pendenza, purtroppo aumentata a complessivi 19.064 procedimenti (18.157 nel monocratico e 907 nel collegiale), ben superiore ai 17.511 dello scorso anno.
In Corte d’Appello, a fronte di 2.753 nuove iscrizioni (in calo rispetto alle 3.107 dell’A.G.
2018/19), sono stati definiti 2.566 processi, con inevitabile -seppure non significativo- aumento della pendenza finale, salita da 4.710 a 4.897 procedimenti. Il dato consegue inevitabilmente alla stasi totale obbligata dei mesi di marzo/aprile e alla necessaria diminuzione delle udienze in presenza tra maggio e giugno 2020. La Sezione Penale, peraltro, si è impegnata nella definizione di procedimenti particolarmente complessi, così dimostrando capacità di gestione dei flussi anche in periodi critici e ottime prospettive per la ripresa delle attività.
Gli Uffici del distretto hanno garantito tempi di durata dei procedimenti in linea con gli obiettivi individuati nei Documenti Organizzativi Generali, in via di rielaborazione per il prossimo triennio, discostandosi parzialmente –sempre per effetto della pandemia- dagli obiettivi specifici dei programmi annuali di gestione redatti per l’anno 2020; il che vuol dire che, pur con le specificità di ogni ufficio, siamo in generale, soprattutto nel settore civile, ben lontani dall’obiettivo di contenimento in tre anni per il primo grado e in due per l’appello, pur a fronte di aree di eccellenza (lavoro, volontaria giurisdizione, processi penali a priorità assoluta)
per le quali gli ottimi tempi sono dovuti all’esercizio sapiente dei criteri di priorità, tutti evidenziati nei nostri Documenti Organizzativi
Rinvio per gli approfondimenti sul tema, così come su quello delle novità normative, ai capitoli che seguono, mentre dei fenomeni criminali che interessano il nostro territorio si occuperà, come sempre, il Procuratore Generale. Mi preme solo evidenziare, in questa sede, che è altissima nel territorio del distretto, e ancor più dovrà esserlo nell’attuale complessa congiuntura economica, l’attenzione ai fenomeni, anche associativi, di criminalità economica –usura, bancarotta, riciclaggio, truffa aggravata, reati tributari ecc.- per i quali la grave crisi di liquidità in cui versano molte imprese e gli importanti flussi di denaro pubblico, immessi e da immettere in un tessuto economico da tempo asfittico, costituiscono tentazioni irripetibili di arricchimento illecito.
Anche quest’anno grande è stata l’attenzione ai temi della tutela delle “fasce deboli”, e quindi ai fenomeni di violenza di genere, oggetto del c.d. “Codice Rosso” (legge n.69/19), che ha indotto tutte le Procure ad adottare direttive alla Polizia Giudiziaria e a stipulare Protocolli con altre istituzioni e organizzazioni del volontariato, con il fine di interventi mirati, più efficaci e tempestivi; in particolare sono stati velocizzati i flussi informativi, garantendo maggiore protezione alle vittime e valorizzando i c.d. fenomeni anticipatori di possibili eventi più gravi (molestie, lesioni, stalking, maltrattamenti).
D’altra parte, alcuni uffici evidenziano che il breve termine indicato dal Codice Rosso per procedere all’assunzione di informazioni da parte della persona offesa può, talvolta, essere controproducente, in particolare nel caso delle vittime più fragili, per le quali il coinvolgimento nella vicenda giudiziaria, pur con tutte le cautele ormai comunemente adottate, resta sempre destabilizzante e doloroso.
Il problema è stato affrontato con particolare cura dal Tribunale per i Minorenni (par. 5) che si è adoperato per agevolare prassi virtuose di condivisione delle informazioni con le Procure ordinarie (in adesione alle linee guida dettate dal CSM) al fine di espletare gli incidenti probatori nel rispetto dei tempi “interiori” delle vittime minorenni, così riducendone l’impatto traumatico e consentendo, al contempo, di acquisire al procedimento penale elementi di prova di maggiore stabilità.
Al tema si collega quello della tutela dei minori segnati da crimini domestici, il cui rilievo nel distretto è evidenziato dall’alto numero di provvedimenti di allontanamento di padri maltrattanti e di collocamento di madri e bambini in strutture protette (di cui ben 48 nel solo periodo di emergenza Covid, preceduti da tempestive interlocuzioni con le Autorità sanitarie per l’accesso in sicurezza alle strutture di accoglienza), adottati quest’anno dal Tribunale per i Minori, che ha segnalato in particolare un delicato procedimento di adottabilità di una minore rimasta orfana di madre a seguito di uxoricidio. Da sottolineare, inoltre, il Protocollo sottoscritto tra il Tribunale per i Minori e quello di Sorveglianza per lo scambio tempestivo di informazioni in caso di
concessione di misure alternative alla detenzione o di benefici penitenziari a soggetti responsabili di tali crimini.
Gli Uffici e il Tribunale di Sorveglianza (par.4), come gli uffici minorili, hanno visto uno scarso rallentamento dei flussi nel periodo di lockdown, avendo ad oggetto la maggior parte dei procedimenti da essi trattati questioni urgenti per definizione (coinvolgendo soggetti fragili o detenuti), per le quali non ha operato la sospensione generalizzata voluta dal legislatore dell’emergenza.
Al contrario, un aggravio è venuto al giudice dell’esecuzione da quella parte della normativa che, sia pure con l’obiettivo di ridurre il sovraffollamento carcerario, si è proposta di regolamentare in modo più stringente la concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute in favore di soggetti condannati per delitti di particolare gravità (che sono ospitati in gran numero nei due istituti detentivi di massima sicurezza, Sulmona e L’Aquila), prevedendo l’acquisizione di nuove informazioni e la rivalutazione dei casi. Com’è noto, proprio le numerose scarcerazioni disposte dai giudici di sorveglianza di tutto il Paese nel periodo di lockdown, hanno sollevato un animato dibattito pubblico, talvolta più “umorale” che tecnico, e indotto il legislatore all’adozione urgente di provvedimenti “correttivi” non sempre di chiarissima lettura. In Abruzzo, fortunatamente, non si è verificata alcuna problematicità sul tema, pur essendo stati revocati alcuni benefici a seguito della imposta rivisitazione dei presupposti per la scarcerazione.
Deve dirsi, peraltro, che la situazione carceraria del distretto vede quest’anno una riduzione dell’8,5% delle presenze di detenuti, pari al 30.6.2020 a complessivi 1.740; il dato è tornato a quello del 30.6.2018 (1.737) mentre lo scorso anno il numero era salito a 1903, determinando preoccupanti situazioni di disagio per sovraffollamento soprattutto negli istituti di Pescara e Chieti.
Le strutture detentive abruzzesi hanno dovuto affrontare l’emergenza riorganizzando gli spazi ed allestendo i dovuti presìdi sanitari, prevedendo screening generalizzati per operatori, agenti di polizia penitenziaria e detenuti, sospendendo -o tentando di rimodulare “da remoto”- tutte le attività trattamentali (dai corsi scolastici ai laboratori), e i contatti con l’esterno (compresi i colloqui con i congiunti, sostituiti da videochiamate), riuscendo a gestire al meglio i pochi casi di positività verificatisi nell’intera prima fase emergenziale (fino al 30 giugno 2020), con allestimento di camere detentive apposite dedicate ai nuovi ingressi e ai soggetti in isolamento. Il bilancio è stato nell’insieme positivo, sia per il contenimento del contagio che per l’assenza di fenomeni generalizzati di protesta da parte dei detenuti, verificatisi in numero preoccupante altri distretti; solo a partire da dicembre, in parallelo con l’aumento dei casi di positività nel territorio abruzzese, si sono avuti problematici focolai negli istituti di Lanciano e Sulmona, prontamente affrontati.
La crisi da coronavirus ha, ancora una volta, riacceso i riflettori sulla criticità della situazione carceraria in Italia, più volte sanzionata anche dalle Corti europee, aggravata quest’anno dall’afflizione aggiuntiva dell’isolamento totale dall’esterno; per i detenuti e per tutti gli operatori penitenziari stanno emergendo, come in tutte le istituzioni comunitarie, problemi di adeguata tutela della salute, che impongono di considerarli ai primi posti nei piani vaccinali in corso.
Si sconta oggi l’abbandono -probabilmente non sufficientemente meditato- di tutti i progetti di riscrittura dell’Ordinamento Penitenziario elaborati nella scorsa legislatura all’esito del dibattito, competente e approfondito, che ha animato gli Stati Generali dell’esecuzione penale.
Permangono intatte, invero, e devono essere recuperate al dibattito pubblico, le ragioni che impongono di ripensare l’istituto della pena alla luce della concreta attuazione dei principi costituzionali, in un’ottica di ampio respiro capace -con l’ovvia eccezione delle fattispecie più gravi- di superare la mera concezione retributiva della detenzione in carcere e la posizione di centralità assoluta che essa occupa nel nostro sistema sanzionatorio. Nella consapevolezza che le misure alternative -anche con l’ausilio di strumenti elettronici, la cui disponibilità deve migliorare- aumentano le possibilità e diminuiscono i costi per tentare il recupero delle persone condannate, laddove il carcere, “istituzione totale” per sua natura, causa aggravi di emarginazione sociale e frequenti recidive, con un bilancio in perdita per la sicurezza di tutti.
Rimando ai capitoli che seguono per l’approfondimento sul lavoro svolto dai giudici del distretto, sull’implementazione dei processi di digitalizzazione, sulla formazione di magistrati e stagisti, in confronto continuo e operoso con l’Avvocatura, sull’importante lavoro svolto dal Consiglio Giudiziario cessato a ottobre, i cui componenti -onorari, laici e togati- ringrazio di cuore, anche per l’adesione a un modello di confronto aperto e leale, comprensivo del discusso “diritto di tribuna”, che in questo distretto è previsto da oltre un decennio.
La pandemia ha imposto, com’è noto, un’anomala intensificazione della produzione di diritto, evidenziando la centralità della volontà politica che opera le scelte e della burocrazia che le applica, a dispetto del “passo indietro” dello Stato, spesso evocato; mai come in questo drammatico anno, infatti, a tutela del diritto alla salute, posto di fatto su un piano superiore agli altri (si è parlato di diritto “tiranno”), sono stati regolamentati minuziosamente spazi di libertà personale che ritenevamo intoccabili, dalla libertà di movimento a quella di impresa, con interventi normativi che hanno inciso, anche discutibilmente, persino sulle relazioni personali.
Nei sistemi democratici, connotati da molteplici livelli degli istituti di garanzia, i principi di proporzionalità e ragionevolezza (e di temporaneità delle norme eccezionali), veri e propri strumenti di coordinamento e bilanciamento di valori e diritti del moderno pluralismo costituzionale, ci guidano nell’accertare se l’ordinamento giuridico ha retto la prova della coerenza interna, mai così drammatica, assorbendo e “sistematizzando” tanto le compressioni dei diritti assoluti quanto gli stravolgimenti nelle modalità di esercizio ordinario della giurisdizione.
Non solo: il tempo dell’emergenza sanitaria -il cui termine finale è mobile e via via spostato in
avanti-, ampliando oggi all’improvviso e a dismisura il catalogo dei doveri, obblighi e divieti gravanti su ognuno di noi, amplierà fortemente, quando l’emergenza sarà cessata, la domanda di tutela dei beni della vita toccati profondamente dalla crisi; come sta iniziando ad accadendo, tanto nel senso verticale dei rapporti con i poteri pubblici (dalle responsabilità in tema di diffusione o mancata prevenzione del contagio, ai tempi e alle “graduatorie” nell’accesso alle cure e ai vaccini) quanto in quello orizzontale dei rapporti tra privati (per es. in tema di tutela dei contraenti deboli a fronte di mutamenti incolpevoli del contesto negoziale), con l’ingresso di nuove domande di giustizia cui sarà necessario rispondere adeguatamente.
La concatenazione di decreti legge, dpcm, ordinanze del Ministero della salute, ordinanze regionali, spesso di non semplice e coordinata lettura, questo diritto “iperbolico”, pur nel rispetto formale del nostro sistema delle fonti del diritto, ha mutato profondamente anche il nostro modo di amministrare la giustizia, imponendoci un rapido cambiamento, indispensabile per continuare ad essere operativi ed affermare l’imprescindibilità della funzione della giurisdizione al servizio dei cittadini.
Nell’immediatezza dell’emergenza sanitaria (fine febbraio ‘20), in quella del c.d. lockdown (dal 9.3.2020 D.L. n.11/2020), nella successiva fase di ripresa graduale delle attività (dal 12.5 al 30.6.2020) e quindi nuovamente a fronte degli incrementi epidemiologici dell’autunno, ci siamo fatti carico, infatti, dell’adozione tempestiva di provvedimenti organizzativi complessi, per lo più finalizzati a garantire la massima espansione possibile in sicurezza dell’attività giurisdizionale. Fondamentale è stato in queste fasi l’apporto dell’esperienza e della professionalità degli otto Consigli dell’Ordine degli Avvocati, i cui Presidenti hanno partecipato, animando il confronto e il dibattito, alle frequenti riunioni distrettuali convocate dalla Presidenza della Corte con i capi degli altri uffici, possibili in sicurezza grazie ai provvidenziali collegamenti
“da remoto”, che tutti abbiamo presto imparato a gestire.
In Corte d’Appello, dopo i primi provvedimenti che facevano riferimento solo a misure sanitarie cautelative, sono state adottate disposizioni relative alla gestione in sicurezza degli accessi e dei percorsi nel Palazzo, alla tenuta delle udienze a porte chiuse, alla regolamentazione dei presìdi per atti urgenti, alle forniture di dispositivi personali di protezione, nonché alle prime applicazioni nel settore civile, a fronte della sospensione generalizzata di tutti i procedimenti disposta dal legislatore dell’emergenza, delle nuove modalità di trattazione scritta per i procedimenti dichiarati urgenti, mentre nel settore penale è stato possibile tenere solo udienze “da remoto”
relative a procedimenti con detenuti che ne avanzassero richiesta.
Cessato il lockdown, a seguito del progressivo spostamento del termine determinato dall’andamento del contagio sul territorio nazionale (dal 22 marzo al 15 aprile e quindi all’11 maggio 2020), è stato necessario adottare le c.d. Linee Guida, che attingevano direttamente l’esercizio della giurisdizione, avendo il legislatore demandato ai capi degli Uffici Giudiziari un
ruolo inedito di indirizzo vincolante in ordine ai criteri di priorità ed alle modalità di trattazione degli affari, per ogni settore della giurisdizione (art.83 del D.L. n.18/2020).
In Corte d’Appello l’obiettivo condiviso con i Presidenti di Sezione, i Consiglieri, il dirigente amministrativo e il foro locale, sostanzialmente raggiunto alla luce dei dati statistici richiamati, è stato quello di mantenere in linea di massima -con la necessaria riduzione delle attività in presenza- l’ordinario programma tabellare delle definizioni, facilitato in questa sede dalla più lineare struttura dei procedimenti, in genere privi di fase istruttoria e definiti in unica udienza, giovandosi dei nuovi strumenti processuali voluti dal legislatore dell’emergenza.
Si è stabilito, infatti, per gran parte dei procedimenti del settore civile/lavoro, di fare ricorso generalizzato al c.d. rito cartolare o trattazione scritta, privilegiato rispetto al collegamento “da remoto” in ragione del gran numero di procedimenti fissati per ciascuna udienza e delle obiettive difficoltà tecniche del collegamento on line con troppi soggetti diversi.
Nel settore penale è stata regolamentata l’udienza “da remoto”, fino a novembre unico strumento disponibile in alternativa all’udienza in presenza, obbligatorio per i procedimenti con imputati detenuti, sulla scia della normativa speciale da tempo in vigore per imputati di gravi reati e per i collaboratori di giustizia. Quanto agli altri procedimenti penali, la Corte ha stabilito, d’intesa con il foro, di fissare sempre udienze in presenza del collegio giudicante e del PM, in fasce orarie più rigide, con previsione di collegamento “da remoto” solo su richiesta delle parti private o dei loro difensori; così anticipando la decisione del legislatore -fortemente sollecitata dall’avvocatura- di subordinare l’udienza a distanza al preventivo consenso delle parti.
In tal modo sia per il settore civile/lavoro che per quello penale, il calendario ordinario delle udienze ha subito modifiche ridotte, garantendo la buona resa definitoria di cui si è detto. La facoltà di partecipazione da remoto al dibattimento penale è stata esercitata un gran numero di volte, con piena soddisfazione, non solo dai difensori di altri fori, interessati ad evitare i rischi del viaggio fino a L’Aquila, ma anche da quelli del distretto.
L’esito di questa esperienza è stato, quindi, certamente positivo, così come quella del rito camerale non partecipato a trattazione scritta (in vigore dal 12 novembre 2020 -art. 23 D.L.
n.149/2020 “disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID -19”), recentemente prorogato al 30 aprile 2021. Pur con notevole aggravio per una cancelleria penale falcidiata dalle scoperture del personale amministrativo, il rito è stato finora utilizzato per la definizione di circa l’80% dei procedimenti di appello, così rendendo possibile per i collegi, riunitisi sempre nell’aula della Corte, trattare in piena sicurezza un numero di impugnazioni certamente maggiore di quelli possibili con l’ordinaria trattazione orale, limitata ai casi di espressa richiesta delle parti.
Questo primo bilancio convince del fatto che, ferma l’assoluta centralità della discussione orale in presenza di tutte le parti, momento fondamentale del contraddittorio che deve precedere la decisione del giudice penale, l’Avvocatura non ha ragione di diffidare di modelli processuali -
comunque rimessi alla volontà delle parti- che, senza comprimere gli spazi e le prerogative della difesa, ben possono agevolare la trattazione più sicura e spedita di quei procedimenti per i quali il modello tradizionale non sia ritenuto essenziale dalle parti stesse, tanto più in tempi emergenziali.
E l’esperienza quotidiana di non poche discussioni in appello che si riducono al mero richiamo agli atti difensivi scritti (spesso con delega all’ignaro difensore d’ufficio di turno) conferma che la disponibilità di una “cassetta degli attrezzi” più ampia, da modulare sulla base delle diverse tipologie di procedimenti e delle esigenze delle parti, è una ricchezza che sarebbe sbagliato non utilizzare in tempo di emergenza o disperdere quando questa finirà.
Meno positiva è stata, invece, come è confermato dai dati statistici prima evidenziati, l’esperienza dei Tribunali, che nel settore penale hanno potuto giovarsi in misura minore delle udienze da remoto, dovendo, al contempo, assicurare lo svolgimento in sicurezza delle udienze in presenza.
Il Presidente della Corte di Appello, chiamato dal legislatore dell’emergenza al compito inedito di dare l’”intesa”, unitamente al Procuratore Generale, sulle linee guida degli altri uffici giudiziari del Distretto, si è posto l’obiettivo -raggiunto purtroppo solo parzialmente per la molteplicità e complessità dei riti e delle istruttorie in primo grado, oltre che per le differenti situazioni logistiche- di assicurare un minimo di omogeneità tra le scelte organizzative degli uffici, anche per facilitare gli avvocati degli otto fori presenti nel distretto che operano abitualmente in più circondari. Nel corso di numerosi incontri “a distanza”, aperti a tutti i dirigenti, anche amministrativi, e ai Presidenti degli otto COA, si è discusso di ogni questione rilevante ai fini del buon andamento degli uffici giudiziari del distretto: dalle modalità di tenuta delle udienze alle prescrizioni igienico-sanitarie (DPI, distanziamento interpersonale, controllo della temperatura corporea), dalla regolamentazione degli orari e degli accessi ai Palazzi ai sistemi di prenotazione on line dei servizi di cancelleria e segreteria, dalle modalità di notifica degli atti tramite SNT e PEC per professionisti ed enti, al ritiro e deposito di atti e copie, oltre che naturalmente delle concrete modalità di attuazione del processo cartolare e di quello da remoto, in genere affidate a Protocolli locali.
Di pari passo, è stato necessario, insieme ai dirigenti amministrativi, organizzare e disciplinare i presìdi di personale per le attività urgenti e, a rotazione, le nuove modalità di lavoro agile per tutti i dipendenti, in adesione alle direttive, non sempre di chiarissima lettura, del Ministero della Giustizia e di quello della Funzione Pubblica; il tutto facendo i conti con le gravi scoperture dell’organico, con le obiettive difficoltà di lavoro “da remoto” nel settore giustizia (che opera tramite sistemi informatici soggetti a rigidi protocolli di sicurezza, a cominciare dal c.d. fire-wall che protegge i Palazzi), con l’insufficiente dotazione di hardware e con la presenza di figure professionali che non prevedono mansioni su postazioni informatiche.
Per ognuno di essi, privilegiando alcune categorie (c.d. lavoratori fragili, genitori di ragazzi infraquattordicenni, titolari di permessi ex legge 104, pendolari, ecc.), si è proceduto, con il contributo delle Organizzazioni Sindacali, alla elaborazione di progetti individualizzati di smart-working, con descrizione di mansioni e modalità di verifica del raggiungimento degli
obiettivi. In Corte d’Appello, in particolare, ha avuto un buon riscontro la remotizzazione dei servizi delle spese di giustizia, della liquidazione e pagamento dei compensi ai difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato o alle difese d’ufficio, con soddisfazione dei professionisti del distretto.
Il tema rimanda a quello delle risorse, soprattutto personali, sulle quali gli uffici giudiziari possono contare, da sempre al centro di ogni relazione inaugurale.
Scoperture che non esito a definire drammatiche sono, infatti, ancora presenti nel personale amministrativo (par.7.2): il dato percentuale della scopertura complessiva su base distrettuale, pari al 20%, non fotografa adeguatamente la situazione, perché non tiene conto della concentrazione delle scoperture tra le figure più importanti, quelle apicali, né del forte sottodimensionamento della pianta organica (che il Ministero attribuisce ai 4 tribunali provinciali, senza tenere delle proroghe ai previsti accorpamenti degli altri 4), né dei numerosi
“distacchi” disposti in favore di dipendenti residenti fuori regione; non tiene conto nemmeno, per la Corte d’Appello, dell’imponente aumento dei servizi contabili-gestionali-amministrativi ad essa delegati negli ultimi anni.
Paghiamo oggi il blocco, durato troppo a lungo, delle nuove assunzioni, cui ha fatto seguito l’innalzamento dell’età media (ben superiore ai 50 anni) e la conseguente maggiore morbilità del personale, con progressivo svuotamento degli uffici. Ne è derivato uno squilibrio con il lavoro dei magistrati, per i quali il ricambio generazionale ha operato con maggiore regolarità, che deve al più presto essere sanato. Volendo essere ottimisti, deve dirsi che la situazione sembra in positiva evoluzione, essendo ormai completato lo scorrimento della graduatoria degli assistenti giudiziari ed avviati i concorsi per titoli e prove orali per le figure di direttore di cancelleria e cancelliere, opportunamente banditi dal Ministero della Giustizia su base distrettuale; si attende, inoltre, il completamento delle assunzioni degli operatori e il riavvio del concorso per funzionari, gestito dal Ministero della Funzione Pubblica.
L’auspicio è che possano entrare nell’Amministrazione della giustizia nuove e più giovani professionalità, formate alle nuove tecnologie e provviste anche di competenze diverse da quelle tradizionali di natura burocratico-giuridica: quelle informatiche e statistiche, innanzitutto, ma anche tecnico-gestionali, necessarie per assicurare la funzionalità dei Palazzi.
Migliore, invece, il bilancio per il personale di magistratura, che quest’anno ha visto un tasso distrettuale di scopertura più basso del passato (par.7.1), essendo presenti negli uffici, al 30.6.2020, 184 magistrati -di cui 133 giudicanti e 51 requirenti- su 202 della pianta organica.
Deve, inoltre, darsi atto con soddisfazione del recente incremento di nove unità della magistratura giudicante del Distretto, tra cui quattro nuovi consiglieri in Corte d’Appello, cui si aggiungeranno i giudici ausiliari destinati al settore penale (legge n.77/2020, che ha ampliato la
dotazione organica dei g.a.c.a. da 350 a 850), per i quali tuttavia non è noto il numero né il momento in cui sarà avviato il procedimento di selezione, notoriamente lungo e articolato come l’esperienza nel settore civile ci ha insegnato.
Del pari importante è il riconoscimento dell’assoluta insufficienza dell’unico Magistrato Distrettuale per fronteggiare le situazioni di difficoltà organizzativa in cui si trovano spesso ad operare -per trasferimenti o aspettative- gli uffici giudiziari del distretto, quasi tutti di piccole dimensioni. La legge finanziaria 160/19 ha introdotto, infatti, le c.d. piante organiche flessibili (per il nostro Distretto sono previsti 4 magistrati giudicanti e 2 requirenti) che potranno meglio supportare gli uffici, non solo per far fronte a scoperture momentanee, ma anche -ed è questa la novità più rilevante- per gestire difficoltà strutturali nello smaltimento di arretrati di particolare peso o nella evenienza di procedimenti che, richiedendo un particolare impegno, rischiano di interferire con l’ordinaria gestione dei flussi, come più volte sperimentato.
Dovrà, inoltre al più presto affrontarsi il tema, ormai indifferibile, del corretto inquadramento giuridico dei Magistrati Onorari (par.6), nella consapevolezza da un lato dell’apporto essenziale e insostituibile che essi offrono all’esercizio della giurisdizione (nel distretto operano ben 148 magistrati onorari, tra g.o.p. e v.p.o., ai quali si aggiungono i giudici onorari minorili e i giudici ausiliari in Corte d’Appello), dall’altro dell’impercorribilità della strada del mero mantenimento di una situazione ormai risalente di “stabile precarietà” (ossimoro che descrive purtroppo fattispecie ricorrenti nel nostro Paese), tanto più alla luce delle recenti decisioni della Corte EDU e della stessa giurisprudenza interna.
Le perduranti inefficienze e le disfunzionalità del sistema giudiziario italiano, da tempo all’attenzione delle istituzioni europee, ci impongono dunque -nonostante gli innegabili miglioramenti degli ultimi anni che non dovremo disperdere a causa della pandemia- il tema eterno delle “riforme”, con la consapevolezza, questa volta, che nel passaggio epocale della crisi pandemica mondiale ci giochiamo probabilmente tutte le risorse disponibili per i prossimi decenni, in una sfida complessa, faticosa e difficile, per rispondere alla quale c’è davvero poco tempo.
La Commissione Europea ha fissato a breve il termine per la presentazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) presupposto per l’accesso al programma di finanziamento straordinario, che ha attribuito all’Italia, tra prestiti e sovvenzioni, circa 209 mld. di euro.
In particolare, con le Country Specific Recommendations del maggio scorso, la Commissione ha ribadito, per l’ennesima volta, la necessità per l’Italia di «migliorare l'efficienza del sistema giudiziario», indicando interventi mirati sulle vere criticità che affliggono la nostra giustizia: la durata dei processi civili e penali, la semplificazione delle procedure e l’eliminazione delle troppe disomogeneità territoriali, l’attuazione tempestiva delle riforme in materia di insolvenza con soluzioni sostenibili per i debitori solvibili colpiti dalla crisi, obiettivi cui si aggiunge, con
particolare enfasi, quello della prevenzione e repressione della corruzione, precondizione di un’amministrazione pubblica trasparente ed efficiente, capace di gestire i nuovi imponenti flussi di denaro pubblico e ad attrarre investimenti esteri.
Grande attenzione è data dalla Commissione, com’è evidente, alla giustizia civile, per l’importanza che la tempestività delle decisioni giudiziarie ha sul sistema economico e sociale del Paese: le lentezze e le inefficienze della giustizia civile costano, infatti, secondo stime generalmente ritenute attendibili, 2,5 punti Pil, con incidenza negativa sugli investimenti, sulla competitività delle nostre imprese e sulle possibilità di recupero dei crediti deteriorati, prevedibilmente destinati ad un aumento incontrollato dovuto alla crisi di liquidità in atto, solo parzialmente compensata dai vari “ristori” messi in campo.
Non si hanno notizie precise ma, al momento, sembra che alla Pubblica Amministrazione siano destinati poco più di 11 dei 209 mld del c.d. Recovery Fund, di cui 2,3 al settore Giustizia.
Non so se siano pochi o tanti, ma so per certo che è necessario spenderli bene e con gradualità; e la nostra P.A., da anni impegnata in tagli lineari e indiscriminati alla spesa pubblica, deve urgentemente trovare al suo interno le competenze per migliorare la capacità di programmazione e di spesa.
Il Piano Next generation UE, con le ingenti risorse disponibili, è, allora una grande occasione di progettualità e di condivisione su cui chiamare le migliori professionalità dei protagonisti della Giustizia, per formulare idee e progetti capaci di concretizzare, con uno sguardo responsabile verso il futuro, l’ideale di una giustizia effettiva, vicina ai cittadini e di facile accesso per tutti gli operatori, capace anche di assorbire l’impatto negativo di eventi imprevedibili.
Il Governo e il Parlamento sono impegnati in progetti di riforma del processo civile e di quello penale, il cui contenuto -pur non ancora ben definito- sembra andare, con qualche distinguo, nella giusta direzione della semplificazione, operando su snodi critici specifici. L’esperienza delle
“grandi” riforme processuali del passato, anche recente, ci insegna, tuttavia, che esse hanno bisogno di tempo per trovare applicazione, per sedimentare nelle prassi e nella giurisprudenza, e quindi per produrre effetti benefici sui tempi processuali, mentre scarso successo -anche per una poco incisiva premialità- hanno avuto gli strumenti deflattivi messi ottimisticamente in campo negli ultimi anni.
Vantaggi immediati, invece, sono venuti e possono essere continuare a venire dall’avanzamento del processo di digitalizzazione (vicino al completamento nel settore civile ma ancora agli esordi in quello penale) che oggi è, non a caso, il tema al centro dell’attenzione dell’Europa e dei programmi di finanziamento diretti al miglioramento generale di tutti i settori delle amministrazioni pubbliche.
Si tratta, peraltro, e lo sappiamo bene, di un percorso complesso e costoso che ha grande bisogno di nuovo “capitale umano”, adeguato per numero e competenze, oltre che di programmi da implementare, essendo ben altro che la mera dematerializzazione di atti prodotti in via analogica.
La digitalizzazione, come abbiamo dovuto velocemente sperimentare in tempo di pandemia, ci ha
offerto, è vero, l’unico spazio di agibilità alternativo a quello reale, divenuto improvvisamente pericoloso per gli “umani”, permettendoci di continuare a rendere il nostro servizio, ma ci ha confermato che i suoi effetti benefici operano solo a patto di un ripensamento totale delle nostre strutture organizzative e procedimentali.
Si spera, allora, che tutti i protagonisti della giurisdizione -magistratura e avvocatura in primis- vogliano individuare e condividere obiettivi, priorità, tempi, visioni dell’ambizioso processo di digitalizzazione in avvio, nell’ottica della semplificazione (degli accessi, della conservazione dei dati, della redazione degli atti, delle comunicazioni tra le parti e tra i “segmenti” del processo) e della sicurezza da interferenze e manipolazioni esterne, premessa di uno sforzo culturale comune di autoformazione che consenta realisticamente un’adesione graduale ed efficace a processi innovativi testati e monitorati sul campo dagli utenti e non calati dall’alto.
Non vorrei, allora, che si perdesse questa occasione irripetibile per dividersi invece su quelle
“grandi” riforme, soprattutto di natura ordinamentale, che da sempre creano schieramenti opposti -dallo status dei magistrati alla separazione delle carriere, dall’abbandono del principio di obbligatorietà dell’azione penale al sorteggio dei magistrati eletti al CSM- impedendo di ragionare insieme in termini pragmatici sui miglioramenti in termini di efficienza del sistema oggi finalmente possibili con le nuove risorse. L’auspicio è che si individuino poche, essenziali, misure processuali e sostanziali sulle quali possa formarsi un consenso generalizzato e si concentrino le energie per innovare con intelligenza, senza rinunciare a mantenere altissimo il livello delle garanzie personali e della qualità della risposta di giustizia, in piena adesione ai valori costituzionali del giusto processo.
Perché le “regole” del vivere comune, presidiate da una magistratura che sta cercando di emergere dalla crisi di credibilità esplosa lo scorso anno, non siano viste come fattore di intralcio allo sviluppo del Paese, ma, a garanzia di tutti, perno della funzionalità dello Stato moderno, al quale mai come adesso ci si rivolge per assicurare il buon fine del passaggio dalla drammatica crisi pandemica che ci opprime alla ripresa che verrà.
Auguro, quindi, a tutti gli operatori delle Giustizia un 2021 di ambiziosa progettualità e comune impegno, sperando si riesca insieme, abbassando toni talvolta eccessivi, ad alzare lo sguardo su un futuro migliore per il Paese e le nostre istituzioni.
1. Situazione logistica degli uffici giudiziari di L’Aquila
Devono essere confermate anche per il corrente anno le considerazioni già espresse per l’anno passato in ordine alle criticità degli Uffici aquilani.
Nonostante il trasferimento della Corte d’Appello all’interno del Palazzo di Giustizia, sito in Via XX settembre di L’Aquila risalga al 2017, non è stato possibile trasferire negli archivi i fascicoli processuali più datati (antecedenti al 2009), rimasti depositati presso l’interporto di Avezzano, in spazi generosamente messi a disposizione dalla Protezione Civile; quelli definiti dopo il terremoto sono conservati nell’archivio in località Bazzano (AQ) ed all’interno del seminterrato dell’immobile in Via Pile, che ha accolto l’ufficio durante la ricostruzione. Tale situazione, non ideale, non può essere al momento migliorata a causa della difficoltà di reperire immobili che possano accogliere l’ingente quantità di materiale cartaceo, allo stato non dismettibile.
La distribuzione degli spazi fra i quattro uffici (Corte d’Appello, Procura Generale, Tribunale e Procura della Repubblica ospitati nell’immobile), che inizialmente teneva conto del previsto accorpamento degli uffici subprovinciali di Avezzano e di Sulmona, differito al settembre dell’anno 2022, non è adeguata alle attuali reali esigenze della Corte d’Appello, che, trasferita per ultima nel Palazzo, non gode di spazi sufficienti a garantire adeguata sistemazione degli uffici e del personale, in particolar modo di quello magistratuale, anche onorario, la cui pianta organica è aumentata nelle more.
La previsione di ampi spazi destinati ad atri e vaste aree di passaggio pregiudica, di fatto, la destinazione delle volumetrie ad uffici, tanto che l’Ufficio Notificazioni e Protesti non ha potuto trovare sistemazione all’interno del Palazzo, con disappunto della classe forense che lamenta i conseguenti disagi per recarsi negli uffici di Via Pile. Gli spazi originariamente destinati all’U.N.E.P. sono assegnati al Tribunale, ma a tutt’oggi, purtroppo, non sono stati ancora adattati e allestiti. La pandemia ha imposto repentini interventi nella gestione degli accessi al Palazzo e dei percorsi in sicurezza all’interno dello stesso, nonché l’implementazione dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico, unificato temporaneamente per i servizi della Corte d’Appello e del Tribunale, per evitare ingressi indiscriminati e potenzialmente rischiosi nelle cancellerie e negli uffici dei magistrati, scontando ancora una volta la carenza di spazi adeguati e le difficoltà pratiche di operare i cambiamenti ritenuti necessari.
Non risolta è anche la sistemazione dell’importante area adiacente il Palazzo di Giustizia da parte della locale amministrazione comunale; la permanenza del cantiere abbandonato, risalente al lontanissimo 2007, limita infatti la gestione delle uscite di sicurezza ed impedisce l’accesso all’immobile dall’ala nuova. Recentemente i rappresentanti del Comune di L’Aquila hanno confermato alla Conferenza Permanente l’acquisizione, all’esito dell’apposito concorso bandito, di un progetto per la sistemazione della piazza e dell’annesso parcheggio sotterraneo ivi previsto.
Vogliamo avere fiducia che i tempi di realizzazione possano essere accettabili.
Il complesso problema della manutenzione degli uffici giudiziari, transitata come noto dalle amministrazioni comunali direttamente agli uffici per effetto della L. 190/2014, continua a determinare difficoltà nell’affrontare le numerose questioni, soprattutto quelle relative all’impiantistica, che richiedono necessariamente il supporto tecnico del Provveditorato Interregionale delle Opere Pubbliche. Non è ancora effettivamente operativo l’Ufficio Tecnico Distrettuale, di recente istituzione, essendo al momento presente un solo funzionario tecnico sui due previsti, mentre mancano del tutto i previsti assistenti tecnici (in numero di 4), necessari per far fronte alle concrete necessità in tema di edilizia degli uffici giudiziari ed assicurare il supporto agli uffici periferici in materia di gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili.
Si conferma anche quest’anno la stasi nella realizzazione del bar all’interno del Palazzo di Giustizia e la permanente inutilizzazione degli spazi destinati a tale funzione.
2. La Giustizia Civile 2.1 novità legislative
Nel lasso temporale in esame non sono state introdotte novità legislative di rilievo, che riguardino il settore civile, fatta eccezione per le norme rese necessarie dall’esigenza di fronteggiare l’epidemia da COVID 19 ancora in atto, che hanno probabilmente imposto l’accantonamento della riforma del processo civile, alla quale lo scorso anno molto spazio era stato dedicato. Merita di essere evidenziato il rinvio -dall’agosto 2020 al 1\9\2021- dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d. lgs. 14\1019), disposto col d.l.
23\2020, convertito nella l. 40\2020.
Anche quest’anno non sono pervenuti dati relativi al grado di utilizzo (ed eventualmente di successo) della negoziazione assistita, mentre la mediazione civile obbligatoria sembra in costante declino: nell’anno in esame, infatti, sono state presentate 2.712 domande di mediazione (a fronte di 3372 dello scorso anno, e di 3679 dell’AG 2017/18), e ne sono state definite 2.453 (a fronte di 3299 e di 3597 degli ultimi due anni); meno del 10% di queste si riferivano a mediazioni volontarie, mentre in tutti gli altri casi si trattava di domande che traevano origine dall’obbligo posto dalla legge, o dalla sollecitazione del Giudice. Quanto ai risultati, l’accordo è stato raggiunto in 437 procedimenti (pari al 18% di quelli definiti), mentre nel 56% dei casi (1.375 procedimenti) l’altra parte non è neppure comparsa. Ancora una volta, se si confronta il dato dei procedimenti definiti grazie al procedimento di mediazione (437), col numero (31.370) dei nuovi procedimenti iscritti nell’anno dinanzi agli otto Tribunali del distretto, risulta evidente l’inadeguatezza dell’istituto a sortire l’effetto deflattivo per il quale è stato pensato, avendo risolto soltanto l’1,39% delle controversie (a fronte del 3,93 % dello scorso anno, già in diminuzione rispetto a quello precedente).
Tutti i Tribunali hanno dato completa attuazione all’Ufficio per il Processo, pur con i limiti alla sua funzionalità derivanti dalle scoperture degli organici amministrativi, il cui lavoro, a parere di alcuni Dirigenti, è stato aggravato dal ricorso alla trattazione scritta nel periodo di emergenza sanitaria, per la molteplicità degli adempimenti previsti.
Alcuni dirigenti segnalano poi che la riforma della Magistratura Onoraria renderà più difficile lo smaltimento dell’arretrato. Presso tutti i Tribunali, infatti, i Giudici Onorari forniscono attualmente un apprezzato contributo, ormai strutturale, sia nella fase istruttoria, che collaborando alla definizione dei procedimenti.
L’analisi dei flussi dà conto di un notevole incremento, presso alcuni Tribunali, dei procedimenti che vengono introdotti con rito sommario di cognizione.
Quanto alle materie, sono aumentate in maniera apprezzabile le opposizioni all’esecuzione e le cause che hanno ad oggetto domande di ristoro del danno derivante da responsabilità sanitaria; mentre sono diminuite quelle in materia bancaria (anche grazie a recenti decisioni della Suprema Corte, che hanno fatto finalmente chiarezza su alcuni problemi che si dibattevano da tempo), i procedimenti di separazione e di divorzio (la riforma del cd. “divorzio breve” ha ormai esaurito i propri effetti), e gli appelli contro le sentenze del Giudice di Pace.
Presso il Tribunale distrettuale di L’Aquila sono crollate le iscrizioni dei procedimenti in materia di protezione internazionale (passate da 1.566, nell’A.G. 2018/2019, a 450, in quello 2019/2020): la riduzione trova solo parziale spiegazione nella diminuzione dei flussi di immigrazione clandestina, aggiungendosi a questa gli effetti della pandemia in atto, che, per un verso, ha limitato l’attività delle Commissioni, e, per altro verso, ha comportato la sospensione di tutti i termini processuali, e quindi anche di quello per impugnare le loro decisioni. È, quindi, prevedibile che buona parte di quel contenzioso abbia subito un mero differimento temporale.
L’anzidetta legislazione emergenziale –pur con qualche problema di raccordo tra i diversi provvedimenti che si sono sedimentati nel tempo, reso peraltro inevitabile dalla necessità di affrontare con urgenza, eventi ai quali nessuno era preparato- ha invece introdotto novità processuali assai interessanti, che si auspica possano essere mantenute in vigore anche dopo il superamento della fase pandemica, consentendo di tenere l’udienza, e la camera di consiglio, con modalità diverse da quella classica (forma orale ed in presenza delle parti): novità che sembrano avere incontrato anche il favore dell’avvocatura, e potrebbero consentire al Giudice ed alle Cancellerie una maggiore duttilità nella gestione del lavoro. Ci si riferisce, in particolare, alla c.d.
trattazione scritta (art. 2, comma 2, lett. h) del d.l. 11\2020, poi abrogato con l. 27\2020; art. 83, comma 7, lett. h) del d.l. 18\202020, convertito nella l. 27\2020; art. 221 del d.l. 34\2020, convertito nella l. 77\2020, ed art. 23 del d.l. 137\2020) che, senza vulnerare il diritto delle parti ad un compiuto contraddittorio, consente ai difensori di evitare d’essere presenti all’udienza, tutte le volte in cui debbano semplicemente riportarsi agli scritti difensivi già depositati. Forma di trattazione con la quale è possibile tenere le udienze nelle quali è previsto il conferimento
dell’incarico al c.t.u. (art. 221, comma 8, della l. 77\2020) e che non pregiudica la facoltà del difensore di chiedere, quando lo ritenga necessario o anche solo opportuno, la discussione orale (art. 221, comma 4, della l. 77\2020); e
Per i procedimenti che richiedono, invece, la presenza di soggetti diversi dalle parti e dei rispettivi difensori (e anche quando sia richiesta la discussione orale), è stata introdotta la possibilità di tenere l’udienza da remoto, con modalità telematica (art. 2, comma 2, lett. f) del d.l. 11\2020, poi abrogato con l. 27\2020; art. 83, comma 7, lett. f) del D.L. 18\202020, convertito nella l. 27\2020; art. 221, comma 7, della l. 77\2020).
Tale modalità di tenuta dell’udienza, tuttavia, presenta ancora alcune difficoltà tecniche, e tempi più lunghi (e meno prevedibili), in gran parte legati alle ricorrenti difficoltà di collegamento: per tale ragione non ha trovato applicazione presso la Sezione civile della Corte d’Appello, mentre è stata utilizzata in via residuale presso i Tribunali del distretto, quando la trattazione scritta fosse impossibile (per es. per la necessità di escutere testimoni). La pandemia da COVID 19 ha comunque impattato in maniera violenta sulla complessiva realtà giudiziaria, provocando una marcata, e generalizzata riduzione delle sopravvenienze (anche a causa della sospensione dei termini processuali, prevista dagli artt. 1 del d.l. 11\2020, 83 del d.l. 18\2020, e 36 del d.l.
23\2020); a cui si è accompagnata una riduzione, anche se non altrettanto sensibile, delle definizioni: tant’è che alcuni Uffici sono comunque riusciti a ridurre le pendenze, come si dirà di qui a poco.
E tuttavia, la prolungata limitazione di accesso agli Uffici da parte dei difensori, e la necessità di tenere le udienze in forma scritta oppure a distanza, hanno dato un impulso decisivo, ed auspicabilmente strutturale, alla digitalizzazione di tutti i documenti, e quindi alla completa attuazione del processo civile telematico.
Per altro verso, la messa a disposizione, da parte del Ministero, dell’applicativo TEAMS ha consentito di svolgere da remoto non soltanto le camere di consiglio, ma anche le riunioni tra i Giudici, di tenere i contatti con gli organi delle procedure concorsuali ed esecutive, e programmare regolarmente i corsi di formazione: per cui, pur a fronte dei limiti derivanti dalla mancanza di contatto personale, pare opportuno conservare tale utile strumento di lavoro, quantomeno in via facoltativa, anche per il tempo in cui sarà stata superata l’attuale fase emergenziale.
2.2 Caratteristiche della giustizia civile nel distretto 2.2.1. Uffici di I grado
Il Presidente del Tribunale di Pescara ricorda le numerose convenzioni sottoscritte, negli anni precedenti, con le Università di Teramo e di Chieti-Pescara, per lo svolgimento di tirocini curricolari di formazione ed orientamento, e le convenzioni stipulate nel tempo (con la Regione,
la s.p.a. Aste Giudiziarie e la s.r.l. Zucchetti Software), che hanno consentito l’utilizzo di personale esterno e\o di sistemi telematici.
Riferisce d’avere fatto fronte alle diverse fasi emergenziali emanando, in piena sintonia col personale e con gli ordini forensi, un primo provvedimento presidenziale, che ha disciplinato l’attività giudiziaria nella cd. “fase 1” ed un secondo provvedimento di organizzazione del lavoro nella cd. “fase 2”.
Ha inoltre sottoscritto diversi Protocolli col Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, ed emanato ordini di servizio interni, che hanno consentito di adeguare i provvedimenti presidenziali all’evoluzione della pandemia ed alla necessità di svolgere parte del lavoro amministrativo in modalità “agile”.
Il Presidente del Tribunale di Teramo rappresenta che la riforma dei Giudici onorari renderà assai difficile lo smaltimento dell’arretrato, trattandosi di ufficio con organico molto inferiore a quello di Pescara, pur a fronte di una sopravvenienza quasi pari; ed è anche sede di Corte d’Assise, i cui procedimenti impegnano più giudici e per più udienze in ciascuna sessione.
La recente revisione delle piante organiche, attuata dal Ministero della Giustizia con decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale del 31/10/2020, prevede l’aumento di un solo posto, senza tenere conto del parere del CSM, che suggeriva invece l’incremento di due unità. Ricorda, infine, l’elevata informatizzazione di tutti i servizi, attuata anche grazie alla piena evoluzione del cd.
“progetto Basket”, che consente oggi, ai difensori, di depositare per via telematica anche le note d’udienza e le prenotazioni “on line”; e che si è rivelata particolarmente utile a fronteggiare l’emergenza derivante dalla pandemia, che ha dapprima reso necessaria la chiusura degli Uffici al pubblico, ed ha poi consigliato di evitare il sovraffollamento degli ambienti di lavoro.
Il sito WEB del Tribunale, infine, è oggi consultabile anche a mezzo di smartphone o tablet.
Presso il Tribunale di Chieti si è proceduto ad una complessiva riorganizzazione del lavoro, tesa ad aumentare il grado di specializzazione dei diversi gruppi di lavoro, ed a ridurre le pendenze ultratriennali: ed in tale ottica sono stati accentrati presso la sede centrale alcuni ruoli pendenti presso la sezione distaccata di Ortona.
Quel Tribunale, inoltre, ha introdotto interessanti obiettivi “di qualità” della risposta giudiziaria, per un verso attuando un controllo sull’attività degli Ausiliari del Giudice, a mezzo di una cartella informatica condivisa; e per altro verso svolgendo un monitoraggio periodico delle impugnazioni che vengono proposte contro le sentenze rese dai Giudici del Tribunale.
Il Presidente del Tribunale di Avezzano ha rappresentato la situazione di drammatica scopertura dell’organico che ha afflitto l’ufficio negli anni 2019-2020: scopertura che ha riguardato sia i Giudici togati che quelli onorari, il cui numero, nei fatti, è risultato praticamente dimezzato rispetto alla previsione tabellare. Ha dato conto delle numerose variazioni tabellari che ha dovuto approntare per farvi fronte, e dell’impegno profuso, anche personalmente, per ridurre al minimo il numero dei ruoli civili che è stato comunque necessario “congelare”. Il tutto aggravato dalla pandemia ancora in atto, che ha creato ulteriori intralci all’attività giudiziaria, specialmente nel
settore penale, in relazione al quale si è toccata con mano la sostanziale impossibilità di tenere le udienze in forma diversa da quella in presenza.
Il Presidente del Tribunale di Lanciano, sulla premessa che nel proprio circondario sono insediate importanti realtà industriali, alle cui dipendenze lavora un apprezzabile numero di addetti, ha ricordato le misure che sono state adottate a difesa dei lavoratori, per fare fronte ai problemi produttivi e di spostamento posti dalla pandemia: e quindi l’art. 46 del d.l. 18\2020, convertito nella l. 27\2020, che ha sospeso le procedure d’impugnazione dei licenziamenti; l’art.
80 del d.l. 34\2020, convertito nella l. 77\2020, che ha vietato l’avvio di procedure di riduzione collettiva del personale; il diritto dei lavoratori con figli a carico di età inferiore a 14 anni, a svolgere il lavoro in modalità “agile”.
Resta inoltre confermato il sostanziale rispetto del termine triennale di durata dei procedimenti, raggiunto anche grazie a virtuose prassi organizzative: per cui, attualmente, le ultime cause civili iscritte nel 2016 sono in fase di definizione, mentre è già stata definita buona parte di quelle iscritte nel 2017 e nel 2018.
Anche il Presidente del Tribunale di Sulmona ha stipulato diversi Protocolli con gli ordini forensi, tesi alla gestione condivisa dei problemi che derivano dall’emergenza sanitaria ed alla più opportuna applicazione degli strumenti forniti dal Legislatore per farvi fronte.
Mentre il Presidente del Tribunale di Vasto ha sottoscritto, col locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, un protocollo che prevede la liquidazione di una indennità per gli amministratori di sostegno; un altro protocollo per la liquidazione del compenso spettante agli stimatori nominati nelle procedure esecutive e fallimentari; ed un terzo protocollo relativo al riparto delle spese per il mantenimento dei figli, sia nei giudizi di separazione e di divorzio, che in relazione a quelli nati fuori dal matrimonio.
Entrambi lamentano, poi, la ritardata copertura dei posti lasciati vacanti dai Magistrati trasferiti ad altra sede e, soprattutto, la carenza degli organici del personale di Cancelleria: problema, quest’ultimo, che è stato acuito dal piano di soppressione dei Tribunali di cui sono Presidenti, nel senso che il Ministero, in questa prospettiva, continua a far riferimento sempre e solo alla pianta organica dei Tribunali che dovrebbero accorparli.
I dati statistici danno conto di una generalizzata diminuzione delle sopravvenienze complessive in relazione agli affari civili (giudizi contenziosi civili 10012, di volontaria giurisdizione 6262 e procedimenti sommari 8906), con esclusione dei processi in materia di lavoro e previdenza: su un totale di 6170 (a fronte di 7660 dello scorso anno, - 19.45%), la diminuzione è stata particolarmente marcata presso il Tribunale di L’Aquila (-29,22%, da 4.626 a 3.274), apprezzabile presso quelli di Pescara (-13,45%, da 7.567 a 6.549), Teramo (-12,64, da 5.766 a 5.037), Vasto (-11%, da 1.718 a 1.519), Avezzano (-10,7%, da 2.701 a 2.412) e Chieti (- 9,2, da 3.902 a 3.543); contenuta presso i Tribunali di Lanciano (-5,23%, da 1.682 a 1.519) e Sulmona (-4,35%, da 1.309 a 1.252).